Il Pedone S’illumina sulla Scacchiera dei Sogni

 E’ dunque questo che chiamano vocazione:
la cosa che fai con gioia,
come se avessi il fuoco nel cuore
e il diavolo in corpo?


Josephine Baker

 

 

E fu solo all’ennesimo libro sulla gratitudine che si accese la lampadina.

Occorre essere grati dei propri desideri, infinitamente e incondizionatamente grati già solo dei propri desideri poiché solo loro illuminano la vita.

Questa sintesi unisce il passato al presente e al futuro attraverso un unico flusso.

Non c’è attesa né compensazione di raggiungere il risultato.
C’è anticipazione della soddisfazione che il mio desiderio mi dà di riuscire a farmi alzare al mattino illuminato da qualcosa di tangibile che pratico ogni giorno, tutti i giorni nessuno escluso.

Elide anche lo spazio. Qualunque posto attraversi o abiti, qualsiasi paesaggio io abbia davanti, il mio spirito illuminato dal desiderio che mi muove sulla scacchiera, mi porta in partenza al risultato predefinito proprio dall’anelito, dallo scopo che pregusto, dalla grazia che tutto accomuna e dalla gratitudine che assicura che andrà comunque in ogni caso e per definizione tutto bene.
Il pedone s’illumina sulla scacchiera dei sogni.

E’ il modo di desiderare energico e connesso al corpo che contraddistingue questa condizione. Non si limita al timido pensare ai propri desideri. E’ la condizione di desiderare stessa che nutre chi la pratica.

E da qui la seconda illuminazione: essere grati non è un pensiero. Non è rendere grazie. Quella è la conseguenza. Poiché il punto focale è come si fa a comunicare intensamente il mio gracias a la vida?
Dico gracias a la vida quando in ogni respiro mi nutro e irradio a chiunque incontri il mio desiderio realizzato. Questo sentimento tangibile è la gratitudine.
Ciao!
Sai che io coltivo da tanti anni ogni giorno il desiderio di provare gioia e di portare gioia in ogni persona che incontro per il mio lavoro?
E sai che in questi anni il mio cammino mi ha fatto solo rendere conto sempre di più di questo?
E che l’unica intensità che mi muove è la ricerca di quante più persone io potrò aiutare con la mia opera quotidiana a star sempre meglio e in contatto con sé e gli altri?
Ecco, questo impulso è più forte e potente e scardinante di qualsiasi ostacolo e malattia, infortunio e impedimento.
Questa è la gratificazione comunicata.
Gratitudine è trasmettere tutto me stesso verso lo scopo primario.
Mentre era questo fermarsi a ringraziare che non mi convinceva mai del concetto di gratitudine. Perché lo vedevo da fuori senza indossarlo, poiché io indossavo il mio desiderio.
E mi dicevo che certo era fondamentale la gratitudine, e l’atteggiamento grato, ma la consideravo una pratica, un momento di pausa, nella mia testa, per poi rituffarmi nel sentiero del desiderio. Perché così lo avevo inteso applicandolo.
Ma il desiderio è esso stesso gratitudine.
Desiderio onora gratitudine.
Solo il desiderio onora la gratitudine.
E la sua anticipazione, del desiderio, è talmente grata da colpire e affondare qualsiasi questione che prima chiamavo… come si chiamavano quelle portaerei che una volta ti impedivano di andare avanti? Ah, sì, difficoltà.
Ed è così: o si vive di difficoltà o di desideri.
Se si vive di desideri, il mondo è variamente illuminato.
Se si vive di difficoltà, il buio è vagamente rischiarato.
Quando scopri questo stargate dei sogni realizzati, allora, beh, allora, tutto ma proprio tutto il resto si compie in modo già compiuto, ed è come un cerchio della conoscenza di te e del mondo e degli altri che si chiude.
Ecco.

Ora tu bastardo lettore, gretto e meschino e interessato solo e soltanto alle scorciatoie e ai magheggi per risparmiare tempo e denaro e avere una scintilla di benessere quotidiano, mi chiedi e vuoi sapere: eh, ma come si fa? E non me lo dire con troppi condimenti e questioni intellettuali di voi psicologi del menga. Dimmelo chiaro e facile.
E io te lo dico chiaro e facile. Perché quando la vita è vera, è chiara e facile e tutto coincide.

Occorre che scrivi la lista dei tuoi desideri.
E non smetti mai di chiederti qual è quello in cima alla lista.
Lista dei Miei Desideri


Lista che comunque aggiorni e porti con te, dentro al portafoglio o in tasca come facevano gli antichi, occupandoti con sacro fuoco di ciascuno dei desideri della lista. Lista che non finirai mai di praticare. Aggiungendo vita a vita e ancora a vita. Ora sì intensa.
Ha iniziato, per dirti, Beniamino Franklin nel ‘700, a creare liste di desideri e di attenzioni.
Io l’ho portata nel portafoglio per 15 anni, fino a che diventò quasi illegibile.
E tu quindi cura ogni giorno di desiderare. Concentrati sui momenti indimenticabili della tua vita. E non smettere mai di sintonizzarti su come ti sentivi. E quindi di collegarti ogni giorno su come accade che di colpo così facendo ti senti di nuovo allo stesso modo ispirato.
Ma non solo: abbi cura di illuminare ogni persona e ogni situazione del tuo desiderio. Di ogni desiderio.
Altrimenti, non sono desideri, sono intenti teorici che tali rimarranno.
Questo non è un segreto.
Questo è il segretissimo della vita.
Vuoi un esempio, nevvero?
Se per caso il mio desiderio di questo periodo è la salute, perché magari non sono stato bene nei mesi precedenti, non ho da augurarmi che le preoccupazioni si sanino e che i valori del sangue si stabilizzino o che il peso cali. E non ho da controllare con apprensione e trepidazione e aspettativa e ansia e angoscia che gli esami e le visite di controllo vadano bene. No. Ho da veleggiare in anticipo sospinto dal mio desiderio palpitante di godere della salute di quella volta in montagna o al mare o in quella corsa sfrenata o in quella attività sportiva, in quel ballo, in quelle serate cogli amici più divertenti di sempre, o in quel magico pomeriggio estivo di tanti anni fa in cui mi sono innamorato. Io mi nutro (porca miseria) di quella fantasia guidata, di quella ispirazione e ricordo quotidiano, fino a che il mio mangiare e il mio respirare e il mio umore e il mio coinvolgimento e il mio interagire con te e con chiunque altro non trasudi (porca misera 2) e influenzi di gratitudine incontenibile qualsiasi situazione attraversi e ogni benedetto esame medico.

E continuo fino a quando il mio guardarmi e rispecchiarmi e risuonarmi in ciò che faccio non diventi sempre di più leggero e coinvolto come desidero con tutto me stesso di essere.
Ora: noti e sei d’accordo con me che ci saranno molte meno occasioni in cui ti rimpinzerai di schifezze mentali e materiali perché non ne hai più bisogno?
Questo è il meno peggio. Vale a dire che se stai dalla parte del meraviglioso, in qualche modo da questo toccato sarai.
Ma non è più facile viverlo appieno, a questo punto, il meraviglioso? Lasciarti affascinare e avvincere da te stesso? Che cosa rischi? Di dover poi ammettere che sei felice? Ma finiscila.
Smettila di comportarti in modo altalenante e in infinite diversioni diverse. Datti una convinzione e lavora con quella suggestione.

Ne tratta Joe Dispenza nei suoi libri.

Ho appena parlato dell’allineamento dei nostri pensieri ed emozioni per ottenere il risultato desiderato… (…). Si tratta di un atto di fede necessario se vogliamo trasformare una vita monotona e prevedibile in una vita felice, costellata di nuove esperienze e sorprese quantistiche.

Ma è necessario un ulteriore atto di fede per tramutare i nostri desideri in realtà.

In quali circostanze ti senti particolarmente grato? Potresti rispondere: “Sono grato per la mia famiglia, per la bella casa che possiedo, per i miei amici e per il mio lavoro.” Ciò che queste cose hanno in comune è il fatto di appartenere già alla tua vita.
(…)
Il nuovo modello di realtà, invece, ci sfida, in quanto creatori quantistici, a cambiare interiormente, nella mente e nel corpo, nei pensieri e nelle emozioni, prima di averne la prova tangibile, attraverso i sensi.

Riesci a esser grato e a provare le emozioni elevate che accompagnano un evento desiderato, prima ancora che questo si verifichi? Sei in grado di immaginare un evento futuro tanto intensamente da immedesimarti e riuscire a viverlo nel presente?

In termini di creazione quantistica, puoi mostrare gratitudine per qualcosa che esiste a livello di potenzialità nel campo quantistico ma che non si è ancora verificato nella realtà? Se ci riesci, stai passando dal concetto di causa ed effetto (aspettare che un evento esterno operi un cambiamento dentro di te) a quello di causare un effetto (cambiare qualcosa dentro di te per produrre un effetto all’esterno).

Quando ti trovi in uno stato di gratitudine, trasmetti al campo un segnale che sta a indicare che un nuovo evento si è appena verificato. La gratitudine è molto più che un semplice processo mentale intellettuale. Devi sentirti come se tutto ciò che desideri fosse reale. In questo modo il tuo corpo (che percepisce solo sensazioni) si convince di avere il quoziente emotivo dell’esperienza futura, come se questa appartenesse al presente.
Joe Dispenza, Cambia l’abitudine di essere te stesso, pagg. 47-48.

 

 

Prima mi sembrava un atteggiamento da invasati quello dei sempre grati. Come le caricature di un prete o un mormone o un testimone di Geova il quale, illuminato dalla fede, si sottopone a qualsiasi rifiuto o umiliazione.
Ma adesso so, è dagli anni della mia analisi che lo so: la caricatura ero io, amico mio. E non devi pensare di doverti fermare e dire grazie al mare, ai prati e ai fiumi. Concentrati al contrario sui tuoi desideri concreti e pratici e vivili già realizzati dentro di te perché in passato li hai provati o anche solo immaginati. E se queste saranno pulsioni naturali e non campate per aria, nùtriti talmente di tali desideri desiderati che li trametterai a ogni cosa.
E questo sarà il tuo grazie! grazie! grazie!

Non c’è gratitudine senza desiderio.
Il desiderio accende la gratitudine.
Non è per niente sufficiente il pensiero: sono grato e so che devo ricordarlo.
Il grazie ne risulta didascalico, ridondante, parecchio fine a se stesso. Sì, certo, dico grazie, ma di cosa? Del sole, del mare e delle nuvole? Va bene. Ma solo se sto andando a nutrire i miei desideri più profondi, allora sì che incontro me stesso. Altrimenti, sentite?- non c’è accensione.
Vuoi la felicità? Desidera. Qualsiasi cosa. Ma desidera. Accendi il tuo motore. Ogni mattina.

Vanno benissimo i 101 desideri di Igor Sibaldi. Ma tutti coloro che io conosco che li hanno scritti, dicono ‘è stato un bel lavoro profondo, ma poi è stata archiviata come esperienza’.
Io invece mi sono riacceso anni e anni fa e tutti i praticanti un certo tipo di terapia si riaccendono ripartendo ogni giorno dai desideri. Ecco di cosa stiamo parlando: di una questione semplice, viscerale e quotidiana, non di grandi sistemi. Fatti affascinare, segui le curiosità, gli interessi, le passioni e soprattutto ogni desiderio che hai, nessuno escluso. Rifondaci sopra la tua vita e credici. Senza mai giudicarti.

Se non sono pervaso da un desiderio, sono solo un vaso vuoto. E sogno di essere un evaso. Dalla prigione di chi non sogna. Ma non so come fare a scappare.
Ecco come fare. Desidera. Riprendi a desiderare.
Con tutta l’intensità di cui sei capace.

 

Insomma, cos’altro posso dirvi ancora sull’intensità?
Afferma Claudia de Lillo, una delle firme di Repubblica che leggo per la sua verità:

I miei figli -di 11, 15, 18 anni- hanno vissuto un’estate piuttosto sfrenata, consona alla loro stagione. Si sono avventurati in luoghi magici e ignoti, hanno sondato le sconvolgenti profondità delle relazioni con i propri simili. Si sono sentiti unici, straordinari, incompresi, speciali. Hanno scalato vette di inaudito splendore e si sono schiantati a terra straziati ad ogni ripartenza. Si sono chiusi in un mutismo ermetico e ostile. Sono tornati in punta di piedi alle 3 di notte, convinti di essere invisibili. Sono stati colti da muta euforia e torva disperazione. Si sono scambiati sguardi misteriosi ed escludenti, convinti di essere i soli passeggeri di quell’ottovolante emotivo.
Li guardavo, conoscendo esattamente la misura della loro felicità e l’abisso della loro effimera disperazione.
Avrei desiderato dir loro di lanciarsi da quel trampolino, con incoscienza e follia, perché il loro futuro brillerà anche dei bagliori accecanti delle loro estati adolescenti. (…) Avrei voluto condividere il mio fazzoletto di esperienza. “Lo so, è successo, succederà ancora. Non aver paura di lasciarti travolgere”.
Claudia De Lillo, D di Repubblica.

Ora. Provate a sintonizzarvi sul momento in cui l’io desiderante del cliente in terapia si risveglia e si ripresenta come in quei film sul ritorno di qualcuno che avevamo dato per morto.
Ueilà. E mo’? Che faccio? Che ci faccio? Ma davvero sono vivo?- è scritto negli occhi della persona che ci guarda colpita, bendisposta, ma disorientata e goffa. Si crede fuori posto e ridicola a desiderare ancora e ancora.
Eppure, le diciamo, se si guarda intorno, noterà che chi è ringiovanito invecchiando, ha mantenuto ardente il desiderio. Sempre riscoperto ad un certo punto del cammino. Riesumato in alcuni casi.
Sì, certo… ma alla mia età?- esclamano a 23 anni (questo è il punto che ci deve far riflettere).
Ma scusa: se hai passato gli anni del liceo chiuso in casa; se hai avuto una cotta sola o 4 amoretti in croce e la tua adolescenza non è mai decollata davvero; non ti va e non ci devi comunque ripassare per riscoprire quella parte di te? Come si fa senza passare dal via?
E soprattutto: non senti che sono di nuovo le tue remore che ti hanno accompagnato per tutta la vita ad ammantare come sempre anche questa scoperta di un velo appiccicoso di ottundimento? Cosa credevi che avresti scoperto in questa tua terapia se non come si fa a stare intensamente bene senza se e senza ma?
Cosa sarebbe possibile nella tua vita senza riaprire l’acceleratore che tieni da sempre tirato?
Quanto vuoi ancora aspettare per scoprire che l’adolescenza non è uno stato transitorio bensì per sempre entusiasmante e che qualsiasi impresa della tua vita sarà sempre iniettata ogni volta da quello spirito adolescenziale che hai sentito o sfiorato? Vuoi la verità, giusto? L’adolescenza è di passaggio solo perché conduce dal sogno al radicamento dei sogni, aspirazioni e desideri palpitanti. Siamo diversi dopo l’adolescenza solo perché abbiamo da occuparci di quei sogni che adesso sono il presente, giammai della rinuncia a qualsiasi sogno perché -ci diciamo- ormai non siamo più adolescenti. Avete idea di quale piaga psico-sociale sia oggi questa rinuncia a se stessi?

Invece, scopri che ogni impresa ha una sua fase adolescenziale. Ed è entusiasmante per questo! Perché non sai ancora né fare né essere. Ma nutri in te una fiducia che levati.
Quindi, se ci pensi, tanto più forte è lo spirito adolescenziale e tanto più facile sarà l’avventura.

Ho raccontato anni fa di una mia collega che accompagnava da giovane le comitive di turisti in viaggio. E parlava di come i più completamente folli e indisciplinati e trascinanti e divertiti fino al midollo fossero proprio i gruppi di 50-60 anni. Perché avevano nello sguardo la luce dell’aver capito tutto e attraversato tutto della vita. E non ce n’era davvero più per nessuno. Perché avevano a disposizione sì e no 3-4 cartucce ancora. E avevano afferrato una cosa sola e soltanto quella. Io mi devo buttare con ogni poro della pelle in ogni possibile divertimento che non ho provato prima e nonmidovetemaipiùnellavitascassarelaserraturadell’anticameradiquelchemigarbafareinognisantomomentochelavitaancoramidarà! E basta.
E accade a qualsiasi età noi decidiamo di scoprire questa verità. Invariabilmente.

Per questo vi auguro di farlo subito. Oggi. Perché è la cosa che volete di più al mondo. Tornare ad essere ragazzini sfrenati e brufolosi. Perché lì vi sentivate vivi e non vi siete per niente godute quelle fasi. E se ve le siete godute, avete poi dimenticato come si fa. E perché quelle fasi ci sono sempre. Quella è la vita. E credevamo fosse solo un passaggio da dimenticare.

Capite perché dico che non si conosce per niente che cos’è fare terapia? E che questo percorso è nella mente delle persone pieno di stereotipi e falsità? E di star bene e sempre meglio non si parla mai nei termini veri e palpitanti di ciò che può rappresentare?
E ovviamente sto parlando anche ai miei colleghi: che terapia pratichi amico mio? Da dove a dove accompagni i tuoi clienti? Che cosa ti dici e gli dici su come possa stare? Ascolti soltanto i tuoi pazienti? E ti limiti ad annuire? Allora perché non apri un pub piuttosto? Così oltre ad ascoltare il cliente potrai godere anche di un bel sottofondo musicale scelto da te.
Ecco il punto. Una cosa è ripartire. E un’altra, ben diversa, è decidere il proprio vento.
Ne abbiamo parlato ne La Metafora del Vento.
Ma qui il punto è più radicale.
Tu, che cosa desideri? Te lo sei chiesto recentemente? Se no, sei già mezzo morto caro ex amico mio, rimpianto.
E quanti amici abbiamo lasciato andare perché non sognavano più? Allora adesso chiediamoci: quanti amici hanno lasciato andare noi, perché non sognavamo più? O facevamo finta di sognare cose che in realtà non è che ci piacessero realmente? E soprattutto: a che punto abbiamo lasciato andare noi stessi, convinti che ormai non ne saremmo mai più venuti a capo?

Cosa credete che si faccia in terapia se non recuperare i propri desideri? C’è forse qualcosa di più importante?

E parla dei tuoi desideri a chiunque e comunque. Se no come fai a sapere se sono desideri o pizzini appizzati così a caso senza alcun senso opportuno?

Vedrai un fenomeno raro: che piano piano la lista dei desideri si organizza. Si stabiliscono sempre le prime posizioni. E quando precisi di più i tuoi desideri, ti verrà voglia di festeggiare. Irrefrenabilmente. Finalmente. Perché ti conosci di più. Ogni giorno desiderando di più. E scoprirai le corrispondenze tra i piccoli desideri e quelli in cima alla lista. E ti dirai: apperò! Allora nulla è da tralasciare. Anche le più piccole pulsioni!
E ti butterai. Senza più pensare. A nulla.
Perché a me non piace solo migliorare il mio benessere e quello degli altri. Mi piace cantare e ballare in modo sfrenato e stare in gruppo e ridere finché ce n’è, e sentire il vento tra i capelli in bicicletta (che c’è da ridere?). E tutto questo bendiddio l’ho ritrovato nella mia terapia. Senza contare che proprio la mia terapia dei desideri alla lunga ha prodotto il mio amore e mia figlia e il piacere lunghissimo che può dare stringere tra le braccia loro due insieme.
E come si fa se no a crescere di nuovo senza premere sui desideri?

Gli uccelli e il pilota sull’aliante non stanno a verificare che le leggi del cielo ci siano ogni momento. Lo danno per scontato e ci costruiscono sopra traiettorie imprevedibili.
Allo stesso modo la gratitudine c’è sempre e io mi ci lancio a perdifiato per volare nei sogni. Allora sono veramente grato.

Il sentimento di gratitudine cambia la vita. Non il ‘fermarsi a ringraziare’ come io avevo sempre inteso. E’ qualcosa che trascina, trasporta e ci investe potentemente.
E se non c’è l’ho, lo anticipo, perché me lo ricordo bene a tutti i sensi possibili che ho per il tempo in cui l’ho vissuto.
Solo questo ho da fare.
E se ci sono indugi non è perché non hai capito e ancora devi realizzare- come tu ti dici. Ma va’. È perché per qualche motivo a casa tua da piccolo ‘qualcosa’ ti era proibito. Tutto qui. Questo livello di passione ed entusiasmo è ostacolato dentro di te da antiche proibizioni. Caratteriali. Punto.
Ed è benissimo che lo ammetti una buona volta. Ne abbiamo parlato in Due Prezzi da Non Pagare Più.
Non puoi fare altro. Non c’è altro. Non viene ammesso altro. E la sintesi, la trasformazione, arriverà. Facile e puntuale. Per la legge che è.
Questo è il tornare a vivere che si respira finalmente in terapia. Altrimenti non è, è far finta: leggi se vuoi Chi fa Finta di Far Terapia.

Io come ho detto sono grato per il mio desiderio di aiutare le persone a star sempre meglio e vivere il più intensamente possibile la propria gioia e il proprio potenziale vitale.
Ma non sempre sono stato connesso alla gioia profonda mia e della persona che stavo aiutando.
La soddisfazione intensa e mooolto emozionante del vivere le scoperte di consapevolezza di chi avevo di fronte, credevo fosse episodica e fortunata e insomma, quando arriva, arriva.
Invece era una predisposizione, un allenamento, un ammorbidimento della mia corazza mental caratteriale. Come sempre del resto.
Ma scoprirlo mi ha reso ancora più palpitante.
E’ come quando siamo troppo al telefono o davanti ad uno schermo. Poi ci vuole una boccata d’aria, un cambio di stato.
Ecco. Una predisposizione ormai acquisita come una seconda natura, (stare davanti ad uno schermo, o sempre nella testa, o sempre soli) non ci fa emozionare come dovremmo. Tutto qui.
Quindi dopo aver provato più intensamente e frequentemente questa sensazione di sintesi e di profondo sentimento di connessione al posto giusto e al momento giusto, sono riuscito a sentire il cuore battere più forte e il respiro pienissimo di gioia e soddisfazione, ‘insieme’ alla persona che stavo aiutando. Partecipando con lui o lei e accompagnandolo in questo modo molto di più. Toccandolo emotivamente perché io ero toccato emotivamente.
Prima non la curavo come possibilità.
Sarebbe stato per me, col mio carattere pauroso, morigerato e rispettoso, credere di essere chissà chi. Ma invece oggi è solo intensità. Pura, potente e pastosa nell’erogazione di potenza, come diceva una volta un raro esperto di motociclette.

Vivere potentemente realizzato in anticipo il proprio desiderio, dal più piccolo al più grande, è energia continua che sgorga e sentiamo gli ormoni prodursi e circolare dentro di noi (letterale), avvertendo una decisiva connessione alla fonte, qualsiasi significato rappresenti per voi questa parola: Universo, Verità, Vitalità, Dio o Natura.

Che cosa ti piaceva fare? Non te lo ricordi? E non ti vergogni? E non lo vuoi trovare? Per me era esplorare. Qualsiasi collina. Uscivamo con una corda come se dovessimo scalare una montagna. A 7 anni. E salivamo. Convinti che sul colle di 200 metri avremmo trovato chissà che. Stando in gruppo, vivendo in gruppo ed entusiasmandoci in gruppo. E godendo ogni istante di quei pomeriggi infiniti che finivano sotto i lampioni accesi a giocare. E non è quello che poi ho riscoperto e che faccio ancora oggi e soprattutto sempre di più?

Sapete quante ragazze e ragazzi di molti anni sono ripassati in terapia dai propri 16 anni? Questo è il testo delle risposte di una persona meravigliosa che sta ritornando ad esserlo. Ma che fino ad oggi aveva scelto di vivere la metà e forse un quarto di sé. Che importa se ha 28 o 48 anni?

Io, se torno a come mi sentivo a 16 anni (o all’età migliore per me), e lo vivo come fosse oggi:

Non ho paura di niente
Posso affrontare tutto
Non ho paura di cosa pensa la gente
Libera
Faccio qualunque cosa
Vivo a livello energetico, pratico
Non penso al domani
Penso all’oggi
Passo il tempo a correre, saltare
Salto gli ostacoli
Penso solo a me, solo a me, non penso al resto
Mi sento invincibile.

Lei comunque ne ha solo 28. Ma le sembra ci sia un abisso che la separi dai 16, e una vecchiaia presente e spenta ormai imposta dalla vita che le pesa da quando ne ha 21. Quindi che cosa stiamo parlando, in realtà?
Quel che credevamo fosse privilegio perduto e un’occasione mancata, era solo una porta da riaprire e una serratura da ammorbidire.

Allora fallo anche tu, cos’altro puoi fare?

Io, se torno a come mi sentivo a 16 anni (o all’età migliore per me), e lo vivo come fosse oggi…


E poi rileggi per stagioni intere quelle emozioni che hai evocato e calati in quei panni che sono i tuoi, mentre tu ancora t’illudi fossero solo illusioni da ragazzo.

Scrive Elisabeth Gilbert con la sua anima coerente e specchiata:

Uno degli esempi più fantastici di vita creativa che ho visto ultimamente è quello della mia amica Susan, che ha iniziato a fare pattinaggio artistico a quarant’anni. A dire il vero sapeva già pattinare. Lo faceva da bambina, e le piaceva, ma poi aveva mollato da adolescente quando era ormai chiaro che fosse priva del talento per diventare una campionessa.
Insomma, per il successivo quarto di secolo, la mia amica Susan non pattinò. Perché darsi tanto da fare se non puoi essere la migliore?
Poi compì quarant’anni. Era svogliata. Inquieta. Si sentiva grigia e appesantita. Fece un po’ di introspezione, quel genere di ricerca che si fa ai compleanni importanti. Si domandò quand’era stata l’ultima volta che si era sentita davvero gioiosa e leggera, e… sì: creativa, a modo suo. E con un certo shock, scoprì che erano passati decenni. In effetti era successo quand’era ragazzina e pattinava.
Rendersi conto di essersi negata quell’attività così vitale per così tanto tempo la turbò e le venne la curiosità di vedere se le piaceva ancora. Assecondò questa curiosità. Comprò un paio di pattini, trovò una pista e un istruttore. Ignorò la vocina che continuava a ripeterle di essere ragionevole e di mollare quella follia. (…). Lo fece e basta.
Tre mattine alla settimana, Susan si svegliava prima dell’alba e, in quell’ora intontita prima degli impegni di lavoro, Pattinava. E pattinava, pattinava, pattinava. E le piaceva ancora. E le piaceva anche di più, forse perché adesso -da adulta- era in grado di apprezzare il valore della propria gioia. Pattinare la faceva sentire viva e senza età. (…). Stava facendo qualcosa di sé, qualcosa con sé.
Fu una rivoluzione, nel senso letterale del termine, perché con le giravolte sul ghiaccio ritrovò la vita, giravolta dopo giravolta, dopo giravolta.

Ma attenzione: la mia amica non ha lasciato il lavoro, non ha venduto casa, non ha tagliato i ponti con tutti per trasferirsi a Toronto e lavorare 70 ore alla settimana con un istruttore olimpionico. E no, questa storia non finisce con lei che vince una medaglia. Non è necessario. Anzi, questa storia non finisce. Susan infatti va ancora a pattinare di mattina semplicemente perché pattinare è il modo migliore che ha -apparentemente l’unico- per far scivolare la bellezza e la trascendenza nella sua vita. E desidera passare più tempo possibile in questo stato di grazia mentre è ancora qui sulla terra.
Tutto qui. Ecco che cosa intendo per vita creativa.
(…) Credetemi: una vita creativa è una vita amplificata. Più grande, più felice, espansa, e molto, molto più interessante.

Elisabeth Gilbert, “Big Magic, Vinci la paura e scopri il miracolo di una vita creativa”,  Edizioni Best Bur.

Recentemente in aereo c’era una gruppo di paracadutisti 60enni. Ma sapete quanto si divertivano e quanto contagiavano tutti gli impettiti passeggeri? Avete presente il pezzo di cabaret di Enrico Bertolino sui muratori bergamaschi in vacanza in aereo? Ecco. Umore dissacrante, trascinante. E così è la croce rossa, la protezione civile, i gruppi sportivi nessuno escluso. Il volontariato lo è in generale. Potete immaginare quanto gliene freghi dei problemi loro personali e di lavoro e famigliari e dello stato della nazione? E quanto abbiano compreso che ogni cosa è relativa e sempre presente a vari strati e gradi in ogni fase della vita? Perché lo fanno e perché esistono questi gruppi se non per trovare tutta d’un fiato questaintensitàeleggerezzainsieme?
Molta gratitudine non si dice, si infonde.

Come quando mi limitavo a strimpellare o canticchiare mormorii indistinti. Dopo aver invece ripreso la mia chitarra con l’entusiasmo dei sedicianni e aver approfondito l’armonia e dopo un corso di canto funzionale di poche stagioni, adesso da tanto tempo ho ripreso il gusto di creare, e il flusso di sentirmi trasportato da questo creare.
E tu, in terapia o meno, mi dici che vuoi ancora capire le tue paure prima di risolverle?
Gratitudine è sentire e far sentire l’urgenza. Senza urgenza la vita non è.
Grazie siete molto gentili, ma io adesso fremo dalla voglia di (qualsiasi cosa essa sia).
Da quanto tempo non fremi dalla voglia di? E allora.
A cosa ti appoggi prima di andare a dormire e quando ti svegli? Ti agguanti ad un desiderio? Allora sei già a cavallo.

Alexander Lowen in tutta la sua opera ha dimostrato come solo farsi travolgere corporalmente dalla propria energia primordiale possa scardinare da dentro ogni blocco caratteriale:

C’è un’enorme differenza tra la follia che è passione (passione divina) e la follia che è malattia mentale. Nella prima situazione, l’eccitazione è piacevole e permette all’io di espandersi fino a che, nel momento culminante, viene trasceso. Ma anche in questo momento, la trascendenza non è aliena all’Io, dato che è naturale e positiva per la vita. Si tratta di un abbandono alla vita più profonda del sé, quella vita che agisce a un livello inconscio. I bambini non hanno paura di perdere il controllo dell’Io. Possono girare su se stessi fino ad avere le vertigini e cadere a terra, ridendo di piacere. Ma la perdita del controllo in attività di questo tipo è un atto libero compiuto senza alcuna pressione. La mancanza del controllo dell’io è naturale nei bambini molto piccoli. (…). Ma quando ci comportiamo sulla base dei nostri pensieri e delle nostre concezioni, non siamo spontanei e ciò elimina la gioia e riduce il piacere che l’azione può produrre. (…). Diventa nevrotico quando il controllo è inconscio e arbitrario, e non può essere abbandonato. 
(…) Questo controllo inconscio esercita un’influenza su molti individui che trovano molto difficile esprimere i propri sentimenti o affermare i propri desideri. (…) Si potrebbe dire che questi individui sono inibiti, che si vergognano a fare richieste a proprio favore. Generalmente la persona è consapevole della propria inibizione, ma è impotente a superarla, dato che non ne comprende il motivo e non percepisce le tensioni che costituiscono l’inibizione stessa. Questo problema può essere affrontato in terapia.
Alexander Lowen, Arrendersi al Corpo, pagg 180-181, Astrolabio Editore. 

E aggiunge James Hillman ne Il Codice dell’Anima, libro che dovrebbe essere regalato dallo Stato ad ogni 18esimo compleanno:

La nostra vita non è determinata tanto dalla nostra infanzia, quanto dal modo in cui abbiamo imparato a immaginarla.
(…). Noi appiattiamo la nostra vita nel modo stesso in cui la concepiamo. Abbiamo smesso di immaginarla con un pizzico di romanticismo, con un piglio romanzesco.
Perciò questo libro raccoglierà anche il tema romantico e oserà vedere la biografia alla luce di grandi idee, come la bellezza, il mistero, il mito.
Fedele alla sfida romantica, si arrischierà a lasciarsi ispirare da parole grosse, come “visione” e “vocazione” e preferendole alle parolette più riduttive. Non è bene sminuire ciò che non si comprende.
Questo libro, insomma, ha per argomento la vocazione, il destino, il carattere, l’immagine innata: le cose che, insieme, sostanziano la “teoria della ghianda”, l’idea cioè, che ciascuna persona sia portatrice di un’unicità che chiede di essere vissuta e che è già presente prima di poter essere vissuta.

(…) Una vocazione può essere rimandata, elusa, a tratti perduta di vista. Oppure può possederci totalmente. Non importa: alla fine verrà fuori. Il daimon non ci abbandona.
(…) A questo punto, diventa straordinariamente facile comprendere la nostra vita: comunque siamo, non potevamo essere altrimenti. Niente rimpianti, niente strade sbagliate, niente veri errori. L’occhio della necessità svela che ciò che facciamo è soltanto ciò che poteva essere.
(…).
Per cambiare modo di vedere le cose, bisogna innamorarsi. Allora la stessa cosa sembra del tutto diversa. Al pari dell’amore, il cambio di prospettiva può avere un effetto di riscatto, di redenzione, non nel senso religioso di salvare l’anima per il paradiso, ma in senso più pragmatico. Come al banco dei pegni, ci viene dato qualcosa in cambio, il nostro pegno non era privo di valore come credevamo. I fastidiosi sintomi quotidiani possono godere di una rivalutazione, è possibile reclamarne l’utilità.
(…) una ristrutturazione della percezione: ecco a che cosa miro in questo libro. Voglio che vediamo il bambino che eravamo, l’adulto che siamo e i bambini che per qualche motivo richiedono le nostre cure in una luce che sposti la valenza da sciagura a benedizione o, se non proprio benedizione, almeno a sintomo di una vocazione.
James Hillman, Il Codice dell’Anima, Adelphi Editore.

A questo punto. Che cosa vuoi fare? C’è un meccanismo di non voler vedere, fare e sbloccare che si ripresenta sempre uguale e ti fa sentire mezzo morto.

Sempre Hillman illumina questa chiusura, che riconduce ogni cosa alla nostra visione precostituita, con un aneddoto folgorante. Chiediti se anche tu fai così e se vuoi continuare o cambiare.

Un uomo è convinto di essere morto. Dice ai familiari: «Sono morto» e i familiari lo mandano da uno specialista. Subito tra medico e paziente incomincia un’accanita discussione. Il medico fa appello ai sentimenti dell’uomo verso la vita, verso la famiglia. Poi prova a farlo ragionare, dimostrandogli l’intrinseca contraddizione di una frase come «Sono morto»: i morti non sono in grado di dire che sono morti, perché è appunto in questo che consiste l’essere morti. Alla fine il medico ricorre all’evidenza dei sensi. Domanda all’uomo: «I morti sanguinano?». «Certo che no» risponde l’uomo, spazientito dall’ottusa dabbenaggine della mente dei medici. «Lo sanno tutti che i morti non sanguinano». Al che il medico gli punge un dito. Ne esce una goccia di sangue. «Ma guarda un po’, chi l’avrebbe mai detto» esclama l’uomo. «I morti sanguinano, eccome».
James Hillman, La vana fuga dagli dei, Adelphi Editore. 

“Scacco.
No.
Scacco.
No. Questo è scacco.
Matto. Di Pedone”.


Beth Harmon, la Regina degli Scacchi.

 

Lista dei Miei Desideri



Io, se torno a come mi sentivo a 16 anni (o all’età migliore per me), e lo vivo come fosse oggi…



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