La Ferita è un Dono: Il Grande Malinteso di Chi ce l’ha con Noi

C’e’ un aspetto illuminante del processo di emancipazione dai propri problemi, di cui non si scrive mai né si sente parlare.

 

Quando ringraziamo la ferita, quando vogliano superare il pensiero tormentoso di qualcuno che ci ha fatto del male, quando vogliamo tornare definitivamente a progredire…

 

…ci accorgiamo di vivere in un assunto di base che non è reale:

 

Nessuno ci ha rovinato scientemente la vita, o ci ha causato danni irreparabili.

Ciò perché nessuno ce l’ha mai a morte con qualcuno,
o gode nel far del male agli altri
oppure ancora causa dei danni volontariamente a qualcuno.

 

La verità, invece, è che in ogni situazione, nessuna esclusa:

Chiunque di noi
non fa altro che andare nella direzione in cui viene portato dalle proprie urgenze.

E qui sì, crea disastri.

 

Ma scusa: se nell’andare dove si voleva andare si massacra qualcuno!? Non è lo stesso per noi che siamo stati massacrati?! Cosa cambia? Ci ha comunque fatto molto, molto male.

 

Cambia, eccome se cambia.

 

Cambia l’impostazione della vita.
Cambia che vederla in modo più veritiero e meno illusorio, ci aiuta a uscire dagli influssi negativi e a non farli entrare più in futuro.
Vi sembra poco?

 

Ci cambia il livello di benessere che ci concediamo e ciò che NON permettiamo più agli altri, oltre a quel che autorizziamo finalmente a noi, in termini di sviluppo delle nostre capacità, senza più bloccare energie e con alibi ingiustificabili.

 

Ciò soprattutto perché, se anche “il Cattivo” di turno volesse far del male deliberatamente, non è quello che ci fa male, perché è e dovrebbe restare un problema suo… ma è che siamo noi ad accusare il colpo, è solo perché ci è già capitato di subire persone così e comportamenti per noi molesti.

 

 

La spiegazione è presto detta: da bambini tutto ci sembrava più drammatico. E questa constatazione c’è sempre, indistintamente, in terapia:

 

Le persone arrivano con un livello di dramma infinito dove “Qualcuno” o “Qualcosa” ci ha fatto proprio male e/ continua a rovinarci COMPLETAMENTE la vita.

E dopo appena pochi mesi di trattamento, se ne rendono conto benissimo e iniziano a vivere molto più sereni, magari ancora incasinati, ma molto più sdrammatizzando. Si veda i punti: Adalgisa e il Dramma, e Mito, Tragedia e Commedia della Nostra Vita.

 

Ho già detto delle proporzioni adulto-bambino dentro di noi:

io faccio mettere in ginocchio i miei clienti e salgo su una sedia davanti a loro, a voler riportare le proporzioni alle reali dimensioni in cui loro -da bambini- hanno vissuto fisicamente gli adulti.

Poi mi basta puntare un indice, alzare un sopracciglio per ricreare una situazione di allarme. Provate. Il nostro interlocutore, se lo vediamo come fossimo bambini, è un gigante. E qualsiasi intervento nei nostri confronti -nei panni di un bambino- è molto potente.

 

E’ sufficiente a quel punto far rimettere in piedi e nelle reali proporzioni la persona, per farle emettere un sospiro di sollievo insieme ad un’intuizione preziosa:

 

Da piccoli, si è più passivi e controllati.
E si percepiscono le VOLONTA’ degli altri come BLOCCANTI
E CON UN POTERE TOTALE NEI NOSTRI CONFRONTI.

 

 

E -se in questo periodo infantile- i messaggi genitoriali si ripetono troppo e in una sola direzione, creano un’abitudine al dramma, alla violenza anche solo verbale, che diventa carattere e ci fa vedere Cattivi e Stronzi dappertutto.

 

Questo è il motivo che sostiene anche il processo inverso:

“mio padre sì che era violento! Non certo io…! Avrei voluto farti provare che cosa voleva dire un’educazione rigida!”

 

Ma chi fa affermazioni del genere non si rende proprio conto delle mutate proporzioni, per cui, ai propri occhi, ciò che si è subito è infinitamente più grande della rigidità che facciamo subire ai nostri figli.

 

E così, questa sensazione di aver ricevuto un danno fa il paio con l’altra caratteristica molto presente in ciascuno di noi: sentirsi malati, mancanti, incapaci, strani:

quel che ci è capitato e continua a capitarci è qualcosa d’importante che non riusciamo proprio ad affrontare perché siamo noi ad essere sbagliati, fallati, mancanti.

 

E qui, come si vede, il processo di convinzione da parte dei messaggi genitoriali mal espressi e mal interiorizzati, si compie appieno: a furia di sentirci ripetere la stessa canzone, fin da piccoli, ci siamo convinti che è vero.

 

Eppure, anche questa sensazione è figlia dello stesso processo di cui sopra: è come una reazione doppia: è frutto sempre della “botta”, del trauma che abbiamo subito da piccoli, nella nostra improvvida educazione:

 

Qualcuno ci ha sottoposti ad un’ingiustizia, o non ha creduto in noi o… e noi ci convinciamo di una o dell’altra soluzione, perché fin da piccoli abbiamo bisogno di avere una risposta:

  1. o il mondo è pieno di brutte persone o di situazioni da cui proteggersi perché non affrontabili per noi
  2. o noi proprio non valiamo niente, ma niente-niente: siamo malati, sbagliati, fallati, non in grado.

 

Certo, anche entrambi gli assunti possono essere presenti in noi, magari in alcuni ambiti occorre proteggersi e in altri siamo proprio noi i malati.

 

Quando poi, alla fin fine, gli esseri umani iniziano a lavorare su di sé, si rendono conto di esagerazioni e suggestioni assolutamente opinabili:

 

Se vediamo infatti le diverse ferite nella loro struttura, si nota subito che:

 

 

il Carattere Rigido non ha subito semplicemente un’ingiustizia, ha subito “la più grande e invalidante delle ingiustizie”, che non gli permette più di sottostare ad alcun rapporto profondo d’amore, fiducia e abbandono di sé all’altro.

“A casa nostra non ci era mai permesso di giocare. Io e mio fratello potevamo solo studiare e guardare la televisione. E da allora questo ho sempre fatto: sacrificarmi, studiare, lavorare e aspettare che succedesse qualcosa di esterno che mi autorizzasse finalmente a provare piacere e divertimento che però, anche oggi, non arrivano mai”.

 

 

il Dominante non può sentire la propria Ferita da Tradimento, poiché il suo tradimento è “così doloroso” da aver bloccato ogni benché minimo sentire.

Abbiamo già ricordato la giovane donna che non riusciva mai a trovare un fidanzato affidabile pur sentendosi meritevole: lei ricorda ancora benissimo che a 14 anni, il padre, probabilmente per pura gelosia, irrefrenabile, incosciente e irrazionale, non aveva permesso alla figlia di scendere in cortile per settimane, dopo aver saputo che lei provava una cotta per un ragazzo del palazzo di fronte. Da allora, dopo un dolore così profondo, qualcosa di evidente era cambiato: mai più rapporti profondi con il padre e una completa chiusura e sfiducia nei confronti degli uomini, degli altri e della vita.

 

 

E così l’Orale ha un abbandono e una mancanza che non hanno nome per quanto grandi siano…

“Io ricordo chiaramente l’attaccamento e l’amore puro che nostra madre aveva per noi -e noi per lei. Ma non c’era mai. Doveva sempre lavorare in negozio. E allora, ogni giorno, si ripeteva l’agonia di chi fosse la persona a cui affidarci, che cambiava sempre, a seconda di chi nostra madre riusciva a trovare. E arrivare ogni volta a sera, a ricongiungerci con lei, era uno strazio per noi bambine e per lei. Ricordo addirittura diverse volte, quando non sapeva a chi affidarci, che ci chiudeva dentro casa, e noi potevamo solo affacciarci alla finestra e vedere il mondo da lì, ma avevamo pochi anni, eravamo entrambe alle elementari”.

 

 

Perciò, nell’accompagnare le diverse evoluzioni, il livello di accettazione si confronta con affermazioni insite nei proprio modi di essere che sono gravi e anacronistiche nella misura più colma che si possa immaginare.

Vediamole nel dettaglio…

 

 

 

 

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