La Ferita è un Dono: Il Genitore dello Stesso Sesso

Sto sempre andando a casa,
sempre alla casa di mio padre

Novalis, dal film Youth

 

Un’altra pagina affascinante della terapia è esplorare quanto e come la mancanza -a suo tempo- di un genitore adeguato continui -da adulti- a tenerci lontani dai nostri obiettivi.

Dario è bravo, molto bravo nel suo lavoro, ma ne fa tre di lavori, contemporaneamente. E soprattutto, lui è un “abitante dei boschi” per quanto è fisico, concreto, aperto al respiro della natura, ma si perde nel settore del software, al computer, a risolvere problemi di altri e per altri.

 

Nel farlo, non ha mai denaro, non lo pagano abbastanza, proprio perché così dovrà sempre vivere in affanno e inseguire lavori che lo disperdono e non lo interessano davvero. Ma lui, ovviamente, non lo sa (non lo sa?).

Mi commuovo, rattristo e intenerisco quando lo vedo.

Mi racconta i suoi conflitti interiori. E lo ringrazio dentro di me, perché mi fa dire: chissà come siamo messi tutti noi, visti da fuori. E molti squarci di consapevolezza me li dà proprio lui sul mio TEMA e sulle mie situazioni ricorrenti.

In ogni caso, lui ha avuto un padre preso dal suo lavoro (indovinate? Sì, nel settore dei computer) e praticamente è sempre stato una presenza ingombrante per Dario. Presente come peso del suo ruolo professionale, del prestigio raggiunto, della sua testa impegnata perennemente da qualcosa di più importante dei figli. E mai per Dario. Pochissime gratificazioni, en passant, senza esagerare.

 

Ora, abbiamo imparato tanto tempo fa che la mancanza –o la problematicità del rapporto- con il genitore dello stesso sesso determina una incompleta realizzazione di sé e del proprio potenziale principalmente nel mondo del lavoro.

 

Me lo ha insegnato il mio analista, in terapia. E se non me lo avesse detto lui, non l’avrei mai saputo.

Per questo, oggi, vederlo ogni giorno nei miei clienti, mi induce a parlarne sempre di più e a cercare di fare l’impossibile per divulgare queste informazioni.

Lo sviluppo di sé che si compie passo passo in terapia è proprio quello di ….

….ri-genitorializzare le parti che sentiamo perdersi, fermarsi, ostacolarsi da sole, bloccarsi, perché non hanno potuto “mettere dentro” una presenza, appoggio, facilità di realizzazione nel mondo, una risonanza e uno specchio adeguati nell’altro.

 

La nostra reazione a tale mancanza, o eccessiva presenza, o influenza malata… rappresenta appunto la FERITA caratteriale.

Dario allora continua a fare tre lavori, che periodicamente dice di voler smettere per fare ciò che sa fare: il massaggiatore shatsu, che fa benissimo. Quindi vuole fare una cosa sola, la sa fare in modo eccelso. Eppure non la fa (Non la fa! Non la fa! Non la fa!). Perché, in nome di Dio?

 

Perché ognuno di noi ha la propria ferita e se non è consapevole ci gira intorno senza mai risolverla. Nel caso di Dario è:

Non Sono e non sarò mai importante,
qualsiasi cosa faccia,
e senza alcuna speranza.

 

Da qui: Non poter seguire il proprio talento, poterne godere e prosperare con esso.

Questo tema ricorrente della sua vita rinforza la ferita:

“mi sforzo per riuscire ma alla fine so solo confermare ciò che sento dentro:
che non riesco mai.

Ogni volta per qualche motivo,
ma in realtà perché semplicemente mi è proibito”.

 

Ogni volta, ciascuna benedetta occasione in cui:

  • sentiamo che vogliamo compiere un passo decisivo verso la nostra realizzazione
  • e lo vediamo chiaro e oltremodo fattibile
  • e non lo compiamo per supposti problemi di soldi, crisi di coscienza o indecisioni…

 

…il motivo è solo uno: non abbiamo la sicurezza in noi stessi di cui abbiamo bisogno.

 

E molto probabilmente non abbiamo avuto la presenza affettiva e il sostegno del genitore dello stesso sesso. E’ una regola quasi matematica.

 

Se invece abbiamo perenni problemi di relazione con l’altro sesso? Indovinate con quale dei genitori abbiamo avuto più problematiche? Bravi. Ma lo vediamo nel punto specifico dedicato.

Ora, cosa vuol dire, che –se non abbiamo avuto il sostegno genitoriale- dobbiamo fare dei passi che non ci sentiamo di fare? No, assolutamente, comprometteremmo tutto. Non ce la potremmo cavare se tentassimo tutto subito.

 

Ma sapere qual è il lavoro da fare su se stessi, questo sì, questo è il punto: e sapere che è come una ginnastica riabilitativa dell’animo, come se avessimo un braccio che tende ad anchilosarsi.

 

Occorre esercizio e poi rifarlo, rifarlo, rifarlo. E la gioia sarà incommensurabile, come una fioritura, quando le nuove funzionalità saranno naturali.

 

Il lavoro di accettazione per ri-dare energia al blocco derivante dalla ferita consiste in questo:

  • il cliente è di fronte a me. Gli dico: prova questa affermazione:
  • “io sono me e non sono te e quindi…” ed esprimi tutte le conseguenze che ti vengono in mente.
  • Io annoto quanto la persona elabora.
  • Poi condivido che cosa mi è sembrato, quello che ho sentito emotivamente.
  • E lui/lei fa lo stesso.

 

Per Dario le espressioni sono state:

  • io sono me e non sono te. … e quindi…
  • –       posso fare ciò che voglio
  • –       non devo farlo come vuoi tu
  • –       non devo preoccuparmi del tuo giudizio
  • –       posso godere di ciò che faccio e rilassarmi completamente
  • –       posso sentire il diritto di farmi la mia vita, come più desidero.

 

“A chi stai parlando Dario?”.
Lui non risponde, inizia a piangere.
A chi si rivolgeva, secondo voi?

 

Spero sia chiaro come questo semplice esercizio permetta di attraversare:

  • sia che cosa sentiamo impossibile per noi
  • sia le difficoltà a sbloccare questi condizionamenti interni.

 

E’ sufficiente star lì a sentire entrambi i poli affinché qualcosa di importante di sciolga e una nuova energia si accenda (!).

 

Altri lavori che completano il ciclo del rafforzamento dei confini dell’io sono:

  • –       io sono uno, non sono metà, e quindi…
  • –       io vado verso ciò che desidero e quindi…
  • –       sono completamente in profondità qui ed ora e quindi…
  • –       io divorzio da te dal ruolo di… e torno da te da adulto ad adulto, e quindi…
  • –       da oggi smetto completamente di lottare con te e allora…

 

E sono solo alcuni esercizi. Però se li sentite a voi vicini, provateli. E appuntate ciò che viene fuori. Può suscitare qualcosa di realmente significativo.

Poi discuteteli con qualcuno di cui vi fidate. Come al solito, è indispensabile un professionista qualificato.

 

Così ciascuno di noi può iniziare:

  • a confrontarsi con una rappresentazione di ciò che sente in profondità
  • vedersela concretizzata e affrontabile / non affrontabile; accettabile / non accettabile contemporaneamente (paradossi da sanare ascoltando le proprie reazioni)
  • e a farlo insieme con qualcuno che ci sostiene –come un nuovo genitore reale- mentre si traggono le ispirazioni dal lavoro effettuato insieme.

 

C’è un legame tra questi esercizi e le decisioni -che traboccano come una goccia da un vaso- che Dario sta prendendo? Secondo me sì, ma io sono di parte. Per il resto vedete voi.

A me sconvolge come le persone siano semplici e i problemi altrettanto diretti, mai così complicati come invece appaiono quando li elucubriamo per anni -come facevo anch’io per lunghi periodi- senza condividerli con nessuno.

 

Luciana a questo esercizio ha risposto:

  • Io sono me e non sono te, e quindi…
  • –       Io non posso essere me stessa
  • –       E nemmeno andare per la mia strada
  • –       Quindi non riesco nemmeno a dire a te…. Che io sono me e non sono te (!)
  • –       Lo sento, ma non posso dirlo. Tu sei troppo debole e non lo sopporteresti
  • –       Io non posso… non posso… non posso
  • –       Posso solo farmi carico di te e delle tue aspettative.

 

E poi è scoppiata in un fiume di lacrime liberatorie che finalmente hanno fatto uscire la verità: da quando è bambina, è un continuo caricarsi quotidiano delle aspettative degli altri. Di tutti. A scapito di sé. Ogni santa mattina che si illumina su questa terra.

 

 

La verità, vi prego, sull’amore: cos’altro vale la pena? A che servono i tramonti e le albe se non sentiamo il permesso di goderceli?

Quanto è importante per Luciana l’aver iniziato questo cammino? Che senso ha chiedersi quanto durerà? Se ogni giorno starà meglio di ieri?

“Quanto durerà?” non è una domanda, è una paura che ha preso la via del dubbio.

 

La verità, vi prego, sull’amore: noi stessi siamo il nostro modo di darci e di dare amore.

C’è un post-it in studio che dice: LA TERAPIA SI FA FUORI DA QUESTO STUDIO.

 

Ed è vero. Le persone portano a casa le loro risposte alle domande “e quindi?” e continuano a lavorarci, effettuando il vero lavoro di scavo, allenamento, ispirazione e reale cambiamento.

 

Molti mi chiedono: si può fare da soli? Io vi chiedo: Si può vivere da soli? Per certi versi assolutamente sì, per altri, completamente no. Quindi come al solito la risposta è paradossale: si deve molto fare da soli; non si può per niente fare da soli.

Nel mio studio c’è un altro post-it che dice: LA TERAPIA SI FA DENTRO NON FUORI.

 

Vale a dire dentro di sé. Dove se no?

 

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Riepilogo

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