Non andare mai a dormire
senza aver fatto una richiesta per il tuo inconscio.
Thomas Alva Edison
Michele racconta una storia ai suoi figli, Aldo e Amelia, di 9 e 7 anni, nella loro cameretta, prima di dormire.
Al tempo dei Maghi e delle Streghe, c’era un Furetto, che non si sapeva perché e non si sapeva come, era divenuto uno specialista nel risolvere problemi impossibili ed enigmi irrisolti.
Era un animale e quindi ovviamente non parlava, ma aveva un dono nello sguardo, così espressivo e toccante che era sufficiente che la sua padrona, Circèpole, detta Ciri, Maga Bianca, vale a dire Maga buona, una sorta di Sciamana e Medico olistico di quei tempi, per certi versi sapienti, saggi e naturali, ascoltasse insieme a lui un problema e poi, fissandolo per un alcuni interminabili secondi, veniva ispirata nel dare dei compiti apparentemente paradossali, ma che recavano un insegnamento importante e spesso risolutivo.
Negli anni, Ciri si era detta che probabilmente erano sopraggiunti due fenomeni:
il primo era che di fatto, poteva essere soltanto che il Furetto ispirasse la parabola e il compito, ma che in realtà era da sempre lei e solo lei a seguire una propria suggestione.
Fatto sta che aveva ovviamente provato ad ascoltare i problemi senza avere il Furetto accanto e niente, non usciva alcuna ispirazione. Cosa sarebbe successo quando il Furetto di nome Anacleto, per lei Cleto o Cletuccio (dall’affermazione “stai cheto, Cleto!”, che ripeteva sempre), non ci sarebbe più stato, per sopraggiunti limiti d’età?
Il secondo fenomeno, secondo Ciri, si disse sorridendo mentre girava il sugo nella pentola sul fuoco e osservava l’ennesima persona, un ragazzo abbastanza male in arnese, che attendeva il suo turno per esporre il suo problema, era l’Effetto Alone: un aspetto della storia, del compito che lei assegnava, era così particolare, che attraeva così tanto l’attenzione della persona alle prese col problema, che tutto il resto passava in secondo piano.
Le scappò anche una risata sonora a quel pensiero: noi abbiamo la soluzione dentro, la sappiamo già. Basta che il compito sia suggestivo e strano e la persona si convinca da sé che il senso di quella risposta è proprio esattamente quello che ha sentito giusto per sé.
Il ragazzo, alla risata, diede ancor più segni di disagio. Lei concluse i suoi pensieri a voce alta:
“Ma non preoccuparti ragazzo, è una suggestione come un’altra, come quella che hai già, entrando da quella porta, solo che è più utile per te.
Ora dimmi come io e Cletuccio possiamo aiutarti”.
“Aspetta un momento, papà -dice Amelia, la figlia di Michele-. Dove hai letto questa storia?”.
“Se la sta inventando al momento”, dice Aldo, con fare da fratello maggiore, “che sa”, malizioso.
Non è affatto vero -risponde Michele- ma potrebbe esserlo benissimo, a voi la scelta. Posso averla letta o inventata al momento. L’importante, come per tutte le cose, è che abbia un senso e ci dica qualcosa.
Amelia scaglia il cuscino verso il fratello, dicendo: “Non è vero!” E lui si avventa su di lei per farle il solletico: “sì, invece!”. Tra le risate, si accingono a calmarsi e ad ascoltare il prosieguo della storia.
Posso andare avanti?
In breve, il ragazzo era convinto che -se avesse seguito la propria natura- sarebbe stato molto male.
“Da che cosa scaturirebbe il dolore?” Chiese Ciri.
“Non so”.
“Allora cosa senti? Cosa hai sentito le volte in cui ti sei lasciato andare alla tua natura?”.
“Ho sentito sofferenza, costrizione”.
“Ma in cosa consiste questa tua natura…?”.
“Beh…”, il ragazzo titubava. Ma nel silenzio, dovette continuare.
“Io mi dedicherei agli animali”- disse lui.
“E cosa c’è di strano?”.
“Che io vivrei nella malga di montagna, solo con gli animali… e poi -se qualcuno viene a trovarmi-, bene, e se riesco a vivere vendendo i miei prodotti, ancora meglio, ma quel che m’interessa, l’unica cosa, è vivere in mezzo a loro, e parlando con loro, occupandomi delle cose da fare e vivendo così, per sempre. Sto molto meglio con gli animali che con le persone”.
“Cosa ti hanno fatto gli umani?”.
“Niente, è la mia natura”.
Lo sguardo serio di Ciri gli impose però di precisare:
“Io non li capisco e loro non mi capiscono.
Insomma, li soffro. Non so mai cosa fare e come comportarmi”.
“D’accordo. Ma allora perché non puoi fare la vita che vorresti?”.
“Perché non è nelle aspettative degli altri, della mia famiglia”.
“E cosa succederebbe se lo facessi?”
“I miei ci rimarrebbero molto male”.
“L’hai già provata questa vita? Come fai a sapere che ti piace?”.
“Solo 4 giorni. 3 anni fa. Ora ho 14 anni e vivo di quel ricordo. Ma sono dovuto scappare via. Dovevo restare 2 settimane, ma niente. Sono andato. Perché mi sentivo così bene che mi sono spaventato. Ho detto ai miei che non mi era piaciuta, proprio per negare che ero stato bene”.
“Uhhm, quindi tu sai come e quando stai bene”.
“No, non lo so. Solo quella volta”.
“E come mai?”
“Perché io…”
“Perché tu…”
“Io non vado bene”.
Lo sguardo interrogativo di Ciri lo fissava:
“Io non so cosa voglio, non posso permettermelo, di scegliere qualcosa che mi piaccia. Niente mi è mai piaciuto così. E adesso, tutto d’un tratto, voglio con tutto me stesso fare una cosa assurda, chiudermi in montagna, non vedere nessuno. Eppure ho capito che questo mi renderebbe felice… Ma non posso nemmeno dirlo ai miei”.
Ciri guardò il Furetto.
Il Furetto guardava il Ragazzo.
Il ragazzo guardava Ciri.
“Quindi non sai se è una fuga, oppure se è una vera realizzazione di te”.
Il ragazzo ci pensò, poi annuì.
Ciri guardò ancora a lungo il Furetto, che questa volta la fissò a lungo.
Alla fine:
“Allora non puoi farlo”, esclamò lei, alzandosi, come ad avere, adesso, tutto chiaro.
“Puoi solo rassegnarti. Tu non solo non farai mai quella vita. Perché non saprai mai chi sei e che cosa vuoi”.
E iniziò semplicemente a rassettare la stanza lasciando crescere un silenzio denso e profondo.
Il ragazzo si sentiva contrastato. Da un lato si vedeva morire, ma dall’altro, questo confermava che lui non andava bene, e quindi in un certo senso, la verità, il giusto, la sentenza naturale sulla sua vita, rimetteva ogni cosa a suo posto… sì insomma, gli dava anche un certo sollievo. Ecco, pensava, vedi, era questa la verità, non potrò mai vivere bene… allora mi metto l’anima in pace….
“Non mi chiedi nient’altro?”
“Quindi ci devo rinunciare, è così, ho capito bene?”
“Ovviamente no”.
“…”.
“Adesso vai a casa. E per 2 mesi non esci. E basta. E ti chiudi in camera, ripetendoti, che se ti senti così da tanto tempo, se credi che tu non vali e non puoi fare ciò che vuoi, che non sai davvero ciò che vuoi, e che non puoi deludere le aspettative dei tuoi…
…allora -se è sempre stato così- allora sarà sempre così per tutto il resto della tua vita”.
“Ti sentirai così ogni volta, ormai sei già grande.
– Non farai mai ciò che vuoi.
– Non avrai mai la sicurezza di te.
– Non farai mai nulla che possa ferire o deludere gli altri.
– Le aspettative altrui saranno sempre padrone della tua vita”.
“Stai con queste frasi, scrivitele e ripetile, per 2 mesi interi. Vedi cosa succede dentro di te. Cosa provi, cosa pensi e cosa ti accade. Scrivi le tue reazioni, i sogni, i pensieri, i sentimenti e i cambiamenti che si verificano. Esci solo per pranzo e cena con i tuoi e poi torna in camera tua. E alla fine, torna qui”.
Bene, adesso a nanna. Un’altra sera vi racconto come prosegue la storia.
“Ma sei matto?!”- Esclama Aldo, tirandogli il cuscino. Allora anche Amelia protesta: “papà no, papà! Nooo!”. Aldo prosegue: “Se non ci dici come va avanti, noi non dormiamo tutta la notte!”.
Ma non capite? Siete voi che dovete dirmi come va avanti la storia.
Cosa ci sognate su. E cosa presumibilmente successe in quei 2 mesi al ragazzo.
E poi io vi dico come andarono le cose realmente.
“Eh ti pareva che non c’era la fregatura….”.
Va bene, facciamo così, vi racconto per altri 5 minuti la storia e poi continuiamo domani. Va bene?
“Yeah!!!”, esclamarono i due fratelli, all’unisono.
Prima che il ragazzo uscisse, sinceramente colpito, il Furetto scosse il capo due volte, chissà se davvero per richiamare l’attenzione di Ciri, o per caso, ma lei lo notò. Allora si soffermò di nuovo su quello sguardo. Sapeva che, ogni volta che accadeva, doveva aggiungere qualcosa… il Furetto non era ancora soddisfatto.
“Porca Trota”, disse tra sé: “Aspetta un attimo, ragazzo mio. C’è ancora una cosa. Non puoi fare niente, tranne un’azione che però devi fare sempre, ogni giorno, nessuno escluso, pena la decadenza di tutto il rituale e la perdita di efficacia”.
“Hai presente la Fonte Nascosta? Quella che è a cento metri di salita dal paese?”
Il Ragazzo annuì.
“Sai perché si chiama così?”.
“No, non me sono mai interessato”.
“Si chiama così perché qualcuno cento anni fa pensò bene di farla saltare con dell’esplosivo per deviarne la corrente in una direzione più favorevole ai propri terreni. Questo ovviamente la fece prosciugare e i raccolti andarono in malora insieme a tutta quella famiglia, purtroppo. Ma…”.
“Maa…?”, esclamano scattando i due bambini vedendo che Michele interrompe di nuovo la storia…
Niente, a nanna! E fa per uscire.
Ma Aldo si è già messo di traverso alla porta, impedendogli il passaggio. E così fa anche Amelia.
Scoppiano di nuovo a ridere tutti e tre.
E quello è il segnale che la storia può ancora continuare, speriamo fino alla fine…
“Ma… dopo trent’anni -continuò la Maga Ciri- qualcuno si accorse, scavando a pochi metri da lì, che in realtà la fonte si era piano piano ricreata, trovando la propria strada, in modo naturale e creativo, soltanto in maniera nascosta, sotto il terreno, come in un tunnel protettivo… Proprio per salvaguardarsi dagli esseri umani. E bastò togliere qualche tronco per scoprirla di nuovo e rendere di nuovo possibile abbeverarsi”.
“Da allora, è sembrato agli abitanti della valle che la Fonte abbia voluto dimostrare benevolenza agli uomini. Come se la natura trovasse altre strade per sopperire sempre alle nefandezze degli umani. Ed è diventato un luogo dove le persone vanno a riflettere, per trovare una soluzione”.
“Bene, allora, ogni mattina, esci, fai il cammino, ti abbeveri a quella fonte e poi torni a casa”.
“E…”.
“E niente. Ti abbeveri a quella fonte e basta”.
“E basta?”.
“Esatto”.
“E’ l’unica cosa da fare. L’unica. Certo, oltre a non uscire di casa e ripeterti quello che ci siamo detti. Va bene?”
“Va bene, anche se non credo di farcela”.
Il Ragazzo osservava la Maga Ciri, ma lei non lo degnò più di considerazione.
Quando tornò, 2 mesi dopo, il ragazzo era profondamente cambiato.
Come secondo voi?
“Era più maturo”- fa Amelia.
“Era ancora più confuso!”- commenta Aldo ridendo.
Fatto sta che disse, semplicemente: “Ho capito”.
“Che cosa?”- rispose Ciri, sinceramente sorpresa del cambio di atteggiamento del ragazzo. Aveva una luce negli occhi, una energia nello sguardo, completamente diversa, molto più intensa e vitale.
“Ho capito che non devo fare né una scelta così drastica, e nemmeno rinunciarci”.
“E cosa devi fare?”.
“Devo stare in ascolto, come ho fatto in questi 2 mesi. Era questo il compito, no?”.
“Chissà. Forse.
Cosa è successo in questo periodo?”.
Il ragazzo, molto più emotivo, spontaneo e e sicurò di sé, si sedette senza nemmeno chiedere il permesso.
E continuò:
“Ho capito… e accettato… questo soprattutto… accettato… che la sentenza era vera, verissima.
Io sarò sempre così. Non per due mesi: per tutta la vita…
Ma tu non mi avevi dato altre possibilità. Quindi questo in teoria lo sapevo, era il compito. Ma lo subivo, adesso lo so…
Dovevo stare in casa a pensare e a ripetermi questo e solo questo:
- Io non vado bene, io non so cosa voglio.
- Io non potrò mai fare ciò che voglio.
- Io non posso deludere gli altri.
- Io sarò sempre prigioniero delle aspettative altrui.
La prima settimana mi sembrava di morire. Mi uscì tutta la tristezza che avevo dentro, la delusione per me, la rabbia e la disperazione che provavo da anni”.
“L’avevi già sentita altre volte?”.
“Beh, non così, o forse sì, ho creduto ad un certo punto di sì, ma da molto piccolo”.
“Forse è servito a questo, il compito, non credi?”.
“Sì ma tutto accadde dopo.
Dopo la prima settimana, i miei familiari iniziarono a vedere che mi stava accadendo qualcosa, ma io mi ero dato anche il compito di non dire niente e di negare. Perché mi vergognavo. E quindi iniziarono a preoccuparsi per me. Io tuttavia non rispondevo e diventavo sempre più umorale ed emotivo, reagivo come non avevo mai fatto.
Mia madre e i miei fratelli, almeno quelli più grandi, vennero a chiedermi, prendendola alla larga, chi in un modo e chi in un altro, dandosi i turni, che cosa mi stesse succedendo. E questo fu una strana situazione per me e segnò un primo cambiamento. Ero io che chiedevo sempre che cosa potevo fare per gli altri, quali erano le loro aspettative e che cosa si doveva fare, perché altro francamente non mi interessava.
Ma ora era diverso. Di colpo, come mai prima, ero preso da me e da questo problema enorme di non poter essere me stesso. Mai. Allora tutto passava in secondo piano. E all’improvviso, tutti venivano ad interessarsi a me? Proprio adesso che non m’importava più niente di loro e delle reazioni e delle loro aspettative?!….
Cosa potevo fare? Non potevo e non volevo dire niente a nessuno. E non avrei mai trovato la strada per diventare me stesso… allora, potevo stare solo con questa disperazione.
Diventai scontroso, per come potevo esserlo io, da sempre bravo ragazzo. Ma mi sentivo cambiato. Definitivo. Rassegnato, con una tristezza cosmica.
Fu però al termine della seconda settimana che avvertii l’altro grande cambiamento: una mattina, mentre bevevo alla Fonte e mi chiedevo a che cosa diavolo potesse servire tutto questo… avvertii che… basta. Non potevo andare avanti così. Sopportare questo dolore per una vita, non sarebbe stato possibile. E almeno, visto che non potevo avere nulla, almeno poter prendere aria, uscire dai miei problemi, distrarmi, non pensarci.
Ma non potevo farlo, il compito era di stare in casa.
Allora ho sentito proprio in quel momento una specie di liberazione. Basta! Sarò sempre così, allora …se non posso essere ciò che sono…
e nemmeno fare quel che voglio… e persino non uscire di casa…(!)
… almeno smetto di cercare di farlo. Stacco la spina: Accetto la sconfitta. Mi libero. Accettare davvero e farla finita con le paturnie. Se non posso combinare nulla, allora o muoio o alleggerisco, almeno di quel poco che posso, la mia esistenza.
E all’improvviso, ho sentito una tonnellata di energia e di leggerezza: come se mi liberassi di una stanchezza infinita per quel conflitto, contrasto, insoddisfazione e lotta interiore continua, da sempre. E mi sono come svegliato da un incubo. Come se avessi da sempre sbagliato direzione… e me ne rendessi finalmente conto!
E ho così iniziato a fare l’unica cosa che potevo fare in casa: occuparmi delle persone che erano intorno a me. Come se riscegliessi la mia vita.
Non posso essere che così e non posso uscire. Allora almeno mi occupo con tutto me stesso di chi mi sta intorno e delle cose della mia casa.
Ed è accaduto: finalmente ho parlato con mia sorella più grande di me di 8 anni. Che per me era una specie di personaggio inavvicinabile e estremamente superiore a me, in tutto. Calma, sicura, serena, cercata da tutti, affermata.
E ci parlammo così, un pomeriggio, in cui lei venne addirittura in camera nostra, quella dei fratelli più piccoli, e si sedette semplicemente davanti a me.
E io le dissi: non posso essere me stesso, non so chi sono. E non posso uscire per 2 mesi. Ho bisogno di parlartene e di sapere che cosa ne pensi. E lei mi ascoltò.
E poi -meraviglia- mi parlò per ore. E mi disse che provava e aveva sempre provato le stesse cose. Fin da bambina. Dicendomi che tutti ci sentiamo così… ognuno con le proprie situazioni diverse, ma sostanzialmente comuni.
Arrivammo a ora di cena senza che ce ne accorgessimo. Mia madre e gli altri ci guardavano ancora parlare a tavola. Mio padre osservava sorridente, non distratto come al solito dai suoi calcoli di lavoro, bensì più presente, contento e sollevato. Colsi anche uno sguardo d’intensa con la mamma. Ma così, di sfuggita, perché ero finalmente preso da un discorso intenso e vitale e non più timoroso.
In breve, tutta la tavola si espresse su come si sentiva nei confronti della vita.. mio fratello… mia sorella piccola.. di 6 anni, disse: “io pure da grande voglio soffrire come te. Mi piace come lo dici”.
E scoppiammo tutti a ridere. Da quanto tempo non ridevamo tutti insieme così? Forse non lo avevamo mai fatto.
Ma non avevo ancora realizzato quello che stava accadendo realmente. Io stavo semplicemente ancora reagendo alla costrizione generale della mia vita in quei 2 mesi. Mi sentivo cambiato nel momento, ma non in generale. Non lo sapevo che il segreto era accettarlo per tutta la vita.
Percepivo il cambiamento, ma non ero il cambiamento, non lo afferravo, ero impegnato a sopravvivere.
Però tu mi avevi detto di abbeverarmi alla fonte, era l’unico compito, tutte le mattine. E solo a due settimane dalla fine… rialzandomi dall’aver bevuto e asciugandomi il viso dall’acqua, mi sono sentito diverso. E mi sono fermato di colpo, colto finalmente come da una folgorazione.
Ecco cosa significava abbeverarsi ogni giorno! Se lo faccio ogni giorno, posso sentire dei cambiamenti. Bere ha senso nel bere e basta e nel godere di quel bere perché è l’unica cosa che puoi fare e allora la valorizzi pienamente.
E mentre dai valore alle cose semplici, alla tua portata, e ti godi un gesto così facile e però prezioso per te, ti senti anche come eri la settimana prima e poi ancora quella precedente. E cogli tutta la tua evoluzione, piccolissima e intuitiva, ma LEI.
E solo nell’ultima settimana mi sono occupato di un “mondo” completamente diverso: mi concentro solo su quel poco che mi piace e quello che preferisco tra due piccolissime alternative… mai più grandi problemi, o le mie ossessioni, o le difficoltà, che tanto ci saranno sempre.
Cosa provi, cosa ti occupa l’attenzione, cosa ti succede dentro: questo -e solo questo!- possiamo evolvere.
NON importa da dove siamo partiti. Non importa da dove sono partito io.
Conta solo ciò di cui ti occupi. Se sei sempre alle prese con le tue ossessioni, tutto questo crescerà.
Ciò che nutro, mi nutre.
Se ti concentri sul tuo piccolo piacere, se pur insignificante, crescerà.
Cresce quello su cui ti concentri.
E’ tutta qui la vita”.
“E allora?”- chiese Ciri.
Michele si ferma e guarda i figli. Volgendo a loro, evidentemente, la domanda.
Aldo, colpito: “non è importante sapere chi sei, cosa vuoi, che cosa sei destinato a raggiungere, ma che cosa senti ogni giorno quando ti abbeveri sempre alla stessa fonte e con piacere, come ti evolvi e quello che ti succede dentro mentre bevi ogni giorno…”.
Può essere, figlio mio. Senza poter far nulla se non accettare quello che sei e che non cambierà mai.
Senza OCCUPARTI di quello che sei, ma solo di quel che puoi fare che ti piaccia sul serio e ti indichi la strada.
“Ma a me sembra cambiato, papà, non capisco. Forse conta anche la fonte dove bevi. Che cosa scegli di bere, no?”- dice Amelia facendosi accogliere in un abbraccio dal padre.
Michele bacia la figlia sui capelli.
Esatto, amore mio: il senso è proprio questo. Sei già cambiato se accetti che sei sempre tu con i tuoi problemi e li esprimi e li condividi e cerchi di vivere intensamente giorno dopo giorno, per conoscerti di più.
E’ un paradosso.
Invece non cambi mai se pensi a come dovresti essere, a come NON ti piace essere te stesso e a quanto non sei capace, e perché non vali niente, e a quello che si aspettano gli altri da te e così via.
“Sì, ma come finisce la storia, papà?”- Chiese Amelia.
La storia finisce che Ciri è sinceramente senza parole.
Non credeva che sarebbe successo così tanto in quel povero ragazzo senza vitalità che ora si trovava di fronte a lei pieno di energia e presenza. Si chiese dove diavolo era il Furetto, ma questa volta le venne per fortuna, come al solito, in soccorso l’intuizione e gli chiese:
“Vuoi mangiare un pò di zuppa di verdura?”.
Lui rispose prontissimo:
“Certo, grazie. Ho imparato che mi piace la zuppa di verdura. Non mi piacciono i cibi piccanti e amo i profumi delle patate cucinate con le spezie. E l’ho imparato semplicemente perché ero lì con tutto me stesso e mi potevo chiedere solo quello. E la risposta è arrivata”.
“Era sbagliata la domanda allora!”- Disse Ciri ridendo.
E il Ragazzo: “Provare un sapore o un aroma con trasporto, presenti in ciò che si fa, è molto diverso da lamentarsi di non sapere tutto ciò che non sappiamo!”
“E che non sapremo mai!”- commentò Ciri.
E scoppiarono a ridere entrambi.
Tanto che il furetto, che passava di lì, si fermò a guardarli.
“Ah, un’ultima cosa -disse il Ragazzo:
Alla fine, sulla porta, pronto per venire da te, quasi non volevo più uscire di casa!”.
Il furetto fece una specie di strana espressione e riprese il cammino nella sua direzione.
Se vuoi leggere il seguito di questa storia, con una nuova avventura del Furetto vai a: La Maestra di Luce.
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Meraviglisa e illuminante! Grazie Marco