Se le esperienze corporee NON arrivano alle emozioni, non succede niente, se lasciamo che ci trasformino, succede tutto.
Se si muove il corpo solo basandosi sull’orgoglio e la volontà e NON in base al piacere… il movimento non porta ad alcun cambiamento e prima o poi si affievolisce.
Se la pratica corporea non è quotidiana, NON trasforma e non porta alcuna evoluzione.
Se la pratica corporea NON è accompagnata da immagini interiori nuove e da queste ad emozioni legate al piacere… non arriva a risultati esponenziali.
Questi sono alcuni degli assunti principali che utilizziamo per lavorare in terapia, per accompagnare i clienti a trasformare il loro carattere.
Il ché vuol dire, in buona sostanza:
1) accettare ciò che è -e sarà sempre com’è
2) e valorizzare viceversa le nostre risorse, che di solito non vediamo pienamente.
Ciò rende la nostra vita intensa e piena di gioia reale, concreta, effettiva, qui ed ora.
Certo, occorre provare per credere. Altrimenti, chiediti: che alternativa ho?
Ed è successo che -accompagnando un cliente in questo cammino di accettazione incondizionata- …
…oggi ho risentito uni degli aspetti della mia ferita.
È un mondo a sé che occorre riattraversare, quindi rivivere come in un’ipnosi.
Stare a contatto, coccolarci e ascoltare, NON fare nulla, e verificare SOLO quali sono le opzioni di scelta e poi scegliere di ritornare sulla terra, nella nostra vita reale.
Nel mio caso è un “tratto” di una ferita simbiotica, che mi riconosco:
- Se esprimo i miei bisogni, poi “gli altri”, mia madre decenni fa, oppure le mie figure di riferimento oggi, si impadroniscono di me, mi sottopongono a ogni serie di trattamento che tenti -senza riuscirci- di sanare le loro ansie.
- E io sono in tale contatto profondo e totale -simbiotico, appunto- che non posso deludere “l’altro” e soprattutto non posso andare nella MIA direzione.
Respiro. Mi viene l’ansia anche solo a raccontare l’atmosfera. Allora entro in impasse e mi blocco, mi si ferma lo stomaco e sono in scacco:
- se seguo i miei bisogni, li esprimo e mi confido con gli altri, sarò sopraffatto
- se seguo quelli degli altri, sarò passivo e bravo ragazzo, in balìa comunque.
E’ il mio personale Tir’e Molla. (si veda punto relativo).
Viceversa, le mie figure affettive si prendevano il diritto di metter bocca e proprietà su quel che mi succedeva e mi sottoponevano a rituali estenuanti, dalla vestizione alla somministrazione di farmaci.
Senza distinzione appunto, tra me e loro.
Per fortuna ciò non è stato esteso ad ogni ambito e protratto nel tempo. Per fortuna, nelle scelte della vita, professionali, affettive, mi sono sentito sempre molto autonomo e rispettato. In senso generale, come valore e principio familiare. L’importante era che stessi bene e mi coprissi e mi riparassi dal freddo. “Copriti”.
Per il resto potevo godere di fiducia illimitata. Eccessiva è dire poco. E qui si è sviluppato un altro tratto del mio carattere, di cui parleremo altrove.
Questo mi ha permesso in ogni caso di sentire, sviluppare una mia vita adulta e matura, separata.
Ma in ogni rapporto, soprattutto all’inizio, ho dovuto superare la sensazione di essere in balìa dell’altra persona.
Ecco,” la Ferita è un Dono” vuol dire che tale Ferita mi ha permesso di sviluppare risorse importanti, che all’inizio non vedevo e che ho imparato, col tempo, a valorizzare.
So sentire molto bene -per forza di cose- empaticamente, cosa succede negli altri, come sono e che cosa desiderano da me e dalla vita.
Si capisce: dovevo stare attento a (non) esprimere i miei bisogni. E a sentire che cosa provassero le persone a me vicine. E ad ascoltare e rispettarle.
Con l’esperienza, ho scoperto che il mio scopo primario deriva sempre da questa matrice, proprio perché io l’ho sofferto sulla mia pelle:
aiutare il prossimo a valorizzare le loro meraviglie,
la loro autonomia e a godere appieno dell’esistenza.