Chi Ti Crei di Essere

Avevo vent’anni.
Non permetterò più a nessuno
di dire che è l’età più bella della vita.

incipit di Aden Arabia di Paul Nizan 

E’ Facile Dire Io Sono?
Che cosa vuol dire infatti Essere nella nostra accezione, in terapia? In che cosa le persone ‘non sono ancora’ all’inizio della terapia? Dove i clienti possono Essere di più se stessi con un cammino strutturato di consapevolezza?

E’ tutto lì. Ne scriviamo, dei tre livelli, affinché il senso dell’Essere alla fine si compia.

Siamo tutti destinati a questa manifestazione compiuta di sé. Solo che alcuni o moltitudini interrompono il cammino prima. Codesta è l’accezione con la quale avvicinarsi all’Essere. Anche se molti pensano sia grasso che cola. Un’abbondanza, un lusso, un superfluo, un destino di pochi. Non lo è. E’ un diritto. E come ogni diritto, non si discute. Non si negozia. È un inizio. Un punto d’inizio. Ecco che cosa cambia con l’Essere. Si parte dalla manifestazione di quel che siamo. Ogni mattina. Presuppone allora la creatività. L’espressione di sé. L’originalità. L’espansione. E, prima di tutti, il piacere. Assunto come linea di base, di prospettiva e di ritorno, sempre nel circolo del piacere. Tutte le altre categorie mediane e mediocri, vengono spazzate via dal senso del piacere, nell’Essere.

Se non sei nel piacere, non sei nell’Essere (te stesso fino in fondo).

Dicevamo, negli articoli precedenti, dell’ispirazione. Ad un certo punto, solo come esempio, ci può venire in mente di andare e di fare un semplice gesto, una visita, un viaggio, e durante il cammino, inondare di energia proprio ciò di cui abbiamo bisogno, la persona giusta, l’intuizione che cercavamo. E allora trovare e creare ciò che incontriamo ci appaiono coincidere. Oppure, miracolo, abbiamo bisogno di casa, e senza bisogno di far nulla, ci arriva. E così una relazione. E così qualsiasi nostra intuizione sul lavoro.

Vi è mai capitato?
Vedete? Lo considerate un evento cosmico, irripetibile o raro.
Al contrario, quando ciò accade, vuol dire che i tre livelli sono allineati. E si può ripetere. Perciò ne parliamo. Come ricreare le condizioni per questa meraviglia? Come renderla acquisita? Serendipity, o serendipità. Ecco qua, come dice la nostra bambina, tutta soddisfatta.

Il Fare ha la sua dignità. Il Sentire indirizza al senso. Ma quel che facciamo materialmente e sentiamo costantemente, a cuore aperto e polmoni accesi, è a questo stadio, al momento dell’Essere, solo conseguenza, fioritura, e non più solo del Sentire, bensì dello status di libertà (la libertà che cogliamo nei rimandi degli altri e nella nostra condizione assertiva) che si autodetermina.
Il Sentire qui è una conseguenza dell’Essere in un certo modo.
Io non sono questo che mi dici tu, caro mio. Io sono quest’altro e scelgo di essere così. Perché lo sento finalmente. E tale mio Sentire organizzato è la conseguenza di ciò che scelgo come mio Essere definito, che determino ogni giorno.

Fare una cosa allora non esiste più come concetto. E’ come se invece le cose ci accadessero intorno.
Accade da solo un evento. Sentiamo che in qualche modo lo determiniamo noi tale evento, ma senza materialmente produrlo noi, questo Fare. Come se lo lasciassimo accadere. Nella legge dell’Attrazione, Ester e Jerry Hicks parlano dell’Arte del Permettere quale terza legge universale, dopo l’Attrazione e la legge della Creazione Intenzionale. Permetti che le cose che senti già dentro di te, accadano. Semplicemente.

Vivendo in tal modo, sono realmente quel che sono destinato ad Essere. Per definizione e non per raggiungimento. O9
Permettiamo che le cose si materializzino intorno a noi secondo i nostri desideri.
L’Essere ha quindi una sua struttura, dicevamo. Come un bolero di ravel, avanza inesorabile. Ha un senso sanato di famiglia d’origine dentro di se. Si veda i 4 pilastri, a questo proposito. Vale a dire che abbiamo sanato in terapia almeno abbastanza le disfunzioni che ci hanno lasciato, e riusciamo a parlarci dentro come se fossimo finalmente accompagnati, rispecchiati, risuonati, vivaddio come avremmo sempre dovuto. Ci sentiamo un’orchestra di voci, tutte proficue e attive, desiderose, magari in disaccordo, ma vitali, accese, entusiaste, motivate, vogliose, palpitanti. Insieme. Ci sentiamo finalmente accanto qualcuno dentro di noi. Messi insieme. Non più soli. Ooohh.

Vedete? Tutte condizioni che prima figurati.

Eccolo l’Essere. Una struttura e una rete che si muove. Una casa desiderata, dei gusti sviluppati, una relazione esplorata, una vita stratificata, dove ogni cosa ha una radice corrispondente e tutto è una testimonianza.

Sentite anche il legame, la corrispondenza, il basarsi sulla sponda, dove ogni cosa è collegata, che abbiamo visto nel Sentire? E percepite che questa attitudine qui è come se avesse preso vento e si sia espansa? Ecco. E’ la vela dell’Essere.
E’ vero amici miei, datemi retta: le persone vengono in terapia con una stanzetta grigina appena arredata (lo usiamo come simbolo ma in molti casi è reale) ed escono con una casa dei sogni nel luogo migliore per sé. Con tutte le domande, quelle belle pesanti, evase finalmente. E ogni tendine e canale di sé nella giusta posizione, esplorata e messa a posto. Tutti i cassetti sono rimessi in squadro e così le porte di sé. I ricordi. Che cosa e chi rimettere al posto giusto. Con chi rappacificarsi ‘dentro’. Chi ringraziare. Che cosa vuol dire ringraziare. E come si fa. Come farla finita davvero con quella persona o situazione o atteggiamento che volevamo risolvere da sempre e mai abbandonato sul serio.

Entriamo sempre adolescenti in terapia, per certi versi, anche a 50 anni, non importa, perché alcune cose ce le trasciniamo, tutti. E usciamo adulti, responsabili, liberi, con un senso della propria vita, uno scopo primario, una libertà sentita alla buon’ora, e un aver fatto i conti con la vita e la morte, citando Yalom, grande maestro.

Evvabene, chiediamocelo: ci si arriva anche senza terapia? Sì è no. Sì, se la nostra vita è stata comunque terapeutica e queste domande ce le siamo poste in ogni caso e al momento giusto. No, in realtà, perché in ogni caso, rispecchiarsi in modo dedicato e approfondito e per stagioni e stagioni, mette un bollino di garanzia che non ci stiamo ingannando. In sostanza credo abbiate capito il segreto: nell’Essere non contano tanto le risposte quanto la struttura che continua a porsi le domande giuste come modo di Essere. Vuoi stare bene? Cerca la verità. E cerca quindi le domande per ascoltarti meglio. Ogni giorno.
Nell’analisi, nella terapia, almeno bioenergetica, emotiva e corporea, conta come ci guardiamo dentro e intorno a noi. E che cosa continuiamo a chiederci. E questo si impara nell’Essere. Nella grande scuola della vita.

Quando non siamo nell’Essere? E come rendercene conto?

Per definizione, in un certo qual modo,
è chiaro che siamo sempre tutti in una qualche forma dell’Essere, coinvolti nel fiume delle cose. Ma è la qualità e la profondità e il tempo passato in tale modalità del manifestarsi che conta.

Alcune delle citazioni famose che ci dimostrano che non siamo nell’essere compiuto di solito sono:

“Cercando di sembrare ciò che non siamo, cessiamo di essere quel che siamo.” “Continuiamo a bere del pessimo vino preoccupati che i calici siano di cristallo.” “La superficialità mi inquieta ma il profondo mi uccide.” “Diventiamo ridicoli solo quando vogliamo apparire ciò che non siamo”.

Ecco. Quando siamo in questi stati d’animo, siamo lontani dal nostro essere compiuto.

E’ un Essere che non è più Essere, anche se magari lo è stato. Prendete ad esempio la fine di una relazione. Ogni oggetto e ogni sentimento ci appaiono da ridefinire. Chi siamo al termine di una relazione, magari con figli? Che qualità ha più il nostro Essere? Non è da rifondare? Senz’altro è da ristrutturare. Cosa mi porto via da questa casa? E che cosa lascio? Cosa mi lascia questa relazione? La cancello o la assumo dentro di me? Domandone, ma necessarie

Nella sostanza, le problematiche dell’Essere, quando si presentano, sono più stratificate del Fare o del Sentire. Perché l’identità e la struttura che si sono create nel tempo possono suonarci di colpo completamente false o costruite sul nulla e senza più veri presupposti. Perciò la problematica dell’Essere ha a che fare con l’identità, mentre nel Fare forse non si sono nemmeno create le strutture e i gesti e le operazioni anche complesse, come intraprendere una carriera, sono state bloccate ab initio dal malessere (Mal Essere) di vivere.

Sono gli stessi concetti su cui si è da sempre interrogato l’essere umano. Solo che una volta la terapia non c’era. C’era la Filosofia. E, in filosofia, chiedersi cosa sia l’Essere è centrale. Soprattutto perché si crea fin dall’inizio della ricerca filosofica la distinzione tra Essere di Parmenide e Divenire di Eraclito. Siamo immutabili? O in continuo divenire? Nella terapia moderna si  considera che la nostra essenza reale, primaria, il nostro vero sé esiste, ma che ha da essere espresso per far esprimere tutto il proprio potenziale. Così come sia Platone che poi Aristotele mediano la contrapposizione tra Essere e Divenire. Aristotele riconosce che esiste sia un Essere immutabile che un Essere che ha una Forma gerarchica, corruttibile, che può non esprimere ancora la sua Essenza ontologica, cioè che cos’è veramente. E considera che l’Essere e la sua Sostanza, il fondamento della realtà sensibile, può declinarsi in 10 categorie dell’esistenza.
Pertanto, chiedersi chi siamo e come diventiamo noi stessi, è la domanda prima e cruciale che l’essere umano si è sempre posto, fin dalla notte dei tempi.

E qui si arriva, sempre, nella vita: a chiedersi chi siamo davvero. E su che cosa ci agitiamo in realtà.
Vogliamo una dimostrazione di che cosa vuol dire porsi il problema dell’Essere, in analisi? Vediamo qui di seguito alcuni punti che suonano come pietre miliari del lavoro che una persona sta facendo su di sé proprio in queste settimane. Sentite quale livello di profondità e di ingaggio con se stessi rappresentano le seguenti affermazioni. Sono tutte emerse nelle sedute di terapia.

Per paura di morire (della malattia che ho) non affronto mai le mie verità interne, piuttosto affronto la morte reale della malattia grave che mi sono andato a procurare.

Io sono maledetto.
Condannato all’esclusione.
So che non è vero. E questa è la mia terapia. Ma l’ho sempre sentito. Adesso occorre che ci faccia i conti. Una volta per tutte. Non è vero per niente, porca miseria. 

Mi sono sempre dannato l’anima per far fronte al conflitto mortale con il senso di esclusione (che mi ha passato la mia famiglia) per farmi finalmente valere.
E mi sono teso così tanto in questa guerra continua, che alla fine ho dovuto decidere che io potevo solo morire e di una brutta morte.

Se io non rientro nel lavoro e nei miei progetti per continuare questa guerra per farmi valere, mi sento morire. Se invece ci rientro muoio sicuro, per la malattia, che non vuole che mi sforzi. Non c’è scelta.
Devo sentire questo impasse e stare lì. L’ho capito che questa è la terapia. Fino a che la contrapposizione si sciolga in una soluzione più profonda, che non mi faccia più sentire lacerato. 

Non riesco a lasciare andare questa sensazione tragica di conflitto e ad abbandonare lo stress totalmente.

Non riesco a vivere leggero, in pace, soddisfatto e nel piacere continuo, per prima cosa, per poi trasportare questo piacere totale e diffonderlo in quello che poi sarà già lavoro e denaro senza accorgermene.

E subito dopo questi grandi passaggi rivelatori, sentiamo entrambi, nella seduta successiva, il ritorno alla concretezza, al sentire e al fare:

Bisogno di ricordare e di lavorare su 3 cose su cui contare ogni giorno:
Non cambiare idea
Responsabilità costante
Non lavorare mai più 15 ore.

Questa è la terapia. Una danza, a due o in gruppo, ancora meglio, tra che cosa Fare, come Sentire e che qualità vogliamo dare al nostro Essere. Ecco.

Si può Fare, da dentro da fuori. E così per gli altri due livelli. Se sono separati tra loro e fini a se stessi sono vissuti senza consapevolezza. Privi di legame.

Se sono invece considerati come tre manifestazioni di un unicum, e ne siamo consapevoli, allora siamo già un pezzo avanti, un gran bel pezzo avanti.

Quando ti muovi Essere e di chiedi Essere e respiri Essere, non fai più un trasloco per necessità, ma per spostare pezzi di vita. Una macchina, un lavoro, un luogo in cui vivere, diventano veri e propri modi di Essere (Esprimere) sempre se stessi. E non sono più tirati via, come prima, nella foga di cercare chi Essere.

Torna ai livelli precedenti:

Fare
Sentire

Torna all’articolo iniziale, che spiega l’argomento, di cui questo è continuazione: I Tre Livelli d’Esistenza.

Oppure inviaci un messaggio con la tua richiesta all’indirizzo:

marco.digiovanni@analisibioenergetica.com

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