Lo stupore con cui le persone iniziano a dialogare con se stesse è uno dei momenti di svolta della terapia.
Soprattutto, sono folgorate dalla constatazione che le diverse parti di sé si esprimono, si rispondono, o non si rispondono davvero, esattamente come accadeva nella propria atmosfera familiare da piccoli.
Se lo stile era di evitare, le mie parti interne si evitano fra di loro.
Se lo stile era la critica sprezzante, allora la mia parte bambina e quella adulta si parlano in maniera sprezzante, appunto.
E tutto questo viene fuori così, spontaneamente. Immediatamente.
Basta dire:
- prova a cambiare sedia e a parlare da adulto, in modo logico, alla parte affettiva, emotiva.
- E prova a farla ragionare sulle incongruenze di cui mi hai appena riferito.
- Cambia ancora sedia e lascia che lei risponda.
- Come ti sembra l’atmosfera in cui vi parlate?
- Ti ricorda qualcosa?
Una folgorazione, appunto.
E il dono è di una consapevolezza senza pari.
Ma quindi, io mi sono sempre parlato come sentivo che si parlavano e mi parlavano i miei genitori?
Ma porca di una miseriaccia ladra, mona, bastarda. E’ proprio solo così e sempre così?
In linea di massima sì. Come potrebbe essere altrimenti?
Fino a che ovviamente non ce ne rendiamo conto e non stabiliamo punti fermi della comunicazione umana che appunto non ci hanno insegnato e che dobbiamo costruire e allenarci a rispettare.
Uno degli strumenti principali è la tecnica delle due sedie o della sedia vuota.
Introdotta come prassi dalla Terapia della Gestalt negli anni ‘60 e nello specifico da Fritz Pearls, questa tecnica così semplice e ricca, è stata ripresa e insegnata in tutte le scuole di terapia cosidette umanistiche, vale a dire non più strettamente Freudiane né all’opposto Comportamentiste, bensì con più presenza umana dell’analista, che co-costruisce la terapia, in base al potenziale e alla capacità del cliente di autodeterminarsi, con strumenti concreti e varietà di tecniche per aiutarlo.
Nello studio Self, le due sedie le abbiamo personalizzate secondo due accezioni, due terapie umanistiche, molto utili, che sono quelle che ci caratterizzano: l’Analisi Transazionale, per la quale sedute sulla sedia sono sempre o molto spesso la parte B, bambina e la parte A, adulta.
E la Bioenergetica, secondo cui l’interazione tra le parti è emotiva, corporea, energetica, viscerale, caratteriale, più profonda e per questo, illuminante e in grado di sostenere e accompagnarci verso la verità.
Uno dei casi in cui la Tecnica Delle Due Sedie si rivela più efficace, è quando occorre schierarsi contro la paura.
Quando c’è paura non è mai per qualcosa di oggi ma è sempre per la nostra solita paura. Caratteriale. Ferita.
Ciascuno ha la propria. Respirata da bambini e per questo ormai “nostra”. Di non farcela. Di qualcosa o qualcuno che ci minaccia. Di non poter chiedere per sé stessi. O senza nome. Può essere una fra tante.
La tecnica delle due sedie è oltremodo efficace, perché è evidente che funzioni, per non ridurre la vitalità, cambiare umore, smetterla di tendere a fuggire quel pensiero “da paura” o quella situazione che c’impaurisce.
Viceversa, tale tecnica va a snidarla, tirarla fuori, definirla bene, questa paura, e a instaurare un dialogo interno acceso, per poter discutere e fare da specchio a sé stessi.
Serve per utilizzare tutte le risorse e le conoscenze che abbiamo per dimostrare che è la solita paura, che è campata in aria. Mentre invece, un altro stato d’animo, reattivo, attivo e concentrato su qualcosa di molto rasserenante e coinvolgente per noi, è l’antidoto immediato per:
- risolvere il problema affrontandolo sul nascere.
- Parlare con le proprie parti
- Farle alleare
- Mettersi al servizio del proprio bambino
- Sviluppare il dialogo interno che ci rigeneri.
Sono, questi, tutti passi prioritari in terapia.
Le affermazioni di Fritz Pearls a questo proposito, rendono bene il risultato energico e attivato che deriva dal parlarsi attraverso le due sedie:
Cercare sta mentendo. Ci proverò, significa che non hai nessuna intenzione seria di farlo. Se pensi davvero di farlo, dì: “Lo farò”; e se no, dì: “Non lo farò”. Devi parlare chiaramente per pensare chiaramente e agire chiaramente.
Se ti senti convinto di qualcosa, dillo. Esporre il tuo vero sé. Senti quello che dici.
Se l’amore e l’odio si uniscono, allora ci si confonde.
Se hai difficoltà a comunicare con qualcuno, cerca i risentimenti. Devi trovare ciò di cui sei risentito ed esprimerlo e rendere esplicite le tue richieste.
Abbandona la tua mente e dedicati ai tuoi sensi.
È perfetto se ti lasci essere ed essere.
Il pazzo dice: “Io sono Abraham Lincoln”, il nevrotico: “Vorrei essere come Abraham Lincoln”, e la persona sana: “Io sono me e tu sei tu”.
Non troveranno nessun animale – tranne l’animale domestico, già infetto dall’umanità – nessuna pianta che impedisce la sua stessa crescita.
Le emozioni non sono disagi che dovrebbero essere scaricati. Le emozioni sono i driver più importanti del nostro comportamento.
Riacquistare le emozioni e imparare ad abbracciarle è qualcosa di guarente.
Rendono bene, dicevamo, queste affermazioni, il lavoro di scavo senza fronzoli e dritto al punto, caratteristico della terapia della Gestalt.
Il cliente affronta -con tutta l’emotività necessaria a progredire- il confronto continuo che le scoperte del dialogo profondo ci portano. Inaspettate e preziose.