Il motivo di quel che ti capita
è ciò a cui ti obbliga quel che ti capita.
Non conoscete nessuno che…
…quando è in procinto di fare qualcosa d’importante per sé, incorre in infortuni, contrattempi e guai diversi, variamente distribuiti?
Un’amica mi chiama pochi giorni fa per dirmi che deve essere operata per la rottura del tendine d’Achille. Io non mi sorprendo affatto. Mi dispiace ovviamente, ma sorrido e le rispondo:
Mi spiace tanto per te. Fatti forza. Per inciso, il tendine d’achille ha una simbologia ben precisa:
si rompe a chi sente di dover avanzare sempre da sola trascinandosi dietro tutti e senza poter contare su alcun aiuto. Tranquilla, è solo una suggestione profonda: la rottura ti obbliga per forza a chiedere aiuto e a fare molto meno, che è il vero insegnamento per guarire bene e definitivamente.
Sono ormai decenni che interpretiamo -per lavoro o per attitudine- ciò che sembra arrivare per caso o infortunio.
E sappiamo benissimo, ad esempio in questo caso, che la sensazione di cui sopra, se non affrontata in altro modo, non può che presentare il conto, com’è successo.
Lei infatti crede soltanto che non possa chiedere aiuto mai e che tutto debba pesare sulle proprie spalle, ma non è così, non può esserlo e non lo sarà mai davvero.
Così, quel che le accade, la obbliga a chiedere aiuto.
Il motivo di quel che ti capita
è ciò a cui ti obbliga quel che ti capita.
Una delle illuminazioni più importanti in terapia, infatti, riguarda proprio la scoperta e il superamento dei meccanismi per cui si susseguono le stesse dinamiche sofferte per decenni.
Ecco alcune testimonianze:
- “In questo periodo per strane coincidenze astrali, è un fiorire di affermazioni di sollievo, felicità contagiosa ed entusiasmi ri-accesi… ed ho preso la macchina senza nemmeno pensarci. E solo a Bologna ho realizzato che prima non riuscivo nemmeno a superare la tangenziale!”.
- “Se penso ai malesseri, alla colite, gastrite, alle costole incrinate senza motivo e a tutto il resto che ho attraversato in questi anni, non riesco a credere che da tre mesi mi godo la vita e non arriva più nessuna botta o notizia che mi abbatta… dimmi che è tutto vero!”.
- “Ricordi lo scorso anno? Quando ho avuto l’incidente proprio perché ero felicemente distratto? E io avevo preso l’episodio come prova che solo nella sfiga posso stare!? Senza macchina e con il collo di nuovo bloccato? Dio, quanto mi ero abbattuto…Ora, sto invece scoprendo bellezze e conferme su di me ogni santo giorno e non mi accade più niente di male, pur aspettandomi sempre il peggio… ma mi sento un’altra persona. Come se avessi ricevuto un grazia dalla prigione di prima”.
Il copione drammatico di vita, il blocco imprescindibile della ferita, se compreso, smette di ripetersi in mille e variegate forme.
Ma tutto sta a vederle in un istante, svelarsi da fuori nel perché clamoroso di quell’impedimento e di come sia attivo in ogni area della vita.
E’ una rivelazione tale da farci sobbalzare in un sussulto che poi ci lascia svarionati per settimane.
Fino a che qualcosa di tangibile cambia ed esplode in un’evoluzione improvvisa.
Sandra ad es. solo quando ha visto che il suo “non ci potrà mai essere speranza per me”, era così bloccante da inchiodarla ad atteggiamenti ostinatissimi e in sciopero perenne, che la portavano ad avere enormi problemi di digestione, ha potuto decidersi a mutare drasticamente, in una mattina, praticamente tutto: salute, valori, priorità, impegni, amicizie ed entusiasmi.
Silvana invece ha realizzato ciò che sente da 30 anni:
“io sono e sarò sempre non vista, tanto che così non mi vedo mai e non mi faccio vedere e continuo ad adattarmi fino al limite supremo. Eccola, la storia della mia vita”.
Per lei il problema era il lavoro: non riuscire ad avere mai un impiego stabile e a tempo indeterminato.
Abbiamo compreso insieme come i problemi avuti a suo tempo col genitore dello stesso stesso, caratterizzino le difficoltà di affermazione nella vita, e -viceversa- quelli col genitore del sesso opposto, le relazioni.
E solo così, da qui in poi, le è mutato persino lo sguardo. E il suo muoversi è stato di colpo più “consistente”, come se di punto in bianco “muovesse più aria intorno a sé, mentre interagisce con il mondo”
Serena, allo stesso modo:
“io cerco ancora e per sempre l’approvazione di mio padre, che non potrò mai avere. E così ho sempre dinamiche strane con gli altri, con gli uomini e al lavoro… Lo vedo ora talmente chiaro che mi sento tramortita. Ma come ho potuto, in tutti questi anni, perdermi così tanto?! E senza mai rendermene conto…!?”.
Ma cosa fare dopo che ci si è resi conto di queste verità?
Vediamolo in dettaglio in: Ciò a cui ti Obbliga Quel che Ti Capita.
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Riceviamo e volentieri pubblichiamo:
quando arrampichi in montagna, sei un privilegiato. Il contesto ti proietta nel momento presente, la tua attenzione è naturalmente nel tuo corpo, nella tua possibilità di sostenere l’equilibrio necessario. Il tempo si ferma, esiste solo quel movimento che stai compiendo. Sai che di movimento in movimento uscirai dalla via, ma ciò che conta è il passo di adesso. A volte guardi in alto e non vedi appigli, un brivido…niente da fare, il terreno di gioco su cui sei ti obbliga a fare un piccolissimo passo in alto, e sempre, magicamente, una volta che hai guadagnato 20 centimetri, ecco di fronte a te un’appiglio che ti permette di procedere. È sempre stato così, tanto che sviluppi questa consapevolezza: “dopo questo movimento vedrò cos’altro dovrò fare”. Finché il dopo sparisce e resta solo questo movimento da fare, e te lo godi, nel modo più armonico ed elegante che ti è permesso dal tuo corpo. Danzi, e l’appagamento non è tanto essere uscito dalla via quanto procedere. Quando la via è terminata è finito il piacere, e mentre scendi solo la stanchezza muscolare ti impedisce di ripartire. Chi arrampica vive nel presente o muore. E probabilmente quando non si vive nel presente si è, almeno parzialmente, morti. Insegnamenti Verticali.
Grazie dello spazio.
Quel nuovo amico.