La Pratica Necessaria

É brutto vedere il corpo decadere
senza che tu gli abbia dato il permesso.

Monica Bellucci

 

 

 

 

Perché sempre più persone corrono, praticano yoga, danza, bioenergetica o qualsiasi sport o corso ci svaghi, ci sfoghi e ci appassioni? Ce lo siamo mai chiesti?

Perché ad aiutarci a dare senso alla nostra esistenza contribuisce molto una pratica corporea ed emotiva.

 

Le pratiche non solo soltanto trascendentali o spirituali o sportive.

Anche accudire o giocare con un bambino può essere una costante di enorme crescita personale.

L’importante è che queste azioni -per diventare una pratica- abbiano due regole:

a)   che siano ritualizzate in modo sempre uguale e rassicurante

b)   e che portino piacere corporeo ed emotivo, saldo, solido e sicuro.

 

L’aspetto interessante è che qualsiasi manifestazione di sé -un impegno, un lavoro, un affetto- si può consolidare in due modi, coltivando una pratica di crescita personale oppure no.

Quindi, da questo punto di vista, ci sono due tipi di persone e se vi guardate intorno, le cogliete al volo:

 

1. Chi ha una regola di riferimento interna, corporea ed emotiva, e quindi va costantemente in una direzione, nella quale ogni azione che compie segue lo stesso spirito ispiratore.

Ad esempio chi vive per il piacere vitale di crescere il proprio figlio, che ammanta tutto il proprio sistema spazio-temporale.

Oppure chi segue i principi di una disciplina, dal buddismo allo sport, dallo yoga alla bioenergetica, appunto.

 

2. Chi sente di aver perso -chissà quando- il senso generale delle proprie vicende, si percepisce trascinato dall’esterno, dalle cose, dalla testa, e cerca senza sapere che cosa, attende che succeda qualcosa, senza per questo nutrire eccessive speranze.

Quindi non segue una strada interna, un principio guida interiore, e non trova un’ispirazione quotidiana che parta da un “centro”, situato nel corpo e nelle emozioni.

Di solito il primo comportamento si evidenzia da solo, come fosse più luminoso e ispirato, perché strutturato, certo, stabile e orientato dai propri riferimenti interiori, che contribuiscono a “farci sentire bene” nel corpo, nello spirito e –solo per ultimi- nei pensieri.

Il secondo è invece sbilanciato all’esterno, mentre cronicamente “sta cercando” i propri principi in “qualcosa” che ancora non c’è: un fidanzato, una realizzazione di sé, una soluzione ad un problema sempre uguale.

Noi crediamo abitualmente che la differenza tra i due sia solo che i primi hanno trovato ciò che i secondi stanno ancora cercando.

Cioè, che sia una questione solo di ricerca e prima o poi arriverà qualcosa che ci ispirerà.

Vale a dire, seguendo la metafora: “quando arriverà l’amore, e poi un bambino, allora la mia vita sarà strutturata, regolata, al giusto posto nel mondo”.

Si veda a questo proposito, l’approfondimento: La Metafora del Quando.

Invece, la differenza consiste nell’essere concentrati sull’interno o sull’esterno:

“La vita funziona” e tutto gira se regoliamo “prima” questa struttura sull’importanza della progressione-ricchezza- interiore tra ciò che ci accade e ciò che ci provoca.


Se non siamo noi a mettere noi stessi in primo piano,
niente e nessuno mai arriverà a permettercelo.

Sempre secondo metafora: “solo se ci strutturiamo con abitudini ogni giorno rigeneranti per noi, allora arriverà l’amore e il bambino, nella giusta casa”.

Altrimenti, come faremmo a reggere la rivoluzione totale
che comporta una famiglia e un bambino?

Cosa avete notato? Esatto. Entrambi i modi hanno come cardine i riferimenti. Noi abbiamo bisogno di riferimenti come il pane.

Nel primo caso però sappiamo che occorre scegliere ciò che OGNI GIORNO ci faccia REALMENTE sentire meglio internamente, nel secondo invece ci comportiamo come DOVREMMO sentirci, perché tutti gi altri CI SEMBRA che stiano meglio così.

Non è il lavoro che mi stressa, è l’eccessiva importanza e lo sbilanciamento all’esterno che -per definizione- mi abbattono.

Un esempio molto concreto: mi sento ormai cronicamente in un pantano lavorativo e personale?
Beh, posso scegliere, altroché:

  • Posso indignarmi con me stesso e rilbaltare tutto (tipo 1).

Resto sveglio, prendo la situazione di petto, vado a correre alle 5 del mattino, cambio abitudini di qualsiasi tipo, dichiaro lo stato d’emergenza, mi faccio aiutare, leggo, mi iscrivo a corsi, vado in terapia, e cerco soprattutto un cambiamento di atteggiamento, di padronanza, di consapevolezza, di non accettazione del disagio A QUALSIASI COSTO. E di affermazione verso la vita che desidero e ho diritto di avere.

 

  • Oppure posso continuare a cercare…(tipo 2), convinto di aver bisogno di qualcosa da fuori, perché da solo NON ce la potrò mai fare…. senza rendermi conto che la mancanza che avverto è una condizione affettiva, ferita, antica e NON da sanare all’esterno…

E in questa ricerca affannata -questo è il punto, l’affanno- sopportare e stordirmi e andare avanti, anche se lo faccio già da troppo tempo.

Allora, cura il modo, il processo, il come fai, non ciò che stai cercando, perché magari domani andrai dietro ad altre cose, ma il modo, il tuo modo, non te lo toglie più nessuno.

Ciascuno di noi ha bisogno di verifiche. Sempre.

Solo che questa verifica appunto può essere:

  • consapevole di determinare la sicurezza di sé grazie ad un piacere corporeo ed emotivo costante e ripetuto, come nel tipo 1
    • attraverso il consolidamento di queste pratiche di vita che ci mettano via via in relazione profonda con il nostro autentico modo di essere.
  • oppure inconsapevole dei meccanismi umani naturali, quindi rivolta all’esterno, come nel tipo 2
    • dove crediamo manchi sempre qualcosa “che ci completi” nelle esperienze, come se aspettassimo sempre un permesso, un pezzo di soddisfazione, di profondità.

Sono proprio due impostazioni della vita, una diversa dall’altra.

La logica del tipo 1 è il principio che regge il senso di avere uno scopo primario, di cui parliamo spesso in queste note.

Il bello è che tutti noi tendiamo naturalmente verso il tipo 1.

Ma per tutti, a volte, questa condizione-diritto diventa una ricerca, e così rimane sospesa per definizione, e a chiunque di noi restano delle aree problematiche, di tipo 2, troppo determinate dall’esterno, che non quadrano.

Anzi, è proprio questa accettazione che ci sia sempre qualcosa da far quadrare -ma non me ne preoccupo più!- e che questo sia il bello dell’esistenza, la differenza di atteggiamento che cambia la percezione del benessere.

Quindi qui parliamo di percentuali e di direzioni: quale percentuale del mio tempo e spazio E’ INDIRIZZATA VERSO il tipo 1 e quanta è definita dal tipo 2?

Chi lo ha capito, e ne è consapevole, accetta e governa questo meccanismo, lo rende sano, rispettoso, evolutivo, in modo che faccia bene al Sé, in armonia tra i propri obiettivi, appunto, e quelli gli altri.

E come sempre non è importante se ci riusciamo, ma quanto siamo capaci di invertire i trend. L’importante è che ci proviamo, che andiamo nella direzione che ci giovi di più.

Alexander Lowen, nel libro “il Piacere”, individua questi due tipi in chi cerca il Piacere e chi il Divertimento, cui la nostra società ha dato appunto tanto spazio.
Anche Irvin Yalom parla di questi due tipi di vita, citando Heidegger: uno stato di “oblio dell’essere” contrapposto ad un altro di “coscienza dell’essere“.

(Leggiamo entrambe le definizioni dgli autori nel prossimo approfondimento: Due Modi Di Vivere.)

Ma queste informazioni, moltitudini di persone le ignorano.

Allora, più prosaicamente, noi siamo circondati ogni giorno da persone che cercano una regola esteriore, narcisistica, esagerata; un’appartenenza, un principio cardine, un’identificazione, quale che sia; e il motivo per cui ci riescono con scarsa soddisfazione è soltanto perché “solo fuori” o “prima fuori”, non ci può proprio essere una sensazione davvero naturale e benefica.

Tuttavia, chi non sa nemmeno che questa pratica quotidiana possa esistere, si lascia vivere nel proprio ego, cerca fuori o non cerca niente, consuma e difende i propri meccanismi di riferimento in un’ottica più chiusa che aperta, meno di crescita e più d’inquieto trascinarsi.

Ad esempio, se alcuni aspetti del nostro vivere non si incastrano bene gli uni con gli altri, è forte la tentazione a:

a) sentirsi indotti dai social media ad affrontare i problemi scegliendo tra le offerte comuni a disposizione: gli svaghi, il potere, il successo, il consumo, il possesso ecc.

b) A strutturarci così solo col pensiero e la volontà- sentendo di non poter far altro che cercare un altro lavoro, un altro affetto, un’altra scoperta.

c) Quasi senza più “sentire” in modo personale, originale.

d) senza più cambiare processo;
rassegnàti in senso strutturale all’adattamento perenne, quindi anche corporeo, psicosomatico.

e) E alla fine cronicizzando il disagio.

 

Chi invece si muove in termini evolutivi e di progressione:

a) ha più di una disciplina, di una struttura, di una regola nella propria vita corporea, emotiva e spirituale.

b) E si riconosce da come si approccia alle cose: cerca sempre di partecipare, verificare, sentire, essere autentico.

c) Ed è di solito più attento all’alimentazione adatta a sé, ai propri gusti reali, a godersi la vita e ad appassionarsi, alla crescita, all’uso del proprio tempo, alla negoziazione di desideri e bisogni e a sviluppare le proprie attitudini e inclinazioni secondo interessi che sente sani per sé.

In tutto questo bailamme quotidiano di attenzioni, io e molti milioni di persone abbiamo sentito il bisogno di una pratica corporea, un hobby, una danza, un canto ispiratore, ciascuno di essi NON incontrato per caso, ma individuato “dentro”, anziché “fuori”.

In che cosa consiste nel dettaglio e come si riconosce, lo vediamo in un punto specifico, indicato qui di seguito, il Tempo Negli Esercizi di Bioenergetica.

Ma in ogni caso, per trovare questa pratica per noi necessaria, è bastato accettare il bisogno di un principio interno che ci regolasse il corpo nell’esperienza.

Fatto sta che questa sera una marea di persone si riverserà in una passione che rigenera, struttura e fa crescere interiormente, prima di ogni altra considerazione.

Ed un’altra marea uscirà per strada alla ricerca di consumazioni.

Tu prova ad accettare che cosa desideri di più.

E se non sai da dove cominciare, inizia a frequentare qualsiasi corso, esperienza e abitudine nuova, e accettala dal profondo, piacevole o spiacevole che sia le prime volte: solo così ti trasformerà. Non aspettare che sia solo facile e divertente. Anzi.

Provane tante e alla fine scegli quelle che –dopo– ti fanno stare meglio, nel corpo e nelle emozioni.

E se non sai nemmeno che cosa iniziare, prendi e vai a correre.

E non fermarti mai.

 

Si veda a questo proposito, l’approfondimento: La Metafora del Quando.

 

 

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