L’uomo dà un’impronta alla propria vita solo dominando il proprio carattere o facendosene uno.
Honoré de Balzac
Ama la vita più della sua logica, solo allora ne capirai il senso.
Fëdor Dostoevskij
Ed eccoci arrivati al punto di svolta.
Quello che ci fa cambiare respiro.
In ogni crescita, parabola esistenziale e maturità, è il punto focale di tutta la faccenda.
E’ smetterla di fingere di battagliare con il mondo esterno e portare la lotta, l’attenzione, il conflitto, laddove ormai nidifica da decenni: dentro di noi.
E finalmente trattare con i mandanti di tutte le cammellate che ci fanno ritrovare ogni volta in mezzo alla famosa melma alta fino al collo.
In questo senso l’esperienza “Chi Ha Ragione Dentro di Te?”, in terapia, spalanca prospettive di consapevolezza e di azione e di reale cambiamento.
Ciao cambiamento! Era qui che ti nascondevi, eh?
C’era una volta, un tempo, tante ma tante estati fa, in cui questo conflitto / confronto / trauma mutevole e multiforme, era vero, riconosciuto e realmente fuori di noi.
Per alcuni era una mamma così ossessionante da rovinare loro la vita anche nei decenni successivi. Per altri, l’obbligo a cancellare qualsiasi ambizione perché per i genitori era così e basta, non si poteva discutere. Per altri ancora, purtroppo, il terrore della violenza in casa e così via. L’elenco potrebbe essere lungo.
Ma oggi è una lotta ai fantasmi quella che intendiamo da soli contro il mondo, verso il lavoro, gli affetti e la realizzazione e la progressione e la serenità e il benessere.
Ogni santa terapia o percorso qualsiasi di consapevolezza arriva sempre a questo punto: comprendere come e quanto e fino a che punto proiettiamo sempre lo stesso film. E dove, e come, e perché, e come mai e fino a quando e in quanti modi crediamo ciecamente di fare B, C, D… N… e invece ci ritroviamo sempre a fare A, camuffato da tutto l’alfabeto.
E a volte basta invece una seduta topica e rifondante che ci sposti la prospettiva come un pugno in faccia.
Diceva un famoso manager di Mike Tyson: tutti hanno un progetto fino a che non ricevono un pugno in faccia.
Ma è un’esperienza appunto cruciale che va fatta dopo aver chiarito tutto ma proprio tutto della propria infanzia, delle ormai consolidate tendenze caratteriali, di quel che ci è successo davvero.
Una persona mi ha detto pochi giorni fa che la mamma fin da quando lei aveva 3 anni, l’aveva istruita ben bene:
tu adesso continui a stare dai nonni e fai la brava e vai all’asilo e non disturbi perché noi dobbiamo costruire la nostra casa e poi dobbiamo lavorare.
La morale però è che sui 10 anni iniziali della sua vita, lei ha vissuto letteralmente dai nonni per 8, vedendo i genitori al Sabato e, solo a volte, alla Domenica.
Ma la persona in questione, ora, non lamenta questo. Lamenta di essere sottoposta a ingiustizie sul lavoro e nelle relazioni da decenni.
E che la sua vita è solo sacrificio e niente piacere né facilità né realizzazione di sé. Maddai?
Senza alcuna consapevolezza, all’inizio, di come questi accadimenti abbiano a tutt’oggi un filo diretto e legato a doppio nodo con il trattamento educativo ricevuto e non altro. Non altro. Non altro. Punto.
Adesso ha iniziato prima a capirlo. E poi ad accettarlo.
E se in principio è stato sconvolgente per lei vedere queste correlazioni, vi garantisco che poi è stato moltissimo più facile, semplice, rigenerante e naturale di quello che lei credeva.
Ovvio: se per lei tutto è sacrificio e rinuncia… Ça va sans dire che non possa credere di poter capire subito e quindi vivere bene dal giorno dopo e in modo semplice e naturale.
E recentemente è arrivata allora al dunque nella seduta in cui le ho chiesto:
“Ma chi ha ragione dentro di te?”
- La parte che ti riporterà sempre al sacrifico, al blocco del piacere, al non poterti permettere niente?
- Oppure i desideri che ardono da sempre dentro di te e la paura che se li realizzi starai male o succedere qualcosa? Come vuoi schierarti? Quale posizione di vita vuoi prendere?
Perché ormai lei sa che il suo problema non è e non sarà mai l’ingiustizia che continuerà a percepire sempre come prima impressione.
E nemmeno, una volta consapevole, la lotta per star meglio ed uscire dai guai continui.
La conquista sarà rendersi conto che la propria ferita è che lei è convinta in profondità, grazie al bombardamento di sacrificio subito cosi precocemente, che si sentirà esclusa dal piacere e dalla soddisfazione, sempre e comunque e in ogni occasione. Senza che questo sia vero mai e poi mai:
Lo sentirò sempre. Non sarà vero mai.
Scrive William Somerset Maugham:
“Il sacrificio di sé è una passione così prepotente da fare impallidire, al confronto, perfino la fame e la lussuria. Avvolge e conduce alla distruzione le sue vittime nella più alta affermazione della loro personalità. L’oggetto non conta: può essere degno o indegno. Nessun vino è tanto inebriante, nessun amore così rovente, nessun vizio così attraente. Mentre si sacrifica, un uomo è per un momento più grande di Dio, giacché, infinito e onnipotente com’è, come può Dio sacrificarsi? Nel migliore dei casi può solo sacrificare l’unico suo figlio”.
E cosa succede se non iniziamo un cammino di consapevolezza su questo sacrificio?
Finiamo in una rassegnazione filosofica della vita sacrificata, facendone un cardine di esistenza e di abitudine.
Una descrizione dell’impietoso Charles Bukowski rende bene questa situazione:
“La gente aspettava per tutta la vita. Aspettava per vivere, aspettava per morire. Aspettava in fila per comperare la carta igienica. Aspettava in fila per prendere i quattrini. E se non aveva quattrini aspettava in file più lunghe. Aspettavi per dormire e poi aspettavi per svegliarti. Aspettavi per sposarti e poi aspettavi per divorziare. Aspettavi che piovesse, poi aspettavi che smettesse. Aspettavi per mangiare, poi aspettavi per mangiare di nuovo. Aspettavi nello studio di uno strizzacervelli con una masnada di psicopatici e ti chiedevi se lo fossi anche tu”.
Ecco, amici miei. Occorre schierarsi, decidere, fare dei passi concreti su dove andare e che cos’è un’illusione e che cosa invece è realtà. Tutto essenzialmente qui.
E prima iniziamo e prima ci rendiamo conto che proprio questo e solo questo è il processo reale della vita, pieno, pienissimo di verità.
E che quindi non finisce mai.
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