5. La Fine della Paura

L’uomo porta dentro di sé le sue
paure bambine per tutta la vita.
Arrivare ad non avere più paura,
questa è la meta ultima dell’uomo.

Italo Calvino

(Questo articolo è la continuazione de Il Segreto della Ripartenza).

Quale è l’obiettivo terapeutico più grande nella lotta alle Ricadute?
E’ la fine della paura.
Dell’ansia. Dell’attanagliamento quotidiano che prende moltitudini tra di noi.
Quindi non è una cosa di poco conto.
Ogni Ricaduta nella Ferita Caratteriale è una Ricaduta nella Paura.
Ma cosa si può fare?
Perché la domanda che si pone in terapia è sempre la stessa:
La fine della paura esiste?

Sospiro profondo e… certo che esiste!
La fine delle preoccupazioni, degli attacchi di panico, dell’ansia cronica, della sensazione angosciosa di non avere via d’uscita, si può risolvere e non avere più, una volta per tutte?
Sì, si può. E anche in questo caso, attraverso la comprensione e la messa in atto di meccanismi semplici di correzione.

Cominciamo?

La prima bella notizia sulla paura è che non esiste.

Vale a dire che noi abbiamo una sensazione di avere una costrizione al petto e allo stomaco, un’immagine interiore di prostrazione, di ansia improvvisa, di ritrovarci costretti di nuovo nel solito pantano della ferita caratteriale, che però chiamiamo genericamente paura, mentre in realtà non si tratta della paura vera e propria. E’ solo di nuovo l’ennesimo blocco a cui ci si sente costretti.

La paura vera invece ha sempre una causa reale e una conseguenza concreta.

La paura si definisce come una delle 4 emozioni fondamentali dell’essere umano, insieme a tristezza, rabbia e gioia. Ha una funzione talmente positiva, che la gioia non è mai vera gioia se non è accompagnata dal superamento di una paura.

Un esame o una prova da affrontare, il timore di un rifiuto in amore, un obiettivo che ci stia a cuore, rendono la vita degna di essere vissuta e spiegano bene che cosa sia la paura-segnale: quando la sentiamo va bene, e occorre proprio affrontarla, non scappare via.
Sempre? Sempre. L’esempio classico, da film, dei benefici della paura, è quello di qualcuno che ci insegua con un coltello. Vedete? E’ chiara la causa della paura ed è immediata la conseguenza. Appena noi percepiamo il pericolo, vale a dire una causa effettiva, reale, molto presente, possiamo fare due cose: la prima è la fuga, scappando a gambe levate. La seconda, magari quando ci ritroviamo con le spalle al muro senza più vie di uscita, è decidere di lottare con tutto noi stessi contro il nemico, rischiando il tutto per tutto per non soccombere e per limitare i danni.

Questa è la funzione della paura. Ed è molto sana. Perciò bisogna lasciarsi andare con fiducia alla paura, come a qualsiasi altra emozione, perché nostra preziosa alleata. Vale a dire che bisogna accettare e non rifutare di sentirla. E affrontarla ogni volta. Poiché solo ciò che affronto si scioglie. Puntualmente.
Ripetiamo: causa reale, qui ed ora, conseguenza concreta, qui ed ora, trasformazione immediata grazie alla paura in rabbia reattiva o gioia.

Per questo è inutile, falso e dannoso, anticipare e preoccuparsi della paura. Per questo, avere paura della paura è un assurdo in termini.
Anzi, proprio questa ansia o panico generico che ci blocca, si verifica proprio perché non afffrontiamo la paura come qualcosa di sano, bensì la temiamo in modo così forte da bloccarci. E pretendiamo di non sentire mai più paura per non imparare mai ad affrontarla (!). Ed è solo questo paradosso che ci compromette l’esistenza (!!).
Addrittura, pensiamo che chi sta bene non ha paura. Che è assurdo.

In alternativa la chiamiamo preoccupazione perenne, angoscia. Ma sempre della stessa sostanza stiamo parlando.

Eppure è proprio ciò che pensiamo: ‘ho paura di risentire quella paura di non avere via d’uscita’.
Ma quella non è paura. E’ il pantano della ferita caratteriale.
Invece, la paura è sana proprio perché si basa su qualcosa e sfoga la sua adrenalina superando una prova.
Ciò vuol dire che non c’è emozione più grande di aver superato una propria paura.

La paura allora è necessaria perché produce una reazione. La reazione che poi ci faccia sentire bene. Che ripristini uno status quo sereno e affermativo, verso il benessere e la progressione nella vita.
Trasforma uno stato d’animo in un altro.
Quindi la paura è vitale e necessaria.

Per questo sulla paura vera e propria ci sono gigantesche industrie di intrattenimento che fioriscono: luna park di giochi che ci facciano paura, composti da ottovolanti e macchine di gravità e accelerazione, e film horror, che sono il genere che incassa di più al mondo.
In sostanza, la cosa che le persone amano di più è essere messe alla prova dalla paura.
Incredibile, no?

Quindi la paura distingue due tipi di vita: paura in una vita vissuta con leggerezza e paura in una vita vissuta con pesantezza.
Basta solo educarsi o rieducarsi al primo tipo, leggero e vitale.
Ed è solo un modo di vivere appreso nella famiglia di origine: pieno di brutte atmosfere oppure sereno, assertivo, auto-curante.
E la terapia è uno dei pochi modi che esistono per ricondurre le brutte atmosfere alle sane emozioni assertive.

Spero sentiate questa trasformazione del senso della paura da negativo e titubante ad entusiasta e coinvolto, perché a me ha profondamente cambiato la vita, da un giorno all’altro.

Dal punto di vista teorico, Heidegger ha ben distinto le due esperienze: Paura (Furcht) e Angoscia (Angst). E ha definito l’Angoscia come l’emozione di vivere qualcosa che ci fa paura ma non ha nome e che va affrontata come condizione umana. ‘L’aver paura è connaturata all’esperienza di esserci’, e l’essere umano ha bisogno di affrontare le proprie paure concrete per mettersi alla prova, per tenere a bada la propria angoscia esistenziale.

L’umano, quando ha paura, a cui appunto si connette spesso solo per evocare e rafforzare il piacere del gioco della vita, dopo si sente pieno di ormoni dell’affermazione, e rigenerato, cambiato, perché ha affrontato e superato timori profondi e ancestrali. E in generale si sente meglio, altrimenti non si metterebbe in tali condizioni, come fanno centinaia di milioni di giovani, forse miliardi. Così infatti si comportano i bambini e i ragazzi più spericolati, rischiando di farsi male sul serio, ma non curandosene minimamente.

E non abbiamo parlato degli hobby avventurosi e degli sport estremi, che seguono lo stesso schema.

Viceversa, allora, ed è di questo che ci interessa parlare, la paura che le persone in terapia lamentano, è sostanzialmente un blocco caratteriale, un pantano, una sensazione di oppressione o di riduzione delle prospettive, la percezione di essere di nuovo senza via d’uscita. E che conoscono benissimo. Perché non è stato loro permesso di trasformare la paura in rabbia reattiva e in affermazione di sé verso la gioia. Ma ora invece sì che lo sanno fare. E possono riprenderselo. In questo consiste la terapia: ritrovare i comportamenti naturali più adeguati.

Mentre noi ci ostiniamo ad accettare di vivere un attanagliamento.
Una sensazione di ricaduta in una situazione senza via d’uscita. Sostanzialmente è il contrario della paura.

La paura ci fa sentire e ci spinge ad affrontare cose sempre diverse.
Il blocco caratteriale al contrario ci riporta sempre alle stesse sensazioni.
Si muove sempre tutto nella paura vissuta in modo sano.
Non si muove mai niente nella ferita vissuta in modo insano.

Ciò che chiamiamo paura in questi casi -e che ci induce poi a farci aiutare- è sostanzialmente una sensazione confusa e ripetuta in noi migliaia di volte, in cui non sappiamo bene cosa ci capita, ma ci viene il cuore in gola e iniziamo a palpitare, ritrovandoci sostanzialmente bloccati.
E ciò accade perché si è verificato uno stop indotto da un condizionamento educativo, da qualche trauma o brutta situazione o proibizione famigliare in cui siamo cresciuti. E si rintraccia sempre, e viene fuori in ogni racconto terapeutico ciò che ha provocato questo blocco. Immancabilmente.

Perciò è stupido averne paura.
Tale enorme differenza tra blocco della ferita caratteriale e paura vera e propria, sancisce infatti una gigantesca possibilità di uscita per sempre da quelle che chiamiamo paure.

Perché:

1. Non lo sono per niente, paure.
2. Sono sempre uguali alla nostra ferita e al nostro solito pantano di proibizioni, punizioni, sensi di colpa, inadeguatezze, blocchi e rinunce esistenziali, sensazioni di non essere all’altezza, che abbiamo sentito per anni, ogni giorno, nella nostra educazione infantile, e continuiamo a sentire, questo è il punto.

E, ripetiamo, sono sempre loro, ogni volta le stesse identiche della nostra atmosfera di casa dei nostri genitori.

E infine:
3. Qualora lo fossero sul serio, paure, le affronteremmo proprio perché sarebbero da affrontare e basta, con un intento che produce benessere immediato per lo sfogo e la naturalità a cui ci riporta.

Prendiamo ad esempio la malattia. E prendiamola nella sua accezione maggiore, quella mortale. E chiamiamola con il suo nome. La paura di avere un tumore.
La paura di avere un tumore, o l’ipocondria in generale, non sono paure, sono ferite caratteriali. Di fronte ad una malattia potenzialmente mortale (o solo al pensiero di potersi ammalare…) ciascuno di noi reagisce in maniera personale, ferita, sempre uguale a tutte le brutture della propria esistenza: c’è chi si dice che ‘solo ad uno sfigato come me poteva capitare una disgrazia così’, e chi si dice che è ‘una giusta punizione per aver rinunciato così tanto all’esistenza’. E così via, ma comunque ogni volta la stessa reazione della medesima ferita sempre in atto. 

E come ogni sintomo, dal più lieve al più grave, funziona sempre come una profezia che si auto avvera: c’è sempre una convenienza nel farmi capitare o nell’attirare quella malattia, nella misura esatta di dramma invalidante che sento dentro.
Spesso ad esempio le infezioni croniche ci ricordano un problema perenne. Mentre le evoluzioni di tali infezioni in tumori, ci dimostrano che il problema è mortifero e senza scampo per noi. Ma è solo una convinzione, pensate un po’, da debellare dentro di noi, confutare, trasformare e vedere per ciò che è: una mera e inutile suggestione.

Quindi la condizione psicologica è fondamentale nell’affrontare il nostro blocco e nel non chiamarlo più paura.
Se si vedono i libri di Meta Medicina di Claudia Rainville, si notano subito le esatte corrispondenze dei sintomi.

Sapete viceversa perché realmente ringrazia chi ha avuto un tumore?
Perché ha compreso e superato proprio questo meccanismo.
A me è capitata come sensazione e vi garantisco che si ringrazia davvero l’esistenza e la malattia. Ne ho parlato in questo video che rende bene come affrontare e accettare la morte mi abbia spalancato un’esistenza totalmente diversa: 7 Centimetri di Futuro.
E poi per tutto il resto dei respiri che ci spettano, non si ha più paura di niente in assoluto.

Chi ha avuto un tumore e ha affrontato la paura di morire, l’ha risolta per quello che è: il dispiacere esistenziale di dover lasciare questa vita. Ma non è paura.
E una volta affrontata la situazione drammatica per mesi ogni notte e risolta, con una semplice decisione di vivere serenamente fino in fondo e senza più alcun timore, titubanza, preoccupazione, ansia o angoscia, mai più…
…perché sono falsi colossali e non servono assolutamente a nulla, se non a rovinarci l’esistenza sempre nei soliti modi…
…dopo aver scelto ‘come’, nel caso, morire, con un sorriso e in pace anziché un livore e una rabbia abissale che ci rovinino gli ultimi mesi di vita…
…allora sì che si conosce l’essenza delle cose, molto di più di chi tutto questo non l’ha dovuto/voluto attraversare:

– ho vissuto sempre contratto
adesso che dovrei essere preoccupato, mi sento totalmente liberato
– a prescindere dal fatto che io sopravviva o meno, allora mai e poi mai avrò più paura di nulla e mai mi sentirò ancora contratto, preoccupato e in riserva.

Cito spesso una ragazza di Roma che ringraziava in un weekend di terapia il proprio tumore tra le lacrime di gioia, e la sensazione infinita di rinascita: ‘mi ha fatto uscire per sempre dalle mie solite paure infinite’.
E ci implorava di buttarci anche noi in qualsiasi entusiasmo in modo totale e totalmente felice, e di non aspettare mai più che una malattia, un infortunio o un trauma ci costringessero a farlo lì per lì.

Fatto sta che io non ho mai visto nessuno più felice di mia figlia di 3 anni che scappa quando le dico che se la prendo le faccio il solletico. E’ presa da risate incredibili, piacevolissime, coinvolgenti, vitali. Eccitazione, paura che io la prenda e gioco infinito, illuminano la sua e la nostra vita, attraverso il rischio, il mettersi alla prova, il rincorrersi a vicenda.

La paura è un gioco. Tutte le fiabe fanno paura per risolversi in un lieto fine. A volte sono mostruosamente paurose.
Come mai secondo voi? Proprio perché è un meccanismo naturale. Se vogliamo sentire gioia pura, viene meglio se prima ci siamo messi in condizioni di avere paura di non poter avere questa gioia. Al termine ce la godiamo molto di più. In antichità era decisamente così. Andare a cavallo, cacciare, salire sugli alberi, affrontare ogni tipo di animali. Si dice che per esempio gli uomini adulti e maturi siano finiti. E perché? Proprio perché questi rituali per i maschi non ci sono più. Mentre le donne, una volta al mese, sono mantenute dalla maternità alla sensazione di dover comunque un giorno affrontare tutte le proprie paure e risolverle.

In ogni caso, ciascuno di noi, nel nostro piccolo, da bambino si è messo talmente in pericolo da uscirne trasformato, affermato e felice. O quasi. La persona che viene in studio da noi, invece, non ha nè lo sguardo affermato nè tale vitalità sopra ricordata.
Ma può ritrovarla benissimo. E accade spesso in terapia. Le persone rifioriscono letteralmente.

Non volete farlo anche voi sapendo come si fa?
Si fa in fretta in realtà.
Ricapitolando:

  1. Affrontare le proprie paure è tutto.
  2. Sapere perché e come farlo è indispensabile.
  3. Avere paura della paura è un assurdo in termini.
  4. In realtà noi sentiamo blocco e ferita e sensazione di non avere via d’uscita, quando diciamo di avere paura.
  5. E il blocco vero è dall’altra parte: da una vita probabilmente non viviamo appieno le gioie dell’esistenza.
  6. Buttarsi nella gioia e nella felicità senza più alcuna remora, vuol dire allora rimuovere per sempre il freno a mano della paura /ansia /preoccupazione /angoscia e funziona così proprio come antidoto alla sensazione di blocco esistenziale, poiché la paura che nel caso arriverà, sarà naturale e ci spingerà a reagire, mai più a bloccarci.
  7. La sensazione di liberazione, leggerezza, intensità e verità che ne deriva, ci stravolge l’esistenza.

Continua la lettura:
6.Senza affrontare le paure, la vita non è vita.
Tale enorme verità ci cambia radicalmente la percezione: il malessere che lamentiamo è invece solo…

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