La lingua inglese ha saggiamente intuito i due aspetti contraddittori della solitudine. Così ha creato la parola “solitude” per esprimere la scelta di essere soli (l’uomo solitario che sta bene con se stesso). E ha creato la parola “loneliness” per esprimere una solitudine sofferta e non scelta. Nella lingua italiana per esprimere i due concetti esiste solo la parola “solitudine”.
Dal sito: Aforisticamente.it
La Solitudine Soccombe alla Pratica.
Subisce una pesante sconfitta.
Un esempio commovente mi viene da alcuni clienti con tratti narcisisti -ma come sapete, la loro tendenza è comune a tutti, soprattutto oggi, nella nostra società.
Eugenio si sente solo, solissimo, mentre cerca di realizzare cose che per definizione non può raggiungere. Lo fa per compensare la sensazione profonda, antica, di non valere niente.
Quando inizia a rendersi conto che si è creato troppe aspettative e non è per niente facile “farcela”, anziché fermarsi e ri-programmare in modo più realistico, viene preso dall’ansia e aggiunge altre cose, che pre-figurino bei risultati nella sua testa. Belle immagini interiori di sé, dove si afferma e si gode il successo.
In tal modo però non fa che preparare ogni volta il disastro di aumentare lo sforzo per farcela, con il pericolo del fallimento, ogni mese, ogni settimana, ogni stagione.
E quindi è inevitabile provare la sensazione di stare preparando il fallimento, di esserne quindi attratto, di conoscerlo; di sentirsi destinato alla sconfitta.
Eppure, basterebbe rivedere questo aspetto per liberare tutto il sistema interno.
Lo diciamo da tanto:
La solitudine non è mai sentirsi soli. E’ sentirsi separati, esclusi, divisi, relegati, non visti, incompresi, per definizione.
Tanto che anche fuori dalle dinamiche di coppia, le persone incorrono nelle stesse situazioni ripetitive, identiche. Sempre Eugenio, racconta:
mi sento escluso anche dal lavoro che vorrei fare, e da come vorrei vivere, dalle mie passioni, dalla possibilità di realizzarmi, dalla stima nei miei confronti… ecc. Da sempre non in grado, non abbastanza, non adeguato.
Se volete approfondire questi meccanismi, potete leggere il prossimo articolo, La Fatica del Mio Amico Narci e Altre Amenità Caratteriali.
E tutto questo è indipendente dalla realtà: non c’entra niente se la persona invece merita molto, come spesso accade. Se lui/lei non ci si sente, meritevole, basta. Non entra nient’altro.
Non so che cosa sia peggio: non sapere chi sei ed essere felice, o diventare quello che hai sempre voluto essere, e sentirti solo.
Daniel Keyes
Invece , molto si può fare. E le persone rinascono.
Come vedete, infatti, non c’è corpo né emozioni nella storia di Eugenio.
Mentre sintonizzarsi sul corpo ogni giorno equivale a connettersi a se stessi e ai sentimenti reali e quindi agli altri.
Sensazione che si prova abitualmente nei gruppi di qualsiasi pratica:
tutto si armonizza e non ci si sente più soli o non all’altezza, o falliti,
proprio perché ci si pone al di là del problema solitudine o valore di sé:
Non ci manca più una parte di noi, quella più reale.
Questo è il punto importante.
Quindi è sufficiente scegliere: porsi sempre meno domande inutili e iniziare ogni giorno ad avvicinarsi ad alcune domande che regolino la giornata:
- Come respiro?
- Quale umore ho oggi?
- Come posso migliorarlo con attività semplici, piccole, ripetibili?
- Quale abitudine, attitudine, esercizio, ispirazione, è in grado di catapultarmi di solito nello stato d’animo che preferisco, di padronanza, forza, energia?
- E se non lo so, quale presumibilmente mi ci potrebbe portare?
- Cosa sento nel corpo mentre compio questi rituali?
- Quali parti sento più rigide o bisognose facendo i miei esercizi?
- Come lenisco concretamente le mie stanchezze?
- Come recupero, cosa realmente mi fa bene e cosa tendo a trascurare?
- Cosa mi fa gioire, oggi di concreto e –se non ho niente- come posso trovarlo?
- Dove desidero andare? In che direzione? Cosa faccio materialmente per recuperare dentro di me la sensazione che provo quando mi sento in quella direzione?
- Come posso, nei limiti di tempo, impiegare questo mio spazio di oggi?
- In termini affettivi, o di semplice divertimento, quali “belle leggerezze” sento oggi?
- Come vorrei sentirmi? Più leggero? Cos’è che mi dà leggerezza concretamente?
- Più profondo? Quali situazioni posso ricreare per sentirmi più in profondità?
Così, solo così, la solitudine viene sconfitta dalla pratica, inesorabilmente, settimana dopo settimana, se decidiamo che il corpo e gli esercizi sono davvero la cosa più importante da seguire; altrimenti siamo condannati a rincorrere l’esterno e le nostre proiezioni mentali, per definizione irrealizzabili.
E non ci sentiremo più stanchi né soli. Non perché pratichiamo insieme ad altri ma perché pratichiamo insieme a noi stessi e quindi connessi. Una volta in contatto con sé, respiriamo sì insieme ad altri.
Per pratica intendiamo una serie di esercizi per lo più corporei, emotivi, ripetuti periodicamente. Per me è la bioenergetica, la quale è sia una pratica che una terapia, e per questo è estremamente preziosa: spiega le dinamiche laddove altre discipline non arrivano; ma va benissimo che per altri sia lo yoga, oppure ancora una semplice passione, un hobby, uno sport.
Questa attitudine, educazione, terapia, a connettersi alle sensazioni del corpo è un’altra delle prassi che andrebbero insegnate a scuola.
Seguire la natura anziché quel che vogliamo imporci con la testa, ci stravolge la vita in una volta sola.
La solitudine è come una lente d’ingrandimento:
se sei solo e stai bene stai benissimo, se sei solo e stai male stai malissimo.
Giacomo Leopardi
Pensavo che la cosa peggiore nella vita fosse restare solo.
No, non lo è. Ho scoperto invece che la cosa peggiore nella vita è quella di finire con persone che ti fanno sentire veramente solo.
Robin Williams
(Se la solitudine ti interessa e vuoi approfondire, leggi Soddisfazione Anziché Solitudine e Check-list Soddisfazione Anziché Solitudine).
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