La casa era quella dei genitori,
ed evidentemente era rimasta uguale a come l’avevamo arredata loro:
vecchi mobili, vecchi soprammobili, vecchi tappeti.
Il posto da cui era scappata quando era ragazza e dove era ritornata,
al completamento di un’orbita triste attorno ai propri sogni.
Gianrico Carofiglio, La Misura del Tempo.
Per trovare l’Atto Simbolico giusto ed efficace, le persone in terapia rispondono alla seconda domanda cardine che, potete capire, arriva prima o poi nel lavoro su di sé:
Se la prima questione, si veda il punto relativo, è stata:
“dove non mi posso più permettere di stare?“.
(Altrimenti non risolvo davvero, non esco dal pantano, non mi do una mossa e così via…)…
… La seconda è:
Che cosa posso fare, di simbolico e risolutivo per me, per non starci più?
Le risposte sono emotive, ripetute a lungo e appuntate, registrate.
Segue una disamina, da soli e poi insieme al terapeuta, delle risposte, fino a trovare l’atto che possa aiutare il cambiamento.
Provate allora a porvi anche voi la domanda:
… Che cosa posso fare per non stare più in condizioni che con certezza non mi fanno bene?
(Di simbolico, importante e rappresentativo per me, che mi stimoli a non mollare, sancisca un punto di non ritorno e dimostri a me stesso la mia nuova posizione di vita e la vera immagine di me).
E scrivete ogni risposta emotiva che vi viene, ponendovi la questione più e più volte, fino a che avete espresso tutto, ogni piccola ipotesi.
Poi, cercate qual è -tra le risposte- l’aspetto più significativo per voi, che sia il minimo comun denominatore che regga e origini tutte le altre risposte. E fatevi aiutare come al solito da un professionista qualificato.
Queste le risposte della cliente di cui al punto precedente, Cristina, che aveva scelto di donare ogni giorno come Atto Simbolico e la Restituzione, come metafora:
- Aprirmi anche se mi tradiranno e la vita mi deluderà.
- Crederci che le cose possano cambiare
- Che io possa amare e ricevere amore
- Sentirmi soddisfatta
- Arrendermi finalmente e cessare le ostilità
- Non avere più paura di non farcela
- Smetterla per sempre di stare nella mancanza
- Io non sono diversa ed esclusa! Dirmelo ogni giorno
Ora, tale nuova immagine di sé ha necessità di una metafora, una sintesi, una storia più vera e potente, che si esprima in un atto simbolico, il quale sancisca una vita nuova e più vera e sbloccata.
“Che cosa desidero ricevere che ancora non do?- si è chiesta dopo aver riletto la lista.
Ciò che nutro, mi nutre.
Allora, è ora che inizi a nutrire anziché cercare come essere nutrita”.
L’altra “mossa” dell’atto simbolico è che “sfida” le proibizioni interiori in modo diretto, eppure ancora controllato perché non vuol dire dimettersi, cambiare vita, separarsi in un giorno e andare a vivere in India, ma è comunque significativo e dice al mondo:
ah, così è? Allora io adesso vi mostro chiaramente che faccio questa cosa che comunque rappresenta qualcosa e quindi lo fa vedere a me per primo, che sono in grado e capace.
E’, certo, un’azione ancora solo dimostrativa, ma è comunque un atto concreto, che sposta energie e denaro.
Che cosa pertanto definisce un atto simbolico? Il fatto che sia un’espressione reversibile e non stravolgente gli equilibri emotivi e sociali ed economici, ma che indirizzi comunque energie e orienti situazioni e abitudini. Contiene di fatto, sempre, una dichiarazione d’intenti.
Vuol dire, usando un’altra metafora, che non prendo armi e bagagli e vado all’estero, ma nemmeno che lo penso soltanto. Comunque inizio a preparare le mie cose, e il “nemico” se ne accorge, sente che è cambiato qualcosa negli equilibri, appunto.
Sapete, ad esempio, quante persone annunciano separazioni senza però mai muovere un dito e stando per anni a convivere nel rapporto finito?
Non ci si può separare per ragioni economiche? D’accordo. Ma dirlo, affrontarlo, andare insieme in terapia, trovare delle strade diverse di convivenza e di sana ridefinizione del rapporto, effettuare dei periodi di simulazione e vedere come va….
…è molto diverso dal solo pensarlo, senza nemmeno esplorarlo realmente dentro se stessi.
Se a ciò aggiungiamo l’emozione chiave che fa da leva in modo diverso, come abbiamo visto e che ci ha cambiato l’atteggiamento, vuol dire che dimostra anche un’immagine di sé che è “altro” rispetto al “timido, pauroso e riservato” che vedevamo prima, il quale realizzi finalmente la nuova metafora della propria vita.
Perché quindi l’atto si dice simbolico?
Perché esiste un meccanismo regolatore che fa sì che io non compia atti scellerati… per fortuna.
Perché non vuol dire che esistano solo le modalità spento/acceso.
Proprio per tutto questo, l’insieme dei 4 punti di vista:
Emozione / Immagine / Metafora / Atto Simbolico
…mi farà scoprire, nel senso che mi pongo nella dirittura d’arrivo di andare a toccare con mano, il Mio Scopo Primario. Che è qui -vale a dire a questo punto del cammino- che si appalesa, fa capolino, si afferma e si conferma.
Emozione Chiave Vera Immagine di Me
Visione Radicata / Scopo Primario
Atto Simbolico Nuova Metafora
Nel mio caso il mio scopo si è mostrato al mondo con l’aver aperto il mio primo studio.
In quello studio, si è nutrito della metafora:
da questo momento in poi, io vivrò per aiutare in ogni istante gli altri
a star meglio e a non sprecare la propria vita.
E mai più alimenterò la preoccupazione quotidiana
in cui sono cresciuto, nella mia famiglia d’origine.
Da qui, l’Atto Simbolico è stato: se non c’è più distinzione tra lavoro e tempo libero, se la mia è una missione, uno scopo ulteriore e prezioso che mi nutre più di ogni altra cosa, allora non considero più spazio e tempo e (altro Atto Simbolico) lavoro di sera, 3 sere a settimana dalle 19.15 alle 22.15.
Questo passo imprescindibile ha messo in luce la vera ’immagine di me:
“io sono sensibile e in grado, e non pauroso come avevo sempre pensato!”.
“Allora sì -mi dissi: adesso sì, sento che sono al centro del mio respiro, al posto giusto dove sono destinato a stare”.
Ecco: questo e ogni altro Atto Simbolico sancisce al mondo che noi siamo indipendenti, che vogliamo andare in una direzione, e la mostriamo al mondo.
Ci sono ovviamente miriadi di livelli di impegno e di dichiarazioni che possiamo fare.
Comprare uno studio e lavorarci la sera è più impegnativo di cambiare totalmente la dieta e le abitudini. Ma si nutre degli stessi tipi di atti che -stagione dopo stagione- ci portano a cambiare così tanto la nostra vita.
Può essere un semplice “passo” che inserisca ”qualcosa di più piacevole” alla giornata o le tolga qualcosa di fastidioso, in virtù di un piacere presente o futuro.
Perché Simbolico?
Perché -come abbiamo detto sopra- non dev’essere un cambiamento drastico e indissolubile e senza ritorno. Non è: mi dimetto, parto e vado in India. Altrimenti in India troverò sempre il mio stesso ego e le mie attuali difficoltà.
Ciò per il meccanismo regolatore -che si chiama il “vero sé”- che mi preserva dal buttar via la mia vita fino a che non ci sia armonia, e tutte le istanze non siano messe a posto dentro di me, almeno in una certa misura di consapevolezza e di connessione ad un mio nuovo modo di esistere e manifestarmi.
Vale a dire che ci sono, come dicevamo poc’anzi, 2 grandi modi di realizzare un Atto Simbolico.
1. Un primo atto, senza la connessione con una nuova e più vera immagine di me e un’emozione chiave che mi guidi.
2. Ed un altro, consapevole, centrato e potente.
E’ fondamentale saperlo, poiché, se questo atto simbolico non è espressione di una metafore di benessere per me, allora vorrà dire che posso compiere anche tutta una serie di semplici decisioni e azioni, ma lo farò secondo carattere e non me li godrò, o non avranno il respiro che potevano avere o non sentirò progressione reale, non sanciranno una prova, una dichiarazione, o lo faranno a livello di orgoglio e di ego, e -ad esempio- ci dispiacerà che non siano notati- e forse lo faremo anche solo per essere notati, per compiacerci eccetera.
Accade ad esempio quando ci mettiamo a dieta e ci iscriviamo in palestra, senza poi continuare per il tempo necessario, perché non viene sancito un vero e proprio cambio totale di esistenza: evidentemente lo avevamo deciso per motivi non abbastanza profondi.
Un altro aspetto rilevante è che -così come l’atto simbolico è una fioritura consapevole verso il benessere- il problema, la difficoltà, il sintomo e la malattia sono atti simbolici del malessere.
La verità è che non esiste una terza possibilità:
A. O compio atti, azioni, atteggiamenti, e sviluppo metafore preziose per il mio benessere
B. Oppure, automaticamente, mi muovo nel sistema del malessere. Ecco l’importanza allora di tutto questo passo nella visione radicata di me, della mia salute e della mia vita.
Purtroppo anche la malattia è un atto simbolico, a livello psicosomatico, del malessere.
Claudia Rainville, con la sua Meta Medicina, scrive nel suo libro più famoso, Ogni Sintomo è un Messaggio:
La simbologia del corpo mira a una ricerca introspettiva delle cause che hanno originato le manifestazioni di squilibrio. È dunque sempre essenziale sapere in quale contesto è comparso il disturbo o la malattia perché la medesima manifestazione può avere cause molto diverse da una persona all’altra, proprio come cause molto simili tra loro possono originare manifestazioni diversissime in individui diversi. (pag. 200)
Braccia (ad esempio): rappresentano le nostre capacità di prendere e di eseguire. L’impressione di aver preso qualcosa di troppo, o il pensiero “devo far tutto io” può far venire male alle braccia.
… la chiave per uscire da questa prigione emozionale sta nello smettere di consolarmi, scegliendo invece di vivere il mio dolore esprimendolo a una persona che sappia accogliermi. (pag. 38)
Più allarghiamo il campo della coscienza, più possiamo intervenire per trasformare favorevolmente il nostro mondo, tenendo sempre più saldamente le redini della nostra vita; d’altro canto, più il campo della nostra coscienza è limitato, più subiamo gli assalti del mondo che abbiamo creato con la nostra ignoranza. La nostra realtà è qualcosa che creiamo noi stessi ad ogni istante con i pensieri sui quali ci sintonizziamo, con le parole che pronunciamo, con le scelte che facciamo; se scegliamo di ascoltare musiche o canzoni tristi, la nostra realtà per forza diventerà triste, che ne siamo consapevoli o meno. (pag. 68)
Quando una situazione provoca in noi una reazione emotiva, vi sono forti probabilità che questa situazione sia in risonanza con un evento passato registrato nella memoria emozionale. Accusare l’altro di essere responsabile della nostra reazione, sperare che lui o lei cambi non è la soluzione: non appena ci ritroveremo davanti a una situazione simile (con quella persona o con un’altra), reagiremo di nuovo allo stesso modo, a meno che non trasformiamo il dato memorizzato nel cervello limbico. La memoria emozionale del cervello limbico contiene la risposta a molte cause di malessere, di disturbi e di malattie. (pag. 35)
Queste ultime affermazioni rispondono bene alle domande:
Perché è necessario un atto simbolico? Cosa succede senza?
Accade come in molte terapie tradizionali del passato, che il capire non è sufficiente, e avere chiaro lo schema rimane sospeso, senza reale impulso e stimolo nel fare finalmente qualcosa di diverso.
L’Atto Simbolico è prezioso perché noi ci lamentiamo sempre di non riuscire a trovare poi un aggancio alla realtà, mentre invece sappiamo benissimo che in verità è il sistema del carattere che fa difficoltà ad abbandonare le posizioni consuete, recalcitra, e in realtà non vuole affatto cambiare.
Facciamo così finta di fare terapia per parlare di come fare terapia.
Mentre invece sapere di avere uno strumento così semplice, potente e di aiuto concreto, risulta discriminante.
Il cambiamento ha da essere fatto a livello profondo, incisivo, emotivo, nel sistema limbico, come abbiamo visto affermare Claudia Rainville. Questo è il reale motivo per cui sembra più facile rinunciare, poiché solo un gesto rappresentativo, che arrivi al punto dove i sistemi simpatico e parasimpatico della muscolatura si incontrino, influenza davvero il benessere psicofisico e lo mantiene stabilmente in salute.
L’Atto Simbolico, quando lo si comprende sul serio, fa sì che ogni nostro intento lo diventi in una certa misura, simbolico. Vale a dire che io stesso che lo compio sentirò che ogni passo che faccio adesso mi rende consapevole dell’indirizzo potenziale che contiene. E allora mi sento avveduto, pieno di responsabilità, nel dire: ok allora adesso la strada conseguente è questa!
E come ha dichiarato Aldo, un altro cliente di cui abbiamo parlato in queste note:
“E’ questa la responsabilità?! – mi sono detto! Alla fine era da una vita che volevo essere diverso, essere un’altra persona, e sentirmi responsabile, qualcuno che sa quel che vuole! Ma mi sembrava un sogno e un’utopia. E adesso mi guardo da fuori e mi vedo: lo sono diventato non “essendo un altro”! Bensì andando fino in fondo a sentirmi me stesso!”.
E Cristina, di cui sopra:
“Che cosa restituisco? Il dono di avercela fatta senza sostegni e la capacità di farcela tanto da poter aiutare gli altri. Ecco, questo l’ho sempre sentito. Ma adesso non sento più l’obiezione lancinante: e a te chi ci pensa?!? Nessuno?!
A me non c’è bisogno, mi rispondo. Vivo una vita di abbondanza meravigliosa. E all’inizio credevo di recitare. Invece è vero così. Iniziano a dirmelo tutti. Il film lo vivevo prima, quando me la raccontavo di essere una povera sventurata”.
Carl Gustav Jung, che si è occupato massimamente degli atti e dei loro significati simbolici, afferma a più riprese l’importanza della loro consapevolezza:
Un simbolo può dirsi vivo solo quando è, anche per chi l’osserva, l’espressione migliore e più alta possibile di qualcosa di presentito e non ancora conosciuto. Solo cosi… esso giunge a generare e promuovere la vita.
(…)
Un simbolo non è né astratto né concreto, né razionale né irrazionale, né reale né irreale: è sempre entrambi.
Carl Gustav Jung