E’ tutto molto chiaro.
Eppure.
L’ennesima volta che lo senti, capisci che i livelli non si parlano.
Il problema è che il livello di comprensione non si parla con l’azione conseguente.
La necessità di cambiare le abitudini non si parla con l’abbandonare ciò che ci fa male sul serio.
In sostanza, io non parlo con me stesso. Realmente.
Le persone allora arrivano e parlano di sé in terza persona. Si vedono da fuori. E tutto in teoria sembra quadrare.
Sì è vero, l’avevo detto, ma sai, stavolta proprio non ce l’ho fatta (mica sono io che devo farcela, non sono certo io il responsabile di me. Il mio cambiamento? Eh, magari riuscissi a farlo diventare un mio compito).
E lì capisco che stiamo giocando. Al gioco vado in terapia ed è l’unica cosa che riesco a fare. Più di questo, cosa posso volere…
La cosa che non va è proprio il non vedere il punto cruciale: non consideriamo nostro compito provarci, o provarci davvero e seriamente.
Allora, vedere le questioni della vita come ‘livelli che non si parlano’, capire da dove viene questo blocco dell’esperienza, e tornare ad essere conseguenti, a far interagire i livelli, a farli dialogare, a permettere che il livello decisionale sfoci nella serie di nuove abitudini, ci riporta a sentire padronanza delle cose della vita, ed è un’esperienza rigenerante e coinvolgente.
Finalmente tutto torna a girare.
E chi sovrintende la mia vita sono di nuovo io.
Ne abbiamo parlato nei 3 Livelli dell’Esistenza, Fare, Sentire, Essere.
Ma vale per qualsiasi cosa.
Ascoltare qualcuno che parla di sé senza responsabilità, e fargli vedere come mai e cosa può fare, gli ridona consapevolezze perdute da decenni.
Il fatto è che le anime che sentono il bisogno di lavorare su qualcosa che non va, avvertono proprio un’oscillazione tra un comportamento e un altro, e poi tra un altro e un altro ancora, in cui si sentono totalmente in balìa del fuori, oppure di parti di sé totalmente diverse e senza alcun controllo delle proprie energie. E senza capacità di scelta.
È un punto focale. L’ennesimo direte voi. Esatto. Se non noti gli sblocchi possibili e non li sai nemmeno nominare, dove riuscirai ad andare?
E le persone tornano a dire: fino a quell’epoca ho fatto così. Poi ho capito. Ci ho lavorato. E ho cambiato finalmente strada.
Il ché, se ci pensate, è come dovrebbe sempre essere. Ma sembra che molti perdano questa capacità di indirizzare la propria vita, e non riescano più a scegliere il meglio per sé.
E sempre di più, tra l’altro, è The Question. This is.
Come mai? Perché siamo tutti più inseriti in un turbinio di dipendenze, di serie di eclissi molto più potenti di prima. Ci sentiamo noi stessi in modo più flebile. Affidati a circoli mentali, razionali e indiretti, pieni di riferimenti che sono altrove. Pensate alla dipendenza da cellulare o da schermi, o al sentirsi tutti forzati ad aderire a comportamenti tutti uguali.
E’ ogni cosa altrove, oggi, sia materialmente, che come immagine mentale.
E’ molto più difficile e non più spontaneo stare qui.
La potenza dei condizionamenti è molto più forte e lo è sempre di più rispetto a decenni fa. E -di converso- è molto meno forte la nostra struttura di abitudini e comportamenti. Molto meno radicata nel mondo reale. Composta oggigiorno di elementi virtuali e senza corporeità, respiro, misura e coerenza.
Ridere, scherzare, stare in gruppo, dove sono oggi nella nostra realtà? Sono diventate rare eccezioni.
Mentre una volta c’era molto di più il mondo concreto delle cose e dei gruppi in presenza, stabili e rassicuranti.
Marianna non sa fermare la propria ansia da quando ha 14 anni.
Non sa tranquillizzarsi e non sa tornare al respiro calmo e potente che pure ha in molti momenti. Adesso sa da dove viene questa ansia e come calmarla, ma non ha ancora deciso che può farlo solo lei. E non ha ancora tirato fuori tutta la propria determinazione e l’accettazione che il compito ora è quello e c’è poco da titubare e prendere tempo.
Capite allora di che cosa stiamo parlando? Dell’indeterminatezza. Del restare nel limbo. Del non riuscire a vedersi sul serio. Del non risolvere davvero.
Attenzione! NON vogliamo dire affatto che la volontà deve condurci a scegliere per forza e a forzarci. L’accettazione è lasciar andare, mentre la volontà vuole troppo determinare tutto. E sono due processi inversi. E come dicono tutti i grandi, da Deepak Chopra a tutto il movimento sulla Legge di Attrazione, fino ad arrivare a Lowen, la struttura della vita di qualcuno che lasci andare, si senta e si allinei alla natura, non ha più necessità di scelta, ha già scelto, la segue intimamente, la strada da intraprendere. Di questo stiamo parlando.
Seguiamo solo in questo modo la strada del benessere.
Quindi se non sai se scegliere A o B, lo diciamo per l’ennesima volta, non fare niente e cerca di comprendere ascoltandoti. Qui affermiamo in più soltanto che -se invece alla fine hai sentito che cosa scegliere- allora la via maestra c’è già, lo hai capito benissimo. E acquisito e discusso. Ma poi fai finta che sia ancora tutto confuso e da rimestare ecc. ecc.
Michele, altro esempio, parla di sé come di tre persone diverse. Amorevole con i figli, irascibile totale con la moglie e irrefrenabile ragazzino con gli amici. E se fosse per lui, questo ragazzino che si sente dentro, lo sarebbe sempre. E non riesce a rinunciarci. Ne abbiamo parlato tanto. Ora è consapevole che quel ragazzino non muore dentro di sé se fa l’adulto, ma è così abituato e così incapace di abbandonare il sogno di essere un gatto selvatico, che non sposta ancora la propria vita di un millimetro.
Pensate allora a dove può arrivare Michele se non si concede meditazioni corporee profonde e fantasie guidate su quanto lui possa e debba per forza vedersi realizzato, univoco e intero, anziché altalenante come si vede da sempre. E immaginatelo inserito in un gruppo in mezzo alla natura, dove si parla, s’interagisce e si cresce ogni giorno. Questa condizione diventa rilevante come cura di sé. Per questo organizziamo sempre di più incontri di Bioenergetica in Paradiso.
Quali sono i livelli?
I livelli che dovrebbero parlarsi sono principalmente: mentale, emotivo, energetico, corporeo.
Se tutta la consapevolezza ormai mi assiste, non vuol dire infatti che poi io riesca a passare dal livello mentale a quello emotivo, e poi energetico: non so affrontare le emozioni necessarie a comunicare a me e gli altri la mia decisione, e a imprimere la spinta necessaria per il cambiamento di vita che tutto ciò comporta. Un caso può essere quando qualcuno ha capito che ogni volta che ha una paura, occorre affrontare per prima cosa proprio l’azione o la situazione che gli fa più paura. Alzare il telefono e chiamare. Confidarsi sempre. Esprimere i propri terrori. Considerarli normali, vista la storia precedente. Comprenderli e assorbirli quindi nella propria crescita, come un processo prezioso, indissolubile, perché ha creato tutte le proprie risorse. E lasciarsi andare, finalmente. Mentre invece si oscilla per tantissimo tempo, stagioni intere, anni, a continuare a fuggire, ad affrontare una volta si e due no, questi stati d’animo.
Lo abbiamo detto recentemente in Semplifica. E poi lo abbiamo ribadito in La Struttura! La Struttura!
Se lo sai, fissalo, scrivitelo, fallo. Se no, ogni occasione passa via in un battito di ciglia.
Infine, un altro esempio è quando il corpo fa un po’ quello che vuole, mi dà segnali psicosomatici, mi boicotta o forse mi assiste, chissà. E ciò solo perché io non considero ‘me’, il mio corpo. Non mi ci identifico. Lo uso il corpo. Ci sono sopra. Non lo curo. Non è ‘il tempio della mia anima’, come lo chiamava Edgar Davids, grande sportivo.
Il livello del sentirsi sé stessi non si parla con il livello corporeo. E non sa nemmeno che deve farlo, impararlo come prima cosa dell’età adulta.
Il punto è che le persone, soprattutto i giovani (!), non sanno più nemmeno cosa voglia dire essere se stessi. Non sono state educate a trovare i propri riferimenti e non sanno che ora si devono strutturare da capo e che è un processo di crescita indissolubile. Chi sono io? Che cosa mi piace? Che cosa no? Come mi schiero rispetto a queste mie propensioni? Oggi anziché rispondere, ci stordiamo, ci droghiamo. Tutti.
Ci sono poi degli snodi, dei bivii, in questi livelli. La responsabilità ad esempio. Che cosa considero di mia responsabilità? La domanda fa emergere tutta una serie di questioni interessanti. Ah, sì, questo lo considero di mia responsabilità, ma solo in teoria, perché in pratica hanno sempre deciso per me in questo ambito. Come, scusa? Eh sì. Ah. E lo licenziamo così l’argomento? Con un ‘non sono capace e basta’? Vuoi continuare a considerarlo non di tua competenza? Un tema così importante come ad esempio scegliere la tua vita? Oppure sentire che cosa ti va o non ti va di fare? E decidere la tua esistenza?
Percepite come queste istanze ci sfuggano dalle mani? Come acqua preziosa che si disperde in un attimo e non c’è già più.
Perdonate se sorrido, ma mi torna in mente un genitore di una mia cliente di 28 anni che non considerava tra i compiti di una ragazza il fare benzina e ritirare denaro al bancomat, per cui lei doveva sempre chiedere a lui e aspettare che lo facesse. Alla fine, lei lo assecondava per fargli piacere.
Ma quello che aveva perpetrato questo genitore nei confronti della figlia, per altri versi, era indicibile, pesantissimo. Un’ultramaratona ad ostacoli.
Se non sono disfunzionali, famiglie così, non so che cosa lo sia di più.
Anche perché tutto questo non parlarsi deriva al 100 per 100 dal rapporto – non rapporto tra i genitori. Nelle famiglie, sono i livelli generazionali a non parlarsi. E quindi poi le persone non si parlano dentro di sé. Allo stesso identico modo.
Padri che non hanno mai affrontato prima con le mogli e quindi con i figli alcun tema importante.
Madri evitanti totalmente che sopravvivono malamente e non glielo si può nemmeno dire che abbiamo un problema.
Queste cose non dirle a me, per favore, parlane con gli amici, perché cosa vuoi che ti dica un genitore?
Ma qualsiasi cosa, cara signora, tranne che ignorare l’argomento.
Altrimenti un problema dell’ ‘800 si trascina fino al 2100. E non sto affatto scherzando.
Un’altra credenza comune, del tutto fuori luogo, è quella di aspettare di avere le idee chiare e di procrastinare qualsiasi decisione, in attesa della ‘scelta migliore’, o delle condizioni ideali per scegliere.
Mentre al contrario, totalmente dalla parte opposta, esiste la verità: si sceglie sempre il meno peggio. Si prende sempre una strada tra due sole possibilità. In questo momento, che cosa posso decidere tra queste due alternative, e non altre? Ogni giorno, ogni momento.
Per esempio, una persona porta in terapia che SA da sempre che cosa gli va di fare, ma fin da bambina l’ha sempre considerato impossibile. Quindi rinuncia. E questo è un punto focale. Se non ci mette tutte le energie per cambiare questo aspetto, cosa ne parliamo a fare?
Quando si ricomincia a vedere, questo è uno dei principi che più ci assiste. Ritorna ad avanzare, per favore, anima agitata. Che comunque per adesso tale resterai. Prendi le tue decisioni, non le rimandare e sii conseguente tra tutti i livelli che la scelta comporta. Punto. Allora e solo allora sarai meno agitata.
Le decisioni sono soltanto l’inizio di qualcosa. Quando si prende una decisione, in realtà si comincia a scivolare in una forte corrente che ti porta verso un luogo mai neppure sognato al momento di decidere. (Paulo Coelho)
Vivi o muori, ma per amor di Dio non avvelenarti con l’indecisione. (Erica Jong)
La decisione più importante della mia vita è stata la decisione di vivere obbedendo ai miei desideri, alle mie idee e ai miei sogni. (Reinhold Massner)
Tu smetti di essere mediocre il giorno in cui decidi di diventare un Campione, perché la persona mediocre non prenderà quella decisione.
(Tom Hopkins)
Un uomo è subito un altro uomo quando prende una decisione.
(José Saramago)
Quindi, in definitiva, non è importante aver preso la decisione giusta. Per me, in quel momento era la decisone giusta. E con coraggio, ho scelto così.
E’ importante che ci siano le condizioni di comunicazione tra i livelli ai quali mi rappresento i problemi. Altrimenti non potrò mai decidere sul serio.
Oggi viviamo tempi in cui è cruciale riportare la capacità di vivere dentro di noi.
Vivere bene è ricreare le condizioni ecologiche di vivere secondo certi criteri di Ben Essere per ciascuno di noi.
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Ora. Ti stai chiedendo qualcosa? Stai prendendo appunti? Facendo schemi? Oppure anche questo tema non ti riguarda perché cose, persone, fiori, frutti e città, per te sono tutti immutabili?
Se vuoi, con il massimo rispetto per la tua struttura delicata e permalosa, che Dio ti abbia in gloria, ti propongo di chiederti: ma porca miseria, c’è qualcosa nella mia vita che non è conseguente? Dov’è che un ambito non si parla con un altro? Che posso rappresentare come due livelli distinti che non riesco a far dialogare e interagire? Chi non parla con chi dentro di me?
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