La Tendenza dell’Arco nella Freccia

Lasciati andare, disse l’arco.
Lasciami andare, disse la freccia.
Lasciatevi andare, disse la Natura.

Bisogna essere lanciati come una freccia.
Verso un coinvolgimento di qualsiasi tipo. Questo ci chiede la vita.
In ciò consiste lo star bene.
Chiunque stia male è bloccato.
Chiunque stia meglio è rivolto a qualcosa.
Si sta bene solo verso qualcosa.
Si sta bene per il bene degli altri, per far felice un bambino, per realizzare un bel progetto.
È una verità così levigata da tanti anni di terapia che -fosse per noi- dovrebbe essere divulgata, incisa in ogni dove.
Ogni benessere ha la sua freccia.
C’è sempre un’immagine interiore, una visione semplice e pulita che ci ha guidato come un dardo scoccato verso uno stato che abbiamo sentito inattaccabile, invincibile, bellissimo. Ne abbiamo appena trattato nel punto Idea Semplice, Orizzonte Pulito. E se lì il concetto cardine è coltivare ogni istante un’immagine semplice e immediata, qui è di sentirci una freccia connessa al bersaglio semplice.
Dritta ai momenti belli che desideriamo.
Saperlo, che funzioniamo così, fa la differenza.
Ripulire le nostre frecce è il compito di tutti i modi di star bene.
Ritornare al piacere di tenderci fino a scoccare per qualcosa, è la terapia corporea, bioenergetica, di trasformazione del carattere.

Quindi spingi? Per che cosa? Ti ricordi di spingere sempre, come principio? E verifichi ogni volta se ti senti meglio? Se tutto è più semplice, indirizzato? E se ti pulisce il gesto, le energie e la sete?

Se sì, allora la tua vita inizia ad essere un arco acceso. Che converge verso qualcosa. E assume un valore, una premessa.

Non avete idea di quanto abbia stravolto in bene schiere di persone, questa splendida regola.
Perché è la natura che ce lo chiede.

Non ricordo al momento in quale libro sulla felicità si narrava la storia emblematica del dentista di 85 anni il quale, dopo i 72, era andato in pensione e si era dedicato al ricamo di progetti all’uncinetto che duravano anni. E appunto a 85 anni decise di iniziarne uno che sarebbe durato all’incirca 5 anni. E che portò a termine con tutto se stesso, esattamente qualche mese prima di morire serenamente.
Ed è una propensione che possediamo tutti.
Avere un impegno chiaro, un’ispirazione, qualsiasi partecipazione, ti rende vivo. Allontana la morte e la malattia.
E’ recente una ricerca pubblicata sul Corriere che prova la longevità e la salute di chi vive meglio e più felice: Chi va in pensione più tardi vive meglio e più a lungo.

Assurdo, direte voi: siamo nati per soffrire. Eppure. Perché non è vero che soffriamo. E’ una gigantesca millanteria.
Non abbiamo proprio previsto di poterci assentare durante quel compito, così bello per noi o almeno importante che ci manda avanti spediti.
E’ talmente necessario che ci giustifica in salute.
E la cosa curiosa, molto curiosa, propria solo degli esseri umani, è che poi ce ne lamentiamo di queste nostre abitudini/attitudini, a volte preziose e che ci piacciono. Perché ci piace tanto anche lamentarci di ciò che ci piace.
Solo gli umani sono capaci di tali inversioni e auto tormenti.

Altrettanto spesso invece, siamo appunto così coinvolti nel piacere di quel piccolo progetto che poi lo facciamo diventare una sequela di minimi obiettivi, fino a comporre una splendida tela.
Il padre 78enne di una mia amica, nella zona in cui abito, è tra i più attivi nel ciclismo. Nel senso che corre non solo di più degli altri della sua età, corre più di tutti in assoluto. Nelle app dei ciclisti che spopolano su web, i suoi dati spiccano come una stella. Gli altri, i giovani, vanno a vedere: chissà quanti chilometri avrà fatto oggi il fenomeno.

Non bisogna ovviamente per forza diventare fenomeni, anzi. Ma oggi il problema è proprio sentirsi emozionati e partecipi per qualcosa. Essere distaccati e mentali è il problema dei problemi dei nostri tempi. E solo ripartendo da piccole emozioni preziose, si sana l’enorme disfunzione sociale del distacco e della non affettività. 

E non vale, come potete immaginare, l’alibi che questo sia un contentino. E che i progetti belli e grandi siano i soli meritevoli.
Vero è il contrario: cioè che chi ha bei progetti e grandi ideali si rifugia altrettanto volentieri in una piccola ricetta o in passatempo preziosi per lui per staccare.
E ha saputo così tanto coltivare questo essere diretto come una freccia, che poi ha realizzato anche dei grandi e bei progetti rivoluzionari.
Ed è ciò che fa di lui qualcuno che potrebbe insegnarlo, questo segreto. E non vede l’ora di fare sempre qualcosa di semplice e pulito che gli piaccia sul serio.
Ecco tutto. E’ così che escono fuori Le Meraviglie.

Ho già fatto gli esempi di Stephen King e Woody Allen, che suonano costantemente.

Nella teoria dell’Analisi Transazionale, è una delle informazioni di base che si imparano per prime: rituali, passatempi e attività strutturano il nostro tempo in vista del piacere emotivo dell’intimità con se stessi e gli altri per il riconoscimento di base (stroke) indispensabile per noi.
E se non seguono questa strada naturale, seguono per forza l’unica altra strada possibile: quella dei giochi psicologici, di cui esiste una vera e propria classificazione, di 1°, 2° e 3° grado, per costringerci a star male e sempre peggio.
L’entusiasmo è un muscolo, diciamo in altri scritti, e risuona come un meccanismo di una corda di un pianoforte.
Sentirsi una freccia indirizzata allora è una palestra d’entusiasmo.
Cosa hai fatto oggi?
Mi sono entusiasmato in una ricetta.
Nel mettere a posto.
Nel trovare finalmente un percorso nuovo.
E’ questa la nostra natura.

Appassionarci di default. Avendo a che fare con il primo anno di scuola materna di mia figlia, temo che questo meccanismo venga poi imbrigliato ‘dall’intruppamento’ che c’induce da piccoli a perdere l’iniziativa e la forza propulsiva. Ma è solo un’impressione senza alcuna sostanza, la mia. Speriamo.

In ogni caso, chiediamoci: di cosa stiamo trattando in termini di benessere?
Come si inserisce nella prassi terapeutica? Stiamo parlando di connessione.
Guarda il video di una classe di bioenergetica, ad esempio. Se ti iscrivi al Gruppo di Facebook Self Bioenergetica Con Marco Di Giovanni, potrai fare esperienza della Classe di Bioenergetica ‘Tutto E’ Connessione’. Provala. A noi il concetto ha stravolto l’esistenza: connettiti a tutto. Come modo e non come obiettivo da scegliere.
E a chi giova particolarmente il sentirci freccia connessa a qualcosa?
A chi altrimenti sarebbe sempre nella testa, per esempio. E avete idea di quanti sono (siamo)?
A chi non riesce a sentire se stesso e che cosa preferisce davvero.
A chi indugia ed è pigro.
A tutti coloro che non si sentono più in cammino.
Basta allora leggere qui e applicare il meccanismo.
In pochissime settimane ti cambia la vita.
E cosa succede viceversa se non ci diamo una mossa? Che destino avrà chi non si sente indirizzato e acceso?
Accade che resta lì, fermo. E allora arrivano pensieri e situazioni disturbanti per definizione.
Ad esempio: e se mi ricapita che mi blocco, e non so reagire?
È la prova che ti fai un pacco di domande senza logica. Tipo: ma valgo meno o di più di lui o lei? Chissà che cosa si diranno di me. Ma staranno parlando di me?
E se avessi sbagliato tutto nella vita?
Perché mi sento sempre così inferiore? Perché ho costantemente l’ansia?
Perché mi faccio le domande sbagliate, ecco perché.
Posso invece chiedermi dove e come indirizzarmi e che cosa fare che mi dia un piccolissimo piacere istantaneo ogni secondo che respiro.
Le domande sbagliate non dovrebbero esistere e presto lasceranno il posto ad altre molto più benefiche in assoluto: che cosa sto pensando che ‘m’illumina in viso’? Questo è il nostro primo dovere.

Che cosa sto illuminando?
Chieditelo sempre, chieditelo spesso. perché è la vera domanda.
Ed è un’attitudine che s’insegna e s’impara in famiglia molto presto. Oppure no. Tutto qui.
Chi lo sa lo ha imparato.
A me lo hanno fatto capire in terapia.
E io lo insegno ai miei clienti.
E poi l’ho tradotto in termini utili e ve lo sto dicendo qui.
E’ sufficiente saperlo.
E’ più che abbondante.
Prima non lo consideravo nemmeno, come valore.
Poi è diventato un faro per me.
Lo sbaglio che si compie infatti a questo punto è che si aspetta prima di capire verso che cosa accendersi. Ed è l’errore più grande. Perché invece occorre accendersi a priori e per principio, come stile e coinvolgimento e a mò di abitudine, di educazione alla passione. Vai a correre e poi scopri perché. Non l’avete mai provato? L’irrefrenabile bisogno di uscire e andare a correre, a prendere aria. E solo al ritorno, capire qualcosa di quel bisogno di uscire. Semplice. Umano. Ripetibile.

Ciao terapeuta.
Ciao cliente.
Sono stata lasciata.
Quando?
88 anni fa.
Ah.
Scherzo.
Lo so.
Allora. Mi prendi in giro.
Sì.
Perché.
Perché sono passati anni.
E quindi?
Hai lasciato che questa persona e la sua perdita bloccasse la tua vita. E non ce lo possiamo permettere.
Tutto qui?
Tutto qui.

Aderire in modo entusiasta e presente.
Questo c’è mancato e questo ci riprendiamo. Altrimenti la grande rivoluzione non arriva. Non può arrivare.
Ci sono case accese e case spente.
Quante volte da bambini (e non) siamo andati in case di amichetti e tornavamo turbati da atmosfere completamente diverse?
Questo è il senso del piccolo dialogo paziente-terapeuta riportato qui sopra: se la tua casa è accesa, allora chi non ti vuole non ti merita, e torni presto alla vita. Cura le tue atmosfere coinvolte. Se no, se la tua casa d’infanzia era spenta, oggi è probabile che anche la tua d’adulto sia ancora spenta. Sei tu allora che oggi ti fai bloccare.
Ayrton Senna era talmente votato ai suoi obiettivi che una volta commentò che un muro si era spostato causando la sua fuoriuscita di pista. Tutti sorrisero, giudicandola una pessima scusa. Allora lui pretese una ricognizione con il direttore di pista e insieme scoprirono che era vero: un precedente incidente aveva spostato di pochissimo il muro di contenimento in quel punto della gara, causando l’impatto della traiettoria. E solo lui se n’era accorto.
In un test psicologico che facciamo riempire ai nostri clienti, esiste una delle 20 dimensioni misurate che rappresenta l’Appartenere. Il quale, come concetto riguarda proprio lo stile dell’esserci o non esserci totalmente e a prescindere. Senza chiedersi più nulla e senza più mille dubbi. Ed è un concetto che mi ha stravolto la vita, più di 20 anni fa, quando l’ho scoperto e ho deciso allora che sarei appartenuto comunque, senza più nemmeno chiedermelo, proprio perché non avrei mai saputo farlo bene, tanto valeva allora provarci con tutto me stesso. E ancora lo faccio oggi, ogni giorno.
Non c’è qualcosa da aspettare per farlo. Tutt’altro. Buttati. Senza chiederti in che cosa, mi sono detto. Ogni giorno. E via.
La gioia di vivere piena e consapevole, a fondo corsa e come se non ci fosse un domani, è la chiave per risolvere la paura e la sensazione di dramma inesistente di una vita contratta, staccati da noi stessi, bloccandoci pian piano.

Quando io ero un controsenso ambulante che camminava bloccato, emerse anche per me la domanda del terapeuta: ma da dove viene secondo te questa sensazione di dover procedere contratto e protetto? Perché in sostanza ti controlli non puoi mai troppo lasciarti andare? Di cosa hai paura? Per che cosa ti senti sempre in colpa?
E tra le altre risposte emerse un’immagine di un membro della mia famiglia che giocava un gioco psicologico con me che solo allora riuscii a scoprire: ‘t’ho beccato fdp’ (figlio di…). Come lo nomina Eric Berne nel suo ‘A Che Gioco Giochiamo?’. In sostanza, mi puntava il dito contro, a me bambino piccolo, e mi diceva ‘guarda che io ti ho visto, sei stato tu, io ti controllo, ti vedo, sentiti in colpa!’. E lo faceva senza che io avessi alcuna colpa e nemmeno sapessi di che cosa stesse parlando, inveendo con una forza, un livore, un bisogno suo, che mi faceva spesso tremare e sentire tutto sbagliato. Povera stella. Avevo 3-4 forse 5 anni… E mi dicevo, nella mia purezza: ‘se non riesco nemmeno a capire di che cosa sta parlando, devo essere io quello sbagliato’.
Ecco come nascono e si sviluppano i traumi delle famiglie normali.
Quando poi si cresce, ci si rende conto benissimo che quella persona non stava del tutto bene, ma il danno ricevuto non lo consideriamo nemmeno. Crediamo soltanto che la vita per noi sia difficile e che siamo noi in realtà ad essere fallati in qualche modo, senza più collegare i due fatti.
Ma quando appunto il terapeuta ci fa la domanda, come successe a me, ed emerge quel comportamento ricorrente tra gli altri, allora ci si lavora direttamente, ‘dando luce’.

Adesso chiudi gli occhi -mi disse il terapeuta- e torniamo lì e allora. E immagina che ora ti muovi nei panni del tuo bambino e investi quella persona di un fascio di luce benevola che esce da te, dal tuo modo di essere energico e vitale, come tutti i bambini, e che scansi quel dito puntato prendendo in giro quella persona, e che lei capisce, e ti ringrazia. E che comunque non t’interessa come reagisce, visto che poi passi oltre senza mai più farti influenzare e ti dedichi alla cosa che poi è stata pregiudicata nella tua esistenza: la gioia sfrenata e totale e lo star bene completo e il seguire senza remore né indugi la tua energia e il tuo flusso di interesse e coinvolgimento.
Immaginare una luce serve proprio perché noi evolviamo attraverso immagini interne che ci emozionano. Altrimenti, se non usiamo metafore visive, nulla cambia.
Questo accadde a me in terapia e mi fece rinascere da un giorno all’altro.
E questo in seguito ho iniziato a far fare ai miei clienti senza più smettere: vedersi come una freccia nell’arco della vita e far scoccare finalmente il nostro vero modo di essere.

Quello che segue è solo lo schema di come ci si lavora in un gruppo di terapia corporea bioenergetica. Fatelo anche voi: segnarsi un momento e un tempo dedicato a questa esperienza, può significare molto.

  1. Frase da appuntarsi: Posso vivere la mia vita pienissima e a fondo corsa, colma di vitalità, gioia e affermazione di me, senza alcuna remora e come se non ci fosse un domani, perché… scrivere tutto ciò che viene spontaneamente chiudendo la frase.
  2. Ripetere la stessa identica frase con il ‘non posso…’ e concluderla allo stesso modo con tutto ciò che viene fuori.
  3. Verificare quale dei due è più forte al momento.
  4. Su diversi e comodi materassini sovrapposti, distesi a terra, sbattere piedi e mani sui materassini, gridando tante volte e con tutto se stessi, sììììì!!! poi nooooo!!!! Che stanno a rappresentare: sì posso, e no, non posso. E sentire che quale dei due è più forte. Al termine, ripetere ciò che abbiamo sentito più forte dei due…. 

  5. Poi a coppie, tirare una coperta o un asciugamano arrotolato dicendo sìììì!!! e poi noooo!!!! (Da soli lo si può fare attorcigliando un asciugamano). Tirare dicendosi che lo si fa con pieno diritto. E poi provare a tirare verso il posso e poi verso il non posso. Infine una terza volta, gridando ciò che abbiamo sentito più forte…
  6. Al termine, ciascuno cammina circondato dagli altri che gli gridano la propria ferita e le proprie voci interiori che il partecipante ha segnato nell’elenco ‘non posso’. Questo potrebbe farci schierare immediatamente verso ciò che desideriamo sul serio.
  7. Infine, si ripete con la stessa persona che invece punta come fosse una freccia una lampada dall’altra parte dello studio. La lampada rappresenta un suo obiettivo importante, verso cui indirizzarsi. Si dirige allora con tutto se stesso verso quella lampada e attraversa il muro dei compagni schierati di fronte che gli ripetono le stesse voci insistenti e boicottanti di prima. Al termine, il partecipante condivide se ‘sentirsi indirizzato’ ha evitato del tutto o in parte di ‘far entrare’ le voci che prima erano ‘micidiali’.
  8. Conclusioni
  • Quali sono le chiavi la per mantenere il ‘sì posso’ pieno e totale nella nostra vita.
  • Stare nella testa / nella routine / nei nostri piccoli vizi / nella rigidità del carattere / è molto più ‘scarico’, attaccabile e più esposto che mettersi alla prova verso un coinvolgimento che ci fa provare un progetto, un obiettivo, pur piccolo che sia.

Come si vede, non riportiamo i dettagli, i passaggi e gli effetti di trasformazione evidenti nell’aria. Ma l’esempio è così pulito che rende bene cosa si faccia in terapia per ritornare a sentirci indirizzati e motivati.
E risponde alle vostre domande, se vi chiedete cosa cambiare e come cambiarlo in modo pulito come una freccia.

Ogni freccia lascia un ricordo nel tuo cuore − ed è la somma di questi ricordi che ti farà tirare sempre meglio.
Paulo Coelho.

Una freccia può essere scagliata solo tirandola prima indietro. Quando la vita ti trascina indietro con le difficoltà, significa che ti sta per lanciare in qualcosa di grande. Concentrati e prendi la mira.
Tenzin Gyatso (Dalai Lama).

Vai a Idea Semplice, Orizzonte Pulito.

Se ti iscrivi al Gruppo di Facebook Self Bioenergetica Con Marco Di Giovanni, potrai fare esperienza della Classe di Bioenergetica ‘Tutto E’ Connessione’.

Guarda la ricerca pubblicata sul Corriere che prova la longevità e la salute di chi vive meglio e più felice: Chi va in pensione più tardi vive meglio e più a lungo.

Oppure inviaci un messaggio con la tua richiesta all’indirizzo:

marco.digiovanni@analisibioenergetica.com

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