Ti ricordi quanto si stava bene ai tempi del Virus?
Sandro il Grande, come sempre. Stile, piglio e acume da hors categorie.
Ma anche un intervento con certe prerogative sociali, generali, filosofiche e filologiche sul genere umano. Sulla scorta dell’ultimo suo libro sul Paradigma del Game, che ha cambiato tutto il nostro modo di pensare, fino all’osso, alla lisca di pesce del come siamo.
La cosa che mi ha lasciato, però, è che manca qualcosa: lo sporco dei marciapiedi nei video in cui la gente s’inventa di travestirsi da busta della spazzatura pur di uscire. E cioè l’aspetto umano, privato e miserrimo, psico-corporeo.
Il quale non solo mi acchiappa di più in assoluto, ma è anche quello che balza agli occhi di questo periodo da perderci la testa. Che s’inventa la gente in questo punto di svolta dell’umanità? Che succede all’umarel di quartiere, che non può uscire?
Allora mi sono scritto le cose che secondo me, mancano, nell’ordine, alla lettura di cui sopra.
Sono delle cacchette rispetto alle riflessioni illustri, sono da bar anziché da salotto televisivo, ma tant’è, quest’è, secondo me.
Puoi leggerle 1 alla volta, ed è più comodo, cliccando su ognuno dei punti. Oppure, se vai avanti, tutti di seguito.
2. Il Sistema non funziona più.
4. Esiste di nuovo il Sociale.
6. La sensazione, evidentissima, che sia una prova generale.
8. E in tutto questo bailamme, chi si distingue?
9. Il Ritorno del Giorno della Marmotta.
Ecco fatto. Manca l’apoteosi degli animali domestici. E’ il loro trionfo, questa emergenza. E poi i simboli, gli atti simbolici che compiamo in situazioni d’emergenza. Ma può bastare. Perché c’è sempre molto altro ancora. A voi ora le vostre sensazioni.
Non ho guardato o riletto l’articolo di Baricco, che ripeto, trovate qui. Per vedere se ci sono più elementi comuni. Adesso lo faccio. Ma fatelo anche voi. Chiedetevi, con l’intonazione di Raf: cosa resterà… di questi anni ‘20? E fatelo come gioco. Commentate. Aggiungete. Riflettete. Ascoltateci sopra. Fateci sapere. Aiuta? Urca, se aiuta.
E poi, scusa, ora, se segui ognuno di questi punti e di quelli che aggiungerai a piacere… e se te li appendi in casa… non vedi niente?
Quando l’emergenza sarà finita, facci caso, avrai una bella ricetta, ricca-ricca, fitta-fitta, per il benessere.
Mica paglia. Roba buona.
1. Lavorare su di sé, stanca. L’assoluta evidenza che la cosa più importante di tutte, prima della salute, perché rinforza anche il sistema immunitario, è imparare a lavorare su di sé. Adesso lo dite tutti, anche su raiuno, eh bastardi? Disciplina dell’auto ascolto, far fronte alla rinuncia, a che cosa ci riporta personalmente questa crisi. Cosa mangiamo. Come pensiamo. Come organizziamo i conti con la vita. Perché, se non lo facciamo adesso, chiusi tra le quattro mura, impazziamo. E’ la rivincita degli yogi confinati in etichette naive. Tu che fai ‘ste cose, mi puoi dare una mano? Una ricetta, una pratica, una lettura, un discorso da fare a tizio? Cadute dal pero, le persone sembrano dire: non c’era altro di altrettanto importante nella vita, e voi non ce l’avevate detto? Dovevamo fermarci, dice la voce di una poesia che gira, incredibilmente potente.
Ecco. Il corpo. Se non passiamo dall’accoglienza delle esigenze del corpo e dello spirito, delle vere importanze, in situazioni del genere, così d’emergenza, siamo perduti. Come Tim Robbins nella prigione di Shawshank: crediamo di stare vivendo un film carcerario. Invece ne possiamo vivere un altro, totalmente diverso. Le ali della libertà sono dentro. A prescindere da dove stiamo. Se prima ci dicevamo di non avere tempo di occuparcene, ed eravamo solo mente, ego e cose da fare, oggi, alle prese con tutto il pacco delle paturnie, siamo alla deriva. E se non ne faremo tesoro per il futuro, al ritorno nella baraonda, ma proprio tutte-tutte le mattine, saremo dispersi di nuovo, senza centro né bussola. Diventa allora di fondamentale importanza, la lezione, per ciascuno di noi diversa, che questa crisi ci riporta a galla. Sai impostare qualcosa di primario per ascoltarti di più?
La veritàaaa, scritta alla Zavattini. Questa forzata clausura ci porta all’evidenza su noi stessi. Conta solo la verità. Sempre. In ogni cosa. Ci guardiamo intorno e c’è quel che c’è. Non si scappa. La cura o non la cura delle cose e delle relazioni e dei sentimenti. Mai come questa emergenza ci porta di fronte allo specchio. Quante persone posso chiamare? Quante persone ho voglia di chiamare? Sono stato ipocrita e adesso i miei rapporti fanno decisamente pena? Ecco, la rivincita dell’accettazione. Senza scampo. Quale rapporto ho realmente con questa persona che convive con me, ora 24 ore al giorno? E con la mia casa e le mie cose? A che punto sono? E la cosa più sconvolgente è proprio che 1 verità al giorno, solo 1 verità al giorno, è in grado di farmi svoltare la clausura, altrimenti, adesso, il consumo esasperato di notizie, tv, cibo, interessi del cavolo, mi manda ai pazzi. Quindi anche solo 1 momento d’aria sul balcone, 1 spesa, una farmacia, una meditazione, una classe di bioenergetica, un pilates, una riflessione, un libro ri-scovato chissà dove, mi possono aiutare. Conta solo la verità.
Ogni cosa della vita, possiamo gestirla in due modi: come una pausa, una sospensione, e quindi una maledizione, una fuga, un meno male, un sollievo, una convalescenza forzata. O come un’occasione. La prima non conviene mai, la seconda, è un valore, sempre. La ripartenza, la creatività nell’inventarsi le giornate, le nuove organizzazioni dei compiti a casa, l’assoluta genialità nel trovare come passare il tempo che stiamo dimostrando e il divertirsi in casa, certificano di quanto spreco di talento siamo capaci, ma anche quanto ne abbiamo, in assoluto. Le cose da fare sono mille! Le persone si dividono in due. Chi trova zero e chi trova mille cose da fare. E non solo: è un’attitudine che s’impara. Miliardi di persone la stanno imparando in queste ore. Ci possiamo mettere la faccia! Dalla munnezza alla ricetta, chiunque può avere i suoi 15 secondi di celebrità.
2. Il Sistema non funziona più. Le persone non sono per niente soddisfatte della propria vita fuori dalla crisi. Enormità di sollievo, palpabile, nel non andare a lavorare. Il modello, davvero-davvero, già non funzionava più. E noi terapeuti siamo lì per canalizzare questo nuovo anelito. Lo racconto ogni giorno. Una volta, al mare, sotto l’ombrellone, un paio d’anni fa, e diverse mamme a discutere accanitamente sul tema: non so cosa far scegliere a mio figlio/a, quale università, che gli possa garantire un impiego. Eehh?! Un impiego? Io faccio scegliere?! Garantire?! Non è del ‘900, questo modello, ma dell’’800. E soprattutto: che vita è?! Tutto quello che abbiamo realizzato nella vita, è attivato solo perché ce la siamo scelti da soli. E’ la legge della vita. Non possiamo più vivere come 200 anni fa. Ci stiamo sbagliando ragazzi, diceva una canzone degli anni ‘90. E ancora fermi lì siamo. E’ colossale questa sensazione. E noi siamo sempre Luca lo stesso. Che vogliamo fare davvero? Per che cosa campiamo? Per che cosa sacrificheremmo la nostra vita? Come decliniamo l’esempio dei medici di questi giorni? Che cosa avrei fatto, avessi avuto le possibilità? E che cosa posso ancora fare? Perché diavolo mi devo sempre sentire fuori posto? La crisi di questo sistema personale, la scoreggia infinita mentre tiriamo lo sciacquone, questa frattura maleodorante del sistema degli organi interni, è incoraggiata dall’evidenza che, per una volta, anziché sentirci isolati, a casa, in crisi, senza sapere come e cosa ridecidere del lavoro, delle scelte importanti, della nostra vita, missione e scopo primario, siamo invece ora tutti a darci manforte: ma guarda là che bella rivoluzione stiamo vivendo: non abbiamo, tutti, un cazzo da fare. Che bello. Certo, misero, come le vacanze in A1 in agosto -tutti in fila- dei decenni scorsi. Ma è ormai chiaro e alla luce del sole. Il nostro modo di scegliere la nostra vita, oggi, fa cacare. Tiriamo l’acqua, va’. Ma di questa vita, che cosa ci voglio fare? Devo fermarmi a chiedermelo. Ora. E ho capito che è una cosa da chiedersi ogni giorno. Per sempre. Perché non è che ci sarà un’altra occasione come questa per imparare un nuovo modo di vivere. Il modello non funziona, per nessuno, allo stesso modo. Ma è a livello individuale che va affrontato e risolto. Ora. Se no, domani, o tra 10 anni, sarà sempre ora, adesso, subito.
3. La Relazione è tutto. Dopo aver fatto i conti con se stessi, prima, un attimo dopo è lo stesso con gli altri. E’ come il principio dei vasi comunicanti: se curo di più la relazione con me stesso, non posso più ignorare come relazionarmi agli altri. Se non curo il confronto, rispecchiamento, risonanza con i miei simili che mi circondano comunque, in virtuale o dal vivo, come posso non deflagrare ora? La relazione è il punto di partenza e di arrivo di tutto. La clausura ce la sbatte in faccia ad ogni tramonto. Ed io? Cosa ho fatto o non ho fatto per le mie relazioni? Ora che non posso scappare dai miei familiari? Molti 20/30enni, da fuori, sono tornati, costretti dall’emergenza, dentro le mura di casa, e sono fuori di testa. E mi telefonano: salvami. Fammi sfogare se no li ammazzo. E le coppie? Lo dico sempre: in ogni coppia siamo sempre in 4: la mia parte bambina e la mia parte adulta. La tua parte bambina e la tua parte adulta. Se non si parlano prima tra loro, dentro, non si possono mettere d’accordo, fuori. Figuriamoci se torniamo a casa dopo anni in cui ci credevamo così fighi. Non si fugge da Foggia: o mi so parlare e accudire e prendere decisioni con tutte le mie abilità messe alla prova, o sarà sempre peggio. A Foggia o in California, è istess. E fuori dalle quattro mura? La crisi mette in risalto le verità delle relazioni: se non ci sentiamo nemmeno in questi giorni, forse… non possiamo più dire che non abbiamo tempo. Forse è proprio perché non vogliamo. Sono le scelte che si parlano, e le nostre, forse, non si parlano più. La conta di chi e di che cosa è importante è molto più evidente oggi. Alla fine, chi c’è stato in questo periodo, sarà colui o colei o coloro che contano di più nella nostra vita. Ma vada come vada: magari non ci sentiremo più: però questa cosa te la voglio dire. E te la dico, o me la scrivo e forse un giorno te la dirò. Ma la relazione, uh, se la relazione fa male… come stai oggi? Eh, come ieri. Mi fa male la relazione. Che ho. O che non ho. Ma è sempre la relazione: o mi fa bene. O mi fa male.
4. Esiste di nuovo il Sociale. Quello maiuscolo. Il momento delle piazze e la enorme, smisurata festa che faremo, quando apriranno di nuovo le gabbie. Se ci pensiamo, ci vengono i brividi: altro che mondiale di calcio. Certo, ci chiediamo: tra quanti mesi usciremo? Ma soprattutto: per quanti mesi ci riabbracceremo? E tutto proprio quando la crisi tutta personale di non avere uno scopo di cui sopra e di girare a vuoto, ci aveva fatto rivolgere alla miseria interna e rimuovere la socialità e la sua importanza. Gabriele Romagnoli, che è uno bravo-bravo, la chiama l’insolutidine. E’ vera. Ci mancano gli altri. Immensamente. E questo fa sì che ci sentiamo tutti vicini. Non nel senso della relazione personale, affettiva, emotiva, corporea, di cui abbiamo già detto, ma di gruppo sociale, di massa, di sentirsi popolo, tanti, insieme, uguali, con le stesse dinamiche. Io, mai sentita così, questa esigenza e questa vicinanza. E da quando non succede? Dai bombardamenti della guerra? E i Social, dico, i Social?! Quanto li abbiamo bistrattati?!? WhatsApp! Quanto lo abbiamo criticato?! Ora, senza, non saremmo in grado di gestire più niente: informazioni e relazioni. Non è il medium, è l’uso che se ne fa. E oggi l’uso è sociale e di emergenza, quindi torna ad essere “buono”.
5. Il ritorno della morte. I cortei di camion pieni di morti riportano immagini antichissime. Che credevamo superate. La gente sta morendo. Davvero. Di settimana in settimana, sempre più in modo concreto, reale, evidente. E si muore da soli. Senza visite. Senza assistenza. Senza medicine. Senza funerale. Prima era: tanto muoiono 4 gatti, tutti ultra ottantenni. Adesso non è proprio più così. E succede solo ad altri. Ma come? Non era solo una crisi di come tenere i figli a casa da scuola? Intere famiglie decimate. Richieste di aiuto inevase. Se hai il virus stai a casa. Ma tanto sarai lieve, vedrai. Altrimenti, no problem, te ne vai in pochi giorni, e sull’orlo del collasso, solo allora, forse, ti accolgono in ospedale. E stanno a guardare se ce la fai. Da solo. Questa si chiama paura di guardare in faccia la realtà. La gente sta morendo, ma i drammi strazianti sono solo privati. E non li vede nessuno. Non disturbare lo spettacolo. Dopo, ma dopo-dopo, se ne parlerà tanto: i conteggi dei malati sono tutti sballati. Sono tra 10 e 100 volte di più.
6. La sensazione, evidentissima, che sia una prova generale. Che la prossima volta sarà peggio. Che questa stagione sancisca un punto di non ritorno. Da che cosa e per che cosa? Ognuno tira acqua al mulino delle proprie convinzioni. 2 su tutte:
1. Quelli che “E’ tutto un complotto” e non ci dicono la verità, come al solito.
2. E quelli che “E’ una logica conseguenza”. E tra poco saremo tutti morti se non facciamo qualcosa. Ma per tutti è chiaro che è così: comunque la si pensi, è una prova d’orchestra di qualcosa che la prossima volta sarà peggio. Se è l’ambiente o il modo economico capitalistico assurdo, se le diseguaglianze create ad arte o l’uso impazzito della tecnologia, se un complotto delle banche, se una macchinazione di destra o di sinistra, se l’America o la Russia o la Cina, c’è comunque qualcosa che non abbiamo capito e questo è solo un avvertimento. C’era già una crisi spaventosa. Lo abbiamo già visto mille volte. Economica. Sociale. Ambientale. Personale. Ora, questa, è una crisi delle crisi. Ed è solo un avvertimento. Con la liturgia della prima volta. Le città mai viste vuote. Le acque di Venezia pulite. Il papa che cammina per strada. Poi prega nella piazza desolata, sotto l’acqua. Quante prime volte? Nazioni che possono stampare di nuovo moneta. I Germani Reali che nidificano di nuovo in Piazza San Marco. E noi? La prima volta che sono 4 giorni che non esco, nemmeno per la spesa, una volta sarei impazzito. Che stiamo in casa tutti assieme. Che ci diciamo queste cose. Quante altre prime volte ci saranno? Ci fanno sentire vivi. Anche se sono tragiche. Soprattutto. Siamo vivi per la prima volta. Per la somma di tutte le prime volte. Ma per quanto ancora?
7. Allora si può. La sensazione di: allora si può. Di potenza personale e sociale. Di empowerment. Non era vero che non si poteva, come ci hanno sempre detto. Se riusciamo a stare in casa così tanto per un’emergenza sanitaria, ah beh, ma allora possiamo farlo anche per il clima, per i consumi, per l’ambiente. Vi sfido: chi di voi non ha mai pensato che le idee del movimento Greta Thumberg, per capirci, erano belli ma un po’ da idealisti come il gioco di Zeman o di Galeone? Bello eh, come modello! Ma come si fa a rinunciare alla vittoria sul campo e ai consumi al punto in cui siamo?! Eccolo, come si fa: stiamo rinunciando a tutto, alla qualunque: uscire, correre, bere, consumare schifezze. E siamo tutti estasiati da come il pianeta sia di nuovo bellissimo, pulito, a bocce ferme. Tutto questo, davvero non mostra che qualcosa è molto più facile e possibile? E, di nuovo, che non sarà più lo stesso, il futuro, per la nostra capacità di fare qualcosa? Si può fare! Si può fermare il lavoro, la scuola, il campionato, le coppe e le olimpiadi! In generale, il problema dimostra che si può decidere e fermare qualsiasi cosa. Sbagliata. E rimettere in moto qualsiasi cosa. Giusta.
8. E in tutto questo bailamme, chi si distingue? L’Italia! Il ritorno della patria e la bandiera. Fieri di essere stati i primi: rivalutiamo la nostra mediocrità. Rispuntano le bandiere sui balconi! Ma ti rind cont?!- si dice dalle mie parti. Ce ne diciamo di ogni, e siamo davvero approssimativi e sgarrupati: si veda l’esempio dell’INPS o delle certificazioni 4.0. Ma fieri finalmente di essere italiani e di rappresentare un modello. I tedeschi, diobono, i tedeschi, che dicono frasi di un allarmismo spropositato senza fare niente. Gli americani, spocchiosi con la peste in casa e un tampone che costa ai singoli 3000 dollari. E l’ospedale da campo a Central Park! Inimmaginabile fino ad 1 mese fa. I brasiliani, dico i brasiliani, che affermano che è un’influenza, come gli incendi sono fuocherelli montati dalla propaganda. Gli spagnoli che tanto abbiamo ammirato. Che figura di merda stanno facendo? E il ridicolo del tirasela francese? E il grottesco dell’approssimativo ciuffetto inglese?! L’orgoglio di essere italiani. Finalmente. Non è il più grande miracolo di questo virus?
9. Il Ritorno del Giorno della Marmotta. E’ tornata in auge l’unità di misura della giornata, non ci sono più sabati e domeniche, e soprattutto lunedì, come nei tempi antichi! Che giorno è oggi? Booh? E le previsioni? Mah. E se mangiassimo ora? Chi ce lo vieta? E chi ci corre dietro se rimandiamo? La danza della giornata produce risultati sempre uguali, ma sempre diversi. Come in una poesia della Szymborska. Molto più secondo natura. Quindi sono questi ritmi naturali che si ripetono sempre uguali, che possiamo tornare a misurare? E che cos’è? Il banale piacere quotidiano di fare il pane? Nella famiglia di mia madre, quand’era bambina, c’erano i turni per alzarsi durante la notte, ogni notte, per impastare, girare, e infornare il pane. Ma l’avreste mai detto? Che tornava in auge la misura dei monaci tibetani e l’obiettivo generalizzato del piacere dall’alba al tramonto?! Ma andiamo! È davvero troppo bello per essere vero. E’ il Giorno della Marmotta del nostro modo di essere. Ogni giorno di fronte alla stessa occasione di crescita. Perché, tanto, questo c’è. E domani, se non ce l’ho fatta oggi, ricomincio da capo.
E la casa è il centro di questa doppietta alba-tramonto! Un centro pieno di eventi. Oppure è un centro buio. Ma è il centro della nostra vita. Sempre. E’ può essere un centro aperto o chiuso. Noi abbiamo vissuto proprio questa sensazione. Da casa chiusa, nei primi giorni, a casa aperta. Aperitivi. Pranzi. Dirette lunghe con amici. Tutto virtuale, certo. Ma quindi ancora più simbolico. Gruppi di terapia. Classi di Bioenergetica. E altre sessioni di qualsiasi disciplina. E incontri più intimi, in cui le persone non sapevano dove rintanarsi per avere un momento di privacy. E la prima volta che ci siamo visti tutti insieme in video? Ciascuno nel suo quadratino di casa? Non è stato diverso? Più intimo e strano? Conclusione: conta solo la sensazione di apertura che sposi dentro. Comunicare è aprire. Con qualsiasi mezzo. E con chiunque parlate ve lo dice: in un primo momento, solitudine. Poi ho aperto la mia casa. E da oggi in poi, lo stare a casa, come prima, non esisterà più. Non sarà più lo stesso. Emergenza o meno. Speriamo.
L’essere umano si abitua a tutto, nel bene e nel male. Quando vediamo le persone in video, e ci salutiamo, i primi giorni eravamo tiepidi perché ancora in pausa di una relazione vissuta in profondità. Oggi, quando vediamo le persone che ci fanno ciao dallo schermo con la manina, ci commuoviamo come se potessimo toccarle. E ci accontentiamo di questo contatto così lontano, quasi fossero le lettere degli alpini durante la guerra. Guardare i filmati di come eravamo assembrati a ballare prima, ci fa effetto da lacrimuccia. Si cambia in una settimana. E questo ha effetti terribili se usati male, ma bellissimi se lo sappiamo e lo governiamo. Per cui, vogliamo abituarci nel bene, o nel male? Sta a ciascuno di noi chiederselo. Dov’è bene per me questa nuova abitudine? E dov’è male per me?
Ecco fatto. Manca l’apoteosi degli animali domestici. E’ il loro trionfo, questa emergenza. E poi i simboli, gli atti simbolici che compiamo in situazioni d’emergenza. Ma può bastare. Perché c’è sempre molto altro ancora. A voi ora le vostre sensazioni.
Non ho guardato o riletto l’articolo di Baricco, che ripeto, trovate qui. Per vedere se ci sono più elementi comuni. Adesso lo faccio. Ma fatelo anche voi. Chiedetevi, con l’intonazione di Raf: cosa resterà… di questi anni ‘20? E fatelo come gioco. Commentate. Aggiungete. Riflettete. Ascoltateci sopra. Fateci sapere. Aiuta? Urca, se aiuta.
E poi, scusa, ora, se segui ognuno di questi punti e di quelli che aggiungerai a piacere… e se te li appendi in casa… non vedi niente?
Quando l’emergenza sarà finita, facci caso, avrai una bella ricetta, ricca-ricca, fitta-fitta, per il benessere.
Mica paglia. Roba buona.