“Non mi guardare così…”.
“Così come?”.
“Con quell’illusione negli occhi”.
Aspettarsi la ricompensa…
…è ricadere nel malessere.
Io recito a volte letteralmente ai miei clienti la loro tensione verso un risultato. Faccio loro da specchio. E poi chiedo:
“se mi vedi da fuori, è lecita questa mia ansia, smania, tensione, mancanza, aspettativa esagerata? E che consiglio mi daresti?”.
E invariabilmente, le persone capiscono che c’è poco da fare.
Se sappiamo entrambi da dove viene la loro ferita e l’aspettativa di ricompensa, non possono che staccare la spina da un anelito, un ostinato cercare, un fallimentare imputare alla vita il risarcimento o la rottamazione di sé per ritrovarsi diversi e opposti.
Ci sono un tot di azioni da praticare per l’accettazione.
Così come ce ne sono altrettante -se non di più- per ciascuna delle altre quattro ricette per una piccola felicità.
Quindi? Se le compiamo, siamo certi di aver accettato?
In sostanza, come si fa a sapere se abbiamo accettato davvero?
Non si sa mai fino in fondo. Non è una scalata, è una filosofia di vita, una regola indispensabile per il benessere. Quindi va praticata e “manutenuta”.
Ma NON possiamo dire che abbiamo accettato davvero e incondizionatamente se non abbiamo almeno attraversato ciascuno dei passi che qui illustriamo.
Con piacere e naturalezza. Respirando. Quotidianamente.
Quindi la domanda è da porre al contrario e ogni giorno, al pari di un’abitudine:
“Come posso essere ragionevolmente sicuro
di essere sulla strada giusta dell’accettazione?“.
Se invece ci limitiamo ad assaggiare, a capire o a percorrere il cammino con delle aspettative di ricompensa … riprenderemo in un secondo le vie della delusione che conosciamo di più.
Per questo occorre cogliere l’accettazione come l’occasione per ridefinire totalmente il nostro modo di stare al mondo. Solo così arriva la piccola felicità cui possiamo anelare.
E contemporaneamente vivere la Leggerezza Profonda che non aspettiamo più che arrivi da chissàché e non indugiamo più nel produrre a piene mani.
Javier dopo due anni di terapia si presentò una mattina con questo bilancio:
“sono una persona completamente diversa rispetto a due anni fa, prima dell’analisi: diametralmente opposta. Sconclusionato ero prima e senza direzione. Così tanto in pace mi sento ora, molto più sereno; non entro più in alcun dramma; prendo molto di più la vita come viene… sia nel lavoro che nelle relazioni…
Eppure, ora, di nuovo, se mi aspetto dal mio lavoro di guadagnare 10, guadagno 5, e anche le relazioni mi deludono allo stesso modo: come mai mi succede?
Proprio quando io mi abituo a certe reazioni, invece mi arriva la sorpresa, qualcosa di inaspettato e di solito negativo.
È come se io mi aspettassi…
- tu ti aspettassi… l’ho accompagnato io, sorridendo…
Una ricompensa… abbiamo esclamato entrambi!
Perché la vita e l’accettazione non funzionano così.
Allora riprendiamo, da capo insieme, il filo dei ritorni.
Javier è nato nell’incertezza e cresciuto orfano dall’età di 6 anni, insieme ai fratelli, nella mancanza.
La madre a tutt’oggi, a ottant’anni, ha continue paure di non farcela, soprattutto con il denaro. E a lui chiede notizie e raccomanda da sempre comportamenti attenti e preoccupati al risparmio, all’attenzione, al pericolo di ritrovarsi nel bisogno, alla paura vera che li ha marcati così tanto.
Javier può solo accettare che lui sentirà sempre dentro di sé questa precarietà e ci può sorridere dentro, ascoltarla e sdrammatizzare, ma non aspettarsi la ricompensa.
Altrimenti arriva puntuale il contrario.
Il denaro abbondante e le relazioni serene arriveranno solo quando non saranno anelate da fuori come qualcosa di difficile, bensì normalissime e legate ad uno scopo superiore e più profondo, come un figlio, una missione, una condivisione ad un livello diverso, migliore e più vitale, trascinante e che trasformi cose e persone.
Per questo, se mi fermo ad una certa superficie del cammino, ho un’idea dell’Accettazione come un mezzo.
L’accettazione non è un mezzo.
E’ una frase da ripetersi come un mantra, il mantra dell’accettazione.
Mi ha molto colpito la tempra di Amelia Boone. Se non sapete chi è cercatela su web. Normalmente fa l’avvocato per la Apple, tanto per dire, ma per hobby, vinceva in uno sport estremo professionistico contro l’80% di partecipanti uomini. Non contenta, ha iniziato a vincere anche in altri sport estremi. Così, solo per vivere appieno. Esplosione di pure energia. Leggete la sua storia e quello in cui crede, e poi ditemi se non è d’ispirazione, rispetto alle nostre misere aspettative. Mi ha fatto sorridere il suo motto. Sapete qual è?
“Nessuno ti deve niente”.
Ecco!
L’accettazione non è un mezzo, è la verità.
E non è un mezzo perché non c’è nessun obiettivo ulteriore da raggiungere. È già tutto qui, dentro, da percepire abbondante.
Non puoi usare qualcosa o qualcuno per raggiungere quel che hai già.
Altrimenti vivi in un film.
Occorre viceversa continuare a guardare la luna e non il dito, considerarsi il cielo e non le nuvole, vivere ciò che trascenda il mero gesto di ottenere quel che non è mai arrivato. Che altro se no?
La vita non funziona in modo lineare.
Epperfortuna che è così.
Segue l’elenco dei passi per l’accettazione.
Se l’hai capito, bene. Ma persino se l’hai solo capito, e non fai dei passi precisi, non succede un bel niente.
Figurati te.
Continuando la simulazione con i miei clienti, mi metto nei panni dell’universo e faccio loro percepire:
“Io sono la natura, il denaro, le energie e il vento. Figurati te se io mi piego con le mie leggi che regolano tutto, a farti arrivare a te i pochi spiccioli per ricompensare te che hai fatto tutto e bene. E i passi che hai compiuto, necessari e sufficienti.
Figuriamoci!
Hai fatto il minimo indispensabile che la natura ti chiede”.
Come esempio, di solito faccio cadere per terra un cuore rosso di gomma che ho in studio, un piccolo antistress ma simbolico, decine di volte davanti a me, mentre parliamo, e commento:
“se io ho una volta paura e un’altra volta gioia nel farlo cadere, e poi incertezza, questo cuore cadrà a terra sempre secondo la legge di gravità, che è più forte di tutto.
L’accettazione funziona allo stesso modo: se io reggo che questa gravità è per sempre così, bene, posso semplicemente vivere la mia vita. E il cuore continuerà a cadere sempre allo stesso modo e non mi turberà. Lo darò per scontato e ci conterò. Sarà normale per me e diventerà la mia abbondanza. Mi ci potrò basare per produrre il mio piacere e la mia energia.
Se invece mi aspetto una qualche compensazione: l’accettazione e la gravità continuano sempre allo stesso modo e io sono frustrato in modo innaturale perché non accade niente di diverso. Ma non può accadere. Punto. Tutto qui.
Allora occorre capire -e accettare!- che se sono insoddisfatto cronico e mi aspetto cose che non stanno accadendo da tempo, quel che desidero da una vita è semplicemente innaturale e devo solo realizzare dentro di me come e dove non potranno accadere per me.
E non invece massacrare la mia giornata e quella di chi mi sta vicino con recriminazioni infinite, auto accuse inverosimili e sensazioni strane e discussioni e fallimenti tali da ammalarmi e intossicarmi l’esistenza”.
Ecco perché ne scriviamo.
La scoperta vera è che il problema è in realtà nell’illusione negli occhi di chi vuol trovare qualcosa di cui drogarsi per la vita.
A volte quel matrimonio che non va mai e ‘sto lavoro che non gira da sempre… non li cambio perché c’è il rischio che siano le uniche cose che abbia fatto di buono nella vita.
E fino a prova sicura e contraria, meglio che stia sereno ad accettare e capire che cosa sentire e come fare ad essere sicuro di me.
Poi certo, quando siamo sicuri e convinti, allora sì, cambiare con tutto se stessi e le paure del caso.
“La bambina non cresce mai!” è l’esclamazione del matematico protagonista di A Beautiful Mind, mentre blocca la macchina della moglie che lo sta lasciando:
“è vero, lo ammetto, la bambina delle mie allucinazioni non cresce mai. Sono anni che la vedo e non cresce mai. Quindi avete ragione voi, io vivo incontri e persone che non esistono”.
E da questa ammissione cambia tutta la propria vita, tratta da una storia vera. Riesce a realizzarsi, a riprendersi appieno la propria esistenza.
Ma continuerà fino all’ultimo giorno a vedere le stesse allucinazioni, solo che non le agirà più. Non risponderà. Le lascerà sullo sfondo.
Esattamente come accade in terapia. Vivendo incredibilmente meglio solo se resterà nella verità delle cose. Senza aspettarsi versioni taroccate dell’esistenza a proprio uso e consumo. Come purtroppo fa la moltitudine che ci circonda e che incontriamo.
Cara moltitudine, smettila.
Con affetto, la Natura.
La piccola Storia di Eugenia è emblematica in questo senso e tenera e toccante. Un piccolo quadretto che ispira e dà significato alle nostre umili emozioni.
All’interno del cammino di terapia, troverete dei passi appunto imprescindibili per stare meglio, che citiamo spesso e che qui sono spiegati, tra gli altri, nella serie di punti sulla Leggerezza Profonda.
Ecco. Lei immaginatela su un treno di pendolari mentre scrive una lettera intestata del tipo “ti ringrazio perché”.
E così, la troviamo in questa scena, mentre lei ringrazia la persona che le ha fatto del bene e anche del male.
E lo fa semplicemente scrivendo il nome di quella persona su un foglio e aggiungendo: ti ringrazio perché. Ed esprimendo tutto ciò che viene…
E mentre scrive, si commuove, si libera, piange, si rigenera, si rimette al mondo. E capisce che è qualcosa che va fatto per stare di nuovo bene.
E alla fine, mentre scende dal treno, una ragazza le si avvicina, le dà un biglietto e aspetta che lo legga:
“Io non so chi tu sia e a chi tu stavi scrivendo, ma vorrei tanto che qualcuno mi scrivesse anche solo una volta nella vita una lettera con lo stesso amore e la commozione con cui tu hai scritto la tua”.
E’ quando la vita la accompagniamo nel vento che ci riporta semi di nuove esistenze.
Altre storie? La leggerezza ne è piena.
Le mille avventure che qui racccontiamo sono tutte collegate al fatto che noi spezziamo ogni nostra sensazione di benessere per motivi e argomenti infinitamente piccoli rispetto alle 5 Leggi per una Piccola Felicità.
Diventa un’abitudine da interrompere.
E’ questa da spezzare, non permettere che lei spezzi noi.
Anche la storia di N. ha importanza:
ha ripreso il filo delle proprie passioni dopo vent’anni in cui -solo per un infortunio che aveva interrotto la propria carriera sportiva- ha frantumato ogni collegamento con i propri entusiasmi:
“Mi dicevo ogni giorno, ma è vita questa?! Ora posso rispondermi: Sì che lo è! Anzi, è questa la vita, non la commiserazione”. Quanti anni ho sprecato?!”.
Oppure R., che è rifiorita nel ritrovare l’amore dentro di sé verso qualcuno che l’aveva lasciata. Ri-appropriarsene e ri-viverlo, ri-condividerlo nel mondo e con gli altri ha fatto la differenza tra spezzarsi e stare malissimo, vivendo da morta, e invece rifiorire letteralmente e vivere di nuovo una vita intensa e profonda anche se lui non ha avuto il coraggio di vivere il loro amore.
“Anzi, proprio per questo. Lui non ha voluto lasciarsi andare all’amore? Io non mi abbatto come lui. E mi rivolgo con lo stesso amore nel mondo. Non distruggo più la mia vita pur di rimanere in contatto attraverso questo sogno infranto”.
Ogni apparente trauma ci lascia un grande dono, intensità e lezione.
O facciamo un salto in profondità, ne cogliamo il senso e lo riutilizziamo appieno per un atteggiamento cresciuto verso gli altri, oppure viviamo in attesa che qualcosa arrivi a rifonderci di ciò che nessuno in realtà ci ha tolto, anzi.
Non aspettarsi la ricompensa risponde allora alla domanda: ecco che cosa collega la reale accettazione ad un nuovo modo più leggero e profondo da oggi e per sempre di affrontare la vita.