Alcuni casi concreti
Ad esempio, se prendiamo il problema, frequente tra i clienti che vengono in terapia- “Tendo a inseguire qualcosa che non posso avere…”….
… oppure “ho l’inclinazione a fantasticare, compensare, non riuscire a vivere il presente”,
…questa la possibile metafora che può fornire un aiuto immediato e concreto:
Immedesimarsi in un’età dove non posso che essere soddisfatto oggi.
“Se avessi oggi 80 anni? Ma con le energie che ho adesso, cosa sentirei, vedrei, preferirei fare?”.
E simularlo dentro. Ogni giorno. Fino a che non ci venga spontanea una sintesi. E lo stato d’animo finalmente di vivere intensamente qui ed ora.
Questa semplice “Ispirazione a…” è un sottile escamotage in grado di sbloccare in un minuto un’impasse esistenziale di decenni:
se non posso aspettare più nulla, allora cosa posso fare?
E farlo, fino in fondo, ogni giorno.
Perché la verità è questa: non c’è mai, mai più, per sempre, il tempo da sprecare”.
E’ molto indicativa in questo senso, una metafora esplicita del Libro Rosso, di Carl Gustav Jung:
“Capitano, il mozzo è preoccupato e molto agitato per la quarantena che ci hanno imposto al porto. Potete parlarci voi?”
“Cosa vi turba, ragazzo? Non avete abbastanza cibo? Non dormite abbastanza?”
“Non è questo, Capitano, non sopporto di non poter scendere a terra, di non poter abbracciare i miei cari”.
“E se vi facessero scendere e foste contagioso, sopportereste la colpa di infettare qualcuno che non può reggere la malattia?”
“Non me lo perdonerei mai, anche se per me l’hanno inventata questa peste!”
“Può darsi, ma se così non fosse?”
“Ho capito quel che volete dire, ma mi sento privato della libertà, Capitano, mi hanno privato di qualcosa”.
“E voi privatevi di ancor più cose, ragazzo”.
“Mi prendete in giro?”
“Affatto… Se vi fate privare di qualcosa senza rispondere adeguatamente avete perso”.
“Quindi, secondo voi, se mi tolgono qualcosa, per vincere devo togliermene altre da solo?”
“Certo. Io lo feci nella quarantena di sette anni fa”.
“E di cosa vi privaste?”
“Dovevo attendere più di venti giorni sulla nave. Erano mesi che aspettavo di far porto e di godermi un po’ di primavera a terra. Ci fu un’epidemia. A Port April ci vietarono di scendere. I primi giorni furono duri. Mi sentivo come voi. Poi iniziai a rispondere a quelle imposizioni non usando la logica. Sapevo che dopo ventuno giorni di un comportamento si crea un’abitudine, e invece di lamentarmi e crearne di terribili, iniziai a comportarmi in modo diverso da tutti gli altri. Prima iniziai a riflettere su chi, di privazioni, ne ha molte e per tutti i giorni della sua miserabile vita, per entrare nella giusta ottica, poi mi adoperai per vincere.
Cominciai con il cibo. Mi imposi di mangiare la metà di quanto mangiassi normalmente, poi iniziai a selezionare dei cibi più facilmente digeribili, che non sovraccaricassero il mio corpo. Passai a nutrirmi di cibi che, per tradizione, contribuivano a far stare l’uomo in salute.
Il passo successivo fu di unire a questo una depurazione di malsani pensieri, di averne sempre di più elevati e nobili. Mi imposi di leggere almeno una pagina al giorno di un libro su un argomento che non conoscevo. Mi imposi di fare esercizi fisici sul ponte all’alba. Un vecchio indiano mi aveva detto,anni prima, che il corpo si potenzia trattenendo il respiro. Mi imposi di fare delle profonde respirazioni ogni mattina. Credo che i miei polmoni non abbiano mai raggiunto una tale forza. La sera era l’ora delle preghiere, l’ora di ringraziare una qualche entità che tutto regola, per non avermi dato il destino di avere privazioni serie per tutta la mia vita.
Sempre l’indiano mi consigliò, anni prima, di prendere l’abitudine di immaginare della luce entrarmi dentro e rendermi più forte. Poteva funzionare anche per quei cari che mi erano lontani, e così, anche questa pratica, fece la comparsa in ogni giorno che passai sulla nave.
Invece di pensare a tutto ciò che non potevo fare, pensai a ciò che avrei fatto una volta sceso. Vedevo le scene ogni giorno, le vivevo intensamente e mi godevo l’attesa. Tutto ciò che si può avere subito non è mai interessante. L’ attesa serve a sublimare il desiderio, a renderlo più potente.
Mi ero privato di cibi succulenti, di tante bottiglie di rum, di bestemmie ed imprecazioni da elencare davanti al resto dell’equipaggio. Mi ero privato di giocare a carte, di dormire molto, di oziare, di pensare solo a ciò di cui mi stavano privando”.
“Come andò a finire, Capitano?”
“Acquisii tutte quelle abitudini nuove, ragazzo. Mi fecero scendere dopo molto più tempo del previsto”.
“Vi privarono anche della primavera, ordunque?”
“Sì, quell’anno mi privarono della primavera, e di tante altre cose, ma io ero fiorito ugualmente, mi ero portato la primavera dentro, e nessuno avrebbe potuto rubarmela piu”.
Un altro caso frequente è quello di colui che non riesca a vivere sereno, bensì perennemente preoccupato.
A questo tipo di persone, nel setting terapeutico, viene suggerito di chiedersi:
“Se oggi, come ogni giorno a venire, fossi sempre in vacanza, come respirerei? Cosa farei? Come mi sentirei? Cosa sarebbe importante?”
E anche qui: non basta farsi la domanda concettuale. Occorre immedesimarsi emotivamente, fino a cambiare abitudini e schema corporeo.
E’ questo che ci cambia la vita. L’emozione, sempre. Il ragionamento, mai.
Intraprendere questa strada, solo come simulazione dentro di noi, ci trasfigura.
Fino al cambiamento di attitudini primarie.
Altri esempi, sul lavoro:
Come mi sentirei se…
– … lavorassi per hobby?
– … qui ci stessi solo con un contratto part time?
– … fossi già in pensione e venissi qui solo per ciò che mi piace fare?
– … fossi ricchissimo?
– … avessi solo 6 mesi di vita rimanenti?
– … avessi un corso da fare ogni sera, dopo il lavoro, che mi piace tantissimo?
– … vivessi una vita di volontariato? Se vivessi solo di volontariato, dove andrei, come mi nutrirei nelle relazioni?
Un’altra fonte di metafore molto efficaci sono le arti.
In questa settimana mi sono ad esempio ritrovato di nuovo a dovere e volere “comporre” una parete di ceramiche artistiche. E l’ho fatto come fosse un quadro, in un’espressività totale, piena tra l’altro di corpo e di possibilità creative e materiche.
Ogni mattina ho dedicato una mezz’ora, il tempo massimo che potevo permettermi, a questa vera e propria meditazione di movimento. Ipotizzare di inserire una piastrella di un certo colore in un determinato punto, allontanarmi, come in un balletto, ritornare, decidere, incollare e andare avanti. Un piacere purissimo e rigenerante.
Ma la svolta, come racconto altrove, è stata anni e anni orsono, il ri-trovare e re-inserire la musica nella mia quotidianità.
Cantare, suonare, esprimersi, comporre, vivere di musica, per chi lo ha provato, pone incredibilmente la propria vita ad un livello di metafora espressiva ed esistenziale tale che i sintomi, letteralmente, svaniscono.
Nutrirsi allora del PRATICARE Musica, Teatro, Pittura di ogni genere, Collage, Ceramica, Danza, Scrittura (emotiva), tutte attività che fanno vibrare il corpo e trovare se stessi attraverso le emozioni corporee, ridona spontaneità, verità e bellezza, pure e splendenti.
Ed è importante ricordare che qui sottolineiamo soltanto che in ogni cambiamento su di sé c’è una rinascita, una nuova primavera, dove a ciascuno di noi ritorna spontanamente la voglia di tornare ad esprimersi.
Solo che nel metodo, sistema, meccanismo terapeutico, abbiamo sperimentato che saperlo e lavorare sulla propria metafora serve per guadagnare di incisività, costanza, piacere, profondità e portata del cambiamento stesso.
Nei gruppi di terapia, abbiamo addirittura organizzato delle Serate Scopi Primari, aperte al pubblico, dove ciascuno mette in scena la propria arte ritrovata, la narrazione della metafora. Ci sono anche dei video di testimonianza, che potete vedere.
Altre storie, narrazioni personali, immagini di riferimento più generali:
– Se mi manca sempre qualcosa, provo a vivere per donare
– Oppure: scegliere vivere per riconciliare, se sono cresciuto nei conflitti e nella svalorizzazione
– O per ringraziare, se non mi fermo mai a godere di ciò che ho
– Oppure ancora ad amare, se mi manca da sempre amore. Distribuire amore rigenera chiunque senta da sempre la privazione d’amore.
I risultati di una semplice metafora diversa, opposta in questi casi, sono sconvolgenti.
In sostanza, la Metafora sposta, ribalta, oppone, all’immagine ferita di me, un’altra visione, più vera e colma di spunti, in modo che “devo per forza notare le differenze e iniziare a nutrirmi di altro”.
Una splendida sensazione, pulita ed esatta, allora arriva:
poiché questa condizione esistenziale sancisce diritti insindacabili. “Finalmente!- ci diciamo. Era tanto che non succedeva, di sentirsi così”.
Ciò perché la grande possibilità di questa nuova/ma antica/ storia che ci raccontiamo, è ricca di opportunità, è una scommessa, una convinzione esistenziale fuori dalle costrizioni, dove il caratteraccio che abbiamo funziona meno e blocca meno le nostre azioni, facendo fluire un flusso vitale che sentiamo potente.
La nuova metafora crea un condizionamento necessario verso il benessere, dopo decenni di abitudini verso il malessere e il “comportamento che si deve mantenere” secondo educazione.
Ma che alla lunga ha così tanto condizionato la nostra esistenza che il livello di soddisfazione esistenziale era -e doveva essere!- “basso”, a prescindere dalle condizioni reali.
Questa è la nostra nuova Visione Radicata: la sintesi dove vediamo noi ma anche gli altri, in modo rivelatorio. A questo punto si svela:
“Alla fin fine –mi dice Angelo a questo proposito– io mi sono sempre agitato con tante velleità, ma a patto che restassi in basso, pieno di sintomi, superficiale, ‘fallato’. E’ incredibile come ora riesco a vedermi chiaramente”.
Scopriamo così che facciamo fatica e faremmo fatica by default, senza alcuna relazione con il mondo esterno e i reali sforzi che richiederebbe.
E allora cos’è e come e dove e in quale immedesimazione non sento di fare fatica? E quella è la strada.
Ecco la potenza della nuova metafora:
afferma quanto occorra buttarsi in una nuova verità, più realistica: ci catapulta nel benessere.
Nulla di meno.
Solo così -col tempo- svilupperò un mutamento reale di condizione dentro di me.
La Metafora ispiratrice ci riporta così al principio cardine della Natura, la Legge della concentrazione:
Ciò che nutro, mi nutre.
La questione su cui mi concentro tende sempre a crescere nella mia vita.
E se ho accettato che, nella parabola esistenziale, avrò sempre la tendenza antica e fuorviante a perdermi in qualcosa, ho bisogno di una storia forte, tutti i giorni, che mi agganci e mi condizioni verso la bellezza e il respiro pieno e profondo.
Tutto qui.
Ma è davvero tanta roba.
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