In un clima di svalorizzazione,
se tutte le energie sono impiegate nel mantenere
diversi livelli di “senso”
delle cose che si fanno,
quando arriva un’idea nuova, questa non trova le forze per lo sviluppo.
(M. Bruscaglioni)
Se non so spingere -investire energie- a favore di me, vuol dire che mi faccio troppi problemi per gli altri, di qualsiasi tipo:
– Mentale (perché devo spingere?)
– Esistenziale (è proprio questo che voglio?)
– Paura negata (mi blocco, non ci riesco)
– Rabbia rimossa (non ti do la soddisfazione)
– Sottomissione (non sta bene spingere a favore di me)
– Confusione (non so a che scopo spingere)
– Insensibilità (che io spinga o meno, non sento niente)
– Alibi (non voglio fargli male).
In terapia, basta far esprimere alla persona che non sa spingere il proprio perché –e nel caso farglielo scrivere su un post-it in modo che lo risenta più volte e lo veda rappresentato fuori da sé- per fargli toccare con mano una trasformazione evidente: davvero non vado verso ciò che voglio solo per questa assurda motivazione?
E l’impeto a cambiare viene fuori immediato, enorme.
Se non so spingere, la verità …
… è che mi preoccupo troppo per gli altri e non lo voglio ammettere. Tutto qui.
Quando non c’è autostima c’è sempre eterostima: l’aspettativa del permesso degli altri. E quindi anche dell’omologazione, dell’intestardirsi con la volontà, con gli status estetici e narcisistici.
Chi si comporta così in realtà vuole l’accettazione (oggi) da parte di qualcuno che non ce l’ha data allora (da bambino).
Il problema è che non ci può riconoscere adesso, perché sono passati tanti anni e ora -questa è la grande verità- non ne abbiamo più bisogno, dobbiamo solo sentire il lutto di quel mancato riconoscimento, non cercarlo negli altri. E darcelo da soli!
Mentre -se il genitore fosse stato come avremmo voluto- ci avrebbe insegnato a sentire che “Io valgo, posso essere attraversato da tanta energia e reggerla. E non ho più bisogno oggi del genitore (ora rappresentato da capo, marito/moglie, amico) che mi approvi costantemente”.
E’ commovente assistere al cambiamento che le persone sentono quando aumenta l’accoglienza calorosa verso se stessi, eccezionale per chi non ci è abituato.
Beninteso, è l’ennesimo paradosso nel quale occorre entrare:
1) ci è mancata l’approvazione.
2) quindi “emaniamo” un’esigenza di approvazione
3) sentiamo però che è eccessiva e non ci soddisfa mai e quindi ne vorremmo sempre di più, in ogni occasione
4) allora ci sentiamo costantemente in un “tira e molla”: non possiamo fare a meno di cercarla e una volta ottenuta ci diciamo: ma cosa sto facendo?! E fuggiamo a gambe levate (si veda punto relativo “Il Mistero di Tir’ e Molla”)
5) solo sentendo che a) non è più possibile volere l’approvazione e b) non è riferito all’oggi; allora possiamo percepire finalmente il lutto di ciò che non abbiamo avuto, smettere la ricerca impossibile e ripartire dalla verità.
Quella mancanza non ci ha ammazzato, ci ha costretto a crescere e ad essere meravigliosi come siamo, proprio perché tutte le nostre ferite ci danno lo spessore e la capacità di comprensione che ci rendono unici e apprezzati dagli altri.
Se non avessimo avuto quel dolore ne avremmo avuto un altro. Ciò che conta è ripartire pieni di gratitudine e finalmente pienezza verso di noi.
Non solo è un evento epocale se nuovo per noi, è di più: è l’unico indirizzo che la natura conosce. Quindi ci dà finalmente il respiro di rimetterci centro esatto del vento che tutto fa andare come dovrebbe.
Noi siamo musicisti al centro della scena. Il pubblico non ci chiede di cercare la sua approvazione. Il pubblico ci chiede di avere cura per il pezzo che eseguiamo: che lo suoniamo con competenza e trasporto. E questo è possibile solo se viviamo con piacere e passione: che lo suoniamo per noi, solo per noi. E soltanto allora gli altri saranno toccati, emozionati, e ci applaudiranno.
Quindi, che fare? Possiamo sentire questa esigenza di valorizzazione e accoglienza, che ci è mancata, e non agirla più, interpretandola per quello che è: una ferita. Antica. E ci sono modi molto più proficui per impiegare la nostra energia: cercare di essere soddisfatti, coltivare un entusiasmo al giorno, non battersi più contro eccetera. E qui il cerchio si chiude: si veda elenco dei punti relativi all’Abbondanza Dentro di Noi e Fuori di Noi, sul blog rappresentati dai punto dall’1 al 14.
Ho visto recentemente due film illuminanti su questi temi: Viva La Libertà, di Roberto Andò, per me un’esperienza incredibile, da Oscar, che parla addirittura di Politica, ma fa palpitare. Proprio perché l’esigenza di “farci approvare” è una trappola mortale.
Un’altra esperienza da fare assolutamente è vedere La Grande Bellezza, di Paolo Sorrentino, Oscar come film straniero, che merita tutto: il tema è proprio la dissipazione di se stessi e della bellezza del mondo: nell’abbondanza ci si può perdere oppure goderne appieno. Sta a noi, solo a noi, la scelta.
Entrambi i protagonisti dei due film, rappresentati dallo stesso attore, Toni Servillo, sentono l’esigenza di cambiare e di scegliere una vita diversa, ma ormai è tardi? Si può sempre fare? E quando farlo?
Ciò introduce un altro cruciale capitolo: qual è il momento opportuno per cambiare atteggiamento?
Oggi. Oggi è il giorno migliore. Altrimenti, non arriverà mai il momento opportuno.
Non avete anche voi scritto mentalmente per anni i buoni propositi ogni estate, in agosto, proprio perché siete riposati per poi –di nuovo!- tornare ad essere travolti?
Allora cambiamo l’ordine temporale: partiamo ogni giorno da oggi, da qui ed ora.
Soprattutto perché il cambiamento è interiore, e senza pagare alcun prezzo. La vita all’esterno resta la stessa, ma la luce, che la indirizzerà verso l’intensità, ha iniziato finalmente a brillare.
E ci porterà finalmente al “nostro spazio”, in cui tutto è più facile, anche innamorarsi.
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