E presto ci rendiamo conto che c’è un paradosso che rischia di confonderci: occorre comunque forzare ciascun pilastro.
Poiché solo questo fa in modo che –dopo una certa soglia- tutto si equipari all’istante ad un livello superiore di soddisfazione, rivelando ciò che fino ad un minuto prima non sembrava realizzabile:
- andare a vivere al mare
- sposarsi
- fare un bambino
- oppure separarsi
- o cambiare lavoro
- ecc.
Questo accade poiché a differenza delle leggi della statica delle costruzioni e delle dinamiche del cemento armato, la nostra energia è un concetto molto più potente e permette di allargare, irrobustire, rendere più flessibile ogni pilastro.
Un esempio efficace è l’innamoramento inaspettato e corrisposto, che ci riporta ad “allora tutto è possibile”: se la mia amata c’è finalmente, se la sento ad ogni ora del giorno e della notte, allora mi dico che posso fare tutto, ma tutto-tutto: cambiare città, paese, lavoro, interrompere gli studi e chissà cos’altro. Perché è questo amore che ridefinisce gli altri pilastri e li fa adeguare in un sol colpo. Quindi, magari, nella diatriba tra i miei e il mio partner, io ripropongo con tutto me stesso il mio nuovo amore, SCELGO, costi quello che costi.
Riprendendo invece l’esempio di prima, se soltanto il lavoro va bene, ma gli altri ambiti no, noi che cosa facciamo? Diminuiamo il lavoro, apriamo magari una crisi, dichiariamo uno stato di emergenza, oppure lo fa il nostro corpo, ammalandosi; mentre -se lavoro tantissime ore e questo mi stressa e mi fa sentire solo- non è solo diminuendo il lavoro che tutto si aggiusta perché poi mi viene a mancare l’unica certezza che ho al momento.
E’ solo la consapevolezza che esistono priorità personali da rispettare che ci può far fare quel passo risolutore in più.
Noi lo facciamo certo, ma senza gli strumenti adeguati, come spesso accade.
Se lavoro troppo per troppo tempo, non ho che da forzare l’attenzione e il tempo verso gli altri pilastri, non c’è altra soluzione.
Ma noi non lo vogliamo accettare e ci comportiamo sempre secondo volontà, e cerchiamo di cambiare l’universo pur di non fare ciò che ci risulta fastidioso.
Ma non vi è mai capitato?
- Di non saper smettere di credere che il lavoro è la nostra missione mentre a volte ci uccide e compromette rapporti e salute?
- Di non far altro che accusare la nostra relazione attuale del nostro disagio mentre sappiamo benissimo che molto deriva sul nostro difetto atavico su cui non vogliamo mai deciderci a lavorare… ?
- Di non riuscire ad ascoltare chi ci dice che non sappiamo far altro che mettere avanti sempre le stesse priorità? Mentre dovremmo essere più completi, adulti, maturi e non ossessivamente sempre uguali.
- Di non chiederci nemmeno più che cosa vogliamo davvero e che cosa è più importante per noi, mentre corriamo a duecento all’ora verso l’ennesimo impegno successivo senza più sapere perché?
Un esempio comune è rappresentato da chi vuole raggiungere un risultato nel lavoro e per questo è in grado –a tempo!- di sacrificare tutto per realizzare il proprio potenziale professionale. Se ci pensate lo facciamo tutti, soprattutto da giovani.
Le parabole più famose sono quelle artistiche o sportive: do tutto alla mia passione e poi, quando sarò affermato, mi dedicherò al momento giusto a tutto il resto: amore, casa, famiglia, bambini, ecc.
Ma ciò comporta sacrfici spesso insopportabili per tutti coloro che hanno lasciato ogni certezza per il lavoro, dai minatori in Belgio di tanti anni fa, alla stragrande maggioranza degli abitanti di Milano di oggi. Le famiglie lontane sono un sacrificio comune nell’Italia degli ultimi due secoli.
A Milano oggi il 50,2 dei nuclei familiari è composto da 1 single, l’esatta percentuale di New York, mentre per il resto dell’Italia è del 31%.
Quindi, quando si presenta il problema? Quando questa scelta si protrae per troppo tempo e noi non siamo più giovani e soprattutto ci sentiamo alienati:
- il lavoro non ci piace così tanto
- la casa è un adattamento in basso
- il clima fa schifo
- le relazioni sono quelle che sono -e ruotano sul lavoro, perché è ciò che facciamo per troppe ore al giorno.
Abbiamo messo la professione al primo posto, ma abbiamo ottenuto in cambio una vita che francamente non vale la pena.
Guardate che questi sono i motivi che ci portano in terapia: ho sacrificato tutto per … (lavoro, amore, famiglia, casa) e adesso, ecco come mi ritrovo…
Mentre, al contrario, se rispettiamo i principi legati a queste fondamenta, allora tutto accade come in una fioritura benefica della nostra vita: la stessa sensazione di quando ci nasce un figlio, che ammanta tutto di un’aura di luce, senso e valore e ci sembra possibile decidere e fare ogni cosa.
E’ proprio un sistema, che reca in sé l’ennesimo paradosso:
- So che devo curarlo in ogni ambito specifico.
- Contemporaneamente devo sapere che il sistema non mi permette tante forzature.
- E nonostante tutto ciò, devo forzarlo sempre più verso le mie vere priorità
- E saper gestire i ri-allineamenti improvvisi dopo aver indirizzato con coraggio la mia vita
Per cui, se l’influenza familiare mi ha lasciato ad esempio:
- una timidezza estrema
- o un’incapacità di guadagnare denaro con il mio talento
- o saper dire di no quando serve
- o saper gestire le difficoltà di una vita di coppia
se non “mi risolvo” in qualche modo, ma mi appoggio ancora a mia madre, (con cui magari ho pure scelto di lavorare…), oltre a far imbestialire mia moglie, farò in modo che anche ognuno degli altri ambiti ne risentirà.
Mentre, prima o poi, visto che siamo umani, ogni pilastro va curato, altrimenti non è facile stare naturalmente bene.
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