Allora, siete pronti a cambiare vita? Davvero? Alla rivelazione più immediatamente semplice e sconvolgente allo stesso tempo?
Se è così, attenti che queste poche righe potrebbero darvi la spinta a stravolgere tutto. E con un semplice passo. Tanto che in alcuni casi potreste anche rifiutare il messaggio.
Ricordo, durante una terapia di gruppo, che una folgorazione di questo tipo produsse in una persona un grido così lancinante che ci fermammo tutti, consci che già solo l’assunzione di codesta verità rispetto al tempo passato ad ingannarsi aveva un senso che doveva essere gridato fuori.
Ora, prendiamo come esempio la nostra cara L., la quale lavora con ciò che le è sembrato facile e immediato. I viaggi. Ha sempre sentito predisposizione a queste atmosfere e quindi le è stato spontaneo aiutare le persone a viaggiare. Oggi, a distanza di 15 anni, è lieta ogni secondo in cui pensa al proprio lavoro in agenzia viaggi. Ora, certo, dopo due anni di difficoltà del settore, ha come tutti preoccupazione e ansia per il presente, ma ha una famiglia e due figlie meravigliose che sono la sua gioia intoccabile e preziosa. E sente che tutto è derivato da lì, dalla sua passione.
1. Ora, chiediti: è stato così anche nel mio caso? Semplice, facile, spontaneo e naturale intraprendere il mio cammino nella vita?
E già qui, parte un bel sospiro.
Tra le varie scelte che avevo, ho scelto quella più immediata e spontanea nella mia predisposizione? Oppure la più controversa, o solo accennata, o difficile, faticosa o ambiziosa?
Prova a scrivere, ad appuntare le risposte. Potrebbe essere importante. Potrebbe?
Può accadere che ci siano alcune alternative:
- non ho mai saputo bene che cosa mi piacesse davvero;
- l’ho sempre saputo qual era il mio filo rosso della mia passione, ma non mi è mai stato permesso di svilupparlo o non me lo sono concesso. E quindi poi l’ho abbandonato; e ho buttato così anche il mio bambino con l’acqua sporca;
- mi sono sentito costretto, obbligato a fare questo lavoro perché mi è capitato; non mi è mai piaciuto davvero quel che faccio ma mi è convenuto farlo per una serie di circostanze, e adesso mi ci sento incastrato. Andrè Agassi: ho sempre odiato il tennis. Ma è l’unica cosa che so fare.
E questo è solo il punto numero 1.
Ma restiamoci ancora un attimo, fondamentale, esiziale, imprescindibile, folgorante, appunto:
Io Sottoscritto Nome e Cognome, dipendo ancora da questo imprinting? Per cui non ho potuto e non potrò mai fare davvero ciò che mi piace in modo spontaneo e naturale? Oppure l’ho rifiutato completamente, cioè mi sono opposto a fare ciò che NON mi sarebbe piaciuto, pagando però lo scotto di aver messo la mia vita in ricerca di superficie e non più della mia profondità? Cioè sono restato un alternativo frustrato senza trovare la vera collocazione, la mia vera natura?
Oppure ancora, mi sono emancipato realmente? E vivo una vita soddisfatta e appassionata?
Stai rispondendo sinceramente? Sicuro? O te la stai ancora raccontando? Una cartina al tornasole può essere l’immediatezza con cui rispondi.
E se dipendo ancora da questo latte materno del sacrificio interiore che mi ha fregato, quale altra soluzione posso avere se non quella di mollare tutto e riprendere il filo dell’altra vita, quella che so da sempre che avrei dovuto fare?
Stai gridando? Bene. Complimenti.
2. Il numero due invece, anziché il che cosa ho scelto, cioè il contenuto della scelta, riguarda lo stile con cui intraprendo qualsiasi cosa. E’ tutto facile (come dovrebbe sempre essere) oppure ogni cosa NON è illuminata nella mia vita? Ad esempio: Mi piace tantissimo il mio lavoro, ma… c’è sempre un “ma…” nella mia esistenza?
Tutto è diventato -o è sempre stato- difficile, faticoso, insoddisfacente e insomma ormai è così?
E’ questo il tuo caso?
(Non smettere di ascoltare il grido, dentro, se c’è).
Viceversa: tutto scorre in modo fluido, piacevole, nonostante le normali difficoltà?
In sostanza, la mia vita è irta di problemi, inconvenienti e sfighe e disgrazie? Oppure ha un andamento piano e sereno come un lungo fiume tranquillo nel mio modo di affrontarli? A prescindere dal fatto che segua o meno la mia passione?
Oppure ancora è una via di mezzo?
Ora, ancora un altro sospiro e attimo di pazienza e arriviamo al dunque.
3. Punto numero tre. Mi chiedo: cosa ha attraversato il mio papà, sia al punto numero 1: che lavoro ha fatto? Ha seguito le proprie inclinazioni? Che al punto numero 2: come ha interpretato la vita nei modi? Facile o difficile? Quale diavolo di esempio mi ha passato tutti i giorni? Lo analizzo nel modo più obiettivo possibile.
Lo stesso ripeto per mia madre.
E -se ci sono state nella mia vita quotidiana- ripeto l’operazione anche per altre persone importanti che mi accudivano, tipo i nonni.
E traccio anche qui, al termine, un quadro esistenziale delle influenze che ho avuto.
Potrebbe essere lo schema fondamentale che regge tutto il mio cammino.
4. E allora, ta-daa: punto numero quattro. E dal punto di vista affettivo? Ripeto lo schema delle domande da capo. Cosa ha fatto mio padre? Ha scelto e potuto scegliere l’amore? Di che tipo? L’ha conosciuto come esempio? Ed era facile o difficile, spontaneo o controverso? Come ha conosciuto mia madre? L’ha voluta, cercata e conquistata? Oppure ha subìto questo rapporto? E io come sono rispetto a questo esempio?
E mia madre dal canto suo? Quale esempio di amore mi ha lasciato?
E se l’hanno potuto o non potuto scegliere, l’amore che io ho ereditato da entrambi, come diavolo è? Come concetto e possibilità e prassi? Esiste o no nella mia vita? Ho dovuto crearmene uno nuovo e diverso di percorso nelle mie relazioni affettive? E ce l’ho fatta? O alla fine sono sempre nel solco tracciato dai miei, sinceramente?
E ancora: se fino a questo punto mi sono chiesto: sono fuori o dentro l’amore? Ce lo posso avere o mi sento escluso perché magari il messaggio che mi hanno passato è “stanne fuori o lontano e cercalo disperatamente senza successo”?…
5. …Ora invece mi chiedo, punto numero cinque: com’è la relazione quotidiana, “la vita a due”, e la famiglia, l’atmosfera di casa che loro hanno ereditato a loro volta e mi hanno passato? E lo stile nei rapporti, nelle relazioni sociali e famigliari, come diavolo è?
Facile? Sereno? Ottimista? Sdrammatizzante?
Oppure pesante? Conflittuale? Rivendicativo? Cos’altro?
E chi sono io per assurgere al ruolo di qualcuno che si sente immune a tutto ciò? Ho delle prove realistiche del cammino fatto lavorativamente e affettivamente di diverso e autonomo e maturo e consapevole rispetto a tale imprinting?
Oppure ho semplicemente rimosso il problema e non me lo sono mai chiesto?
Chi mi aspetta a casa? Nessuno? Oppure qualcuno ci sarebbe, ma meglio che stia a casetta sua e io nella mia? E perché, realmente? E ci sia o non ci sia qualcuno nella mia vita, che relazione c’è con gli insegnamenti comunque ricevuti (anche solo come modello!) da parte dei miei?
Ora, ci siete?
A questo punto dovreste avere un concerto di voci che gridano verità dentro di voi. Non le rifiutate, per carità. E come un buon direttore d’orchestra state lì a far loro attenzione. Ad una ad una.
Nel 100% dei casi è sempre così, il concetto di vita che mi hanno lasciato è facile o difficile? E il lavoro che abbiamo scelto com’è? E nell’amore?
E scoprirete che è dello stesso segno. Tutto. Sempre. In ciascun caso. Il modello avuto è sempre imprescindibile. Perché siamo umani.
Solo che: lo abbiamo preso totale? Rifiutato totale, ma siamo fermi lì, al rifiuto? O lo abbiamo emancipato totale?
Conta solo questo. Dove dobbiamo andare per andare dove dobbiamo andare?
E lo stile, l’atmosfera in cui sono cresciuto era che la vita è un susseguirsi di ingiustizie e difficoltà, accanimenti e problemi? Oppure una sicura e amorevole avventura?
Capito dove questo porta inevitabilmente ciascuno di noi?
C’è un grido di scoperta dentro di te? Se sì, è esatta questa tua intuizione:
Se mi sento abbattuto dalle questioni attuali della mia esistenza, non serve a niente rimestare nel torbido: non si potrà mai risollevare quello specifico tipo di torbido. Occorre proprio uscirne e non rientrarci mai più.
Occorre proprio cambiare strada, vita, scenario. NON all’esterno, dimettendomi da tutto, no. Bensì all’interno, stravolgendo l’atteggiamento. Radicalmente. E riprendendomi il mio filo rosso. Che c’è sempre. E ho interrotto in qualche parte della mia strada.
Ne parliamo in diversi punti di queste pagine della nostra vita.
Dov’è il buco, il punto fallato, l’evidente discrepanza in cui si annida la nostra irrealizzazione, se c’è? Nel contenuto di ciò che abbiamo scelto? Nel lavoro o nella persona che abbiamo scelto? O nei modi e nelle atmosfere che ancora ci portiamo dentro?
Cerca il buco, diceva una mia antica maestra. Cerca che cosa è evidente nel racconto della propria storia da parte della persona che hai di fronte. E su cui magari lei non fa una piega, pur raccontandoti la qualunque ed episodi che farebbero infuriare un agnello.
E a questo punto, dopo che hai risposto alle domande di cui sopra, senti se c’è uno squarcio tra le nuvole dentro di te e un fulmine di scoperta della verità.
E se c’è, sappi l’unica conseguenza per niente facile, ma in realtà molto facile perché pulita e risolutoria, se capisci il paradosso che rappresenta: l’unica scelta è cambiare tutto. Non cercare di mutare da dentro quel copione acquisito e malamente gestito in eredità sia come contenuto rattoppato che come stile e atmosfera incerti che ti accompagnano da sempre. Perché lo segui da allora e non sei mai riuscito a venirne a capo. Perché non se ne può venire a capo. Tutto qui. Perché era ed è ancora un copione magari di rinuncia. O di superficie. O di sottomissione senza piacere. O di chissà che. Ma non certo di evoluzione, emancipazione e partecipazione attiva e reale. E poi era ed è contro natura: non si può seguire mai un copione condizionato dagli altri. Si può solo essere allevati a seguire il proprio destino. O allevarsi da soli, se non l’hanno fatto prima. Questo è l’invito e il punto importante, da oggi e per tutto il resto dei giorni. Allevarsi da soli. Lo facciamo già comunque. Facciamolo meglio e sapendo che cosa comporta davvero.
Come possiamo andare avanti altrimenti nella vita, senza esserci mai chiesti nulla su queste influenze così fondanti della nostra esistenza?
Arriva sempre in ogni maturità un momento imprescindibile in cui è necessario porsi di fronte a questo schema delle influenze ricevute e delle direzioni che abbiamo preso e possiamo ancora prendere.
E non è per niente importante se sono 10-20-30 anni che ci combatti e infinite stagioni che hai passato a costruire faticosamente qualcosa. E’ che quel terreno non lo vuoi arare in realtà. E lo hai sempre saputo. E l’aratro s’impunta ad ogni sasso.
E quel modo, cioè quel trattore malandato, quel lavoro, quella casa e quell’arredamento, quelle tue proprie caratteristiche, che hai ereditato, e quello stile con cui hai arato qualsiasi cosa, si può dismettere, completamente, mentre tu magari non lo hai nemmeno mai messo in discussione.
Ci sono infatti solo tre possibilità nella vita:
Dipendenza dallo schema dato;
Controdipendenza;
Indipendenza reale.
La quale arriva solo in conseguenza alle prime due, con la consapevolezza e l’atteggiamento diverso, e dopo aver fatto tutto il cammino, essersi misurati fino in fondo con il bello e il brutto che ci hanno lasciato.
Come hai vissuto sinora?
Le tre fasi le attraversiamo tutti.
E di solito le prime due lasciano degli strascichi pesanti.
Da cui ci si può liberare in un attimo.
E rifiorire.
Ma solo se ce lo dicono che esistono. Se lo sappiamo.
C’è una bustina quotidiana, un piccolo articolo, che a volte illumina, scritto da Gabriele Romagnoli su Repubblica, che parla proprio delle tre vite e di come la prima ci venga sempre data, ma le altre due sta a noi sceglierle e percorrerle: L’ultima Patria.
Torniamo infatti all’esempio di L. e della sua agenzia viaggi? E immaginiamola mentre la osserviamo andare e tornare sorridente dal lavoro.
Se ci fa invidia e non abbiamo una passione come la sua, possiamo solo trovarla e non è importante se la stiamo osservando dalla banca di fronte dove facciamo la cassiera o la guardia giurata perché ci è capitato e non ci siamo nemmeno mai chiesti se ci piace (posto che invece la cassiera o la guardia giurata possono essere la nostra passione, per carità). La vita ci propone e impone di vivere di passioni semplici e coinvolgenti. E se non le trovo sul lavoro, posso sempre iniziare a coltivarle fuori dal lavoro. Non mi sono date altre chance dall’universo (Ritorna al Punto numero 1, senza passare dal via).
E se invece la sto osservando dal fioraio che gestisco (prima lavoravo in banca, adesso ho aperto il mio chiosco e sono rifiorita, appunto, guarda te che metafora banale!), ma mi chiedo: come diavolo fa ‘sta ragazza ad essere sempre così sorridente anche in questi due anni nefasti?! Non è che a me le cose vanno male e non mi godo la vita perché qualsiasi cosa faccio, persino la mia passione, non riesco a godermela e mi faccio capitare sempre il peggio? (E mi viene voglia di dargli fuoco a ‘sti fiori!) (Stai in Prigione per 1 giro e torna alle istruzioni della casella della Domanda Numero 2).
Se è questo il tuo caso, allora posa l’accendino e la tanica di benzina con cui vuoi cospargere i tuoi fiori, poiché sai che hai da cambiare il grande contenitore (come faccio le cose e che cosa sento sempre, porca miseriaccia boia cane) e non il singolo contenuto, cioè il lavoro che faccio, bensì il grande umore nero che tutto asfalta.
E se sono entrambi i tuoi casi, che non conosci passione e non gestisci i veli degli umori, puoi sempre lasciare tutto e iniziare ad accompagnare i gruppi di bisognosi a Lourdes, a Medjugore, o dove diavolo vuoi. Scherzo. Ti voglio bene. Davvero. E meriti tutto. E’ solo che tu non lo sai. Anzi, non lo sapevi fino ad oggi. Devi solo imparare a godertelo. E smetterla soltanto, radicalmente, di seguire gli schemi e i binari obbligati che i tuoi genitori ti hanno lasciato. Un abbraccio. Dentro.
Ci sono due cose durature che possiamo lasciare in eredità ai nostri figli: le radici e le ali.
Hodding Carter
Un’eredità mi ha lasciato mio padre… Mi ha lasciato la luna e il sole; e anche girando tutto il mondo non riuscirò mai a spenderla.
Ernest Hemingway
La più bella eredità che si può dare a un bambino è quella di permettergli di percorrere il suo cammino, solamente con le sue gambe.
Isadora Duncan
Vai a:
Tu che Arte Fai? (Riscoprire il proprio filo rosso).