Le Domande da Porre al proprio Corpo
Tempo fa, circa 20 anni fa, ho iniziato a fare quello su cui vi rompo le scatole da qualche anno.
Cercare con tutto me stesso di stare benissimo, non bene, altrimenti la corazza non si rompe e tutto rimane tiepido.
A volte, soprattutto all’inizio, mi sono fermato, illudendomi che le paturnie e le paure a cui si accenna spesso in terapia, non tornassero più.
Ma poi ho scoperto -sempre in analisi e sempre nel gruppo- che il malessere e il benessere sono due mammelle, due solchi, due canali.
O ti attacchi con tutto te stesso al bene oppure, dopo il sollievo dal male, piano piano ci ricadi, perché quello conosci e a quello sei abituato.
La morale è che non si smette mai di cercare di star bene, soprattutto quando bene non si sta, perché è solo una stupida suggestione la nostra, familiare, caratteriale, molto antica quindi radicata.
Allora, occorre solo ri-suggestionarsi, ri-condizionarci, nel canale opposto, del benessere appunto.
Solo che bisogna farlo in direzione contraria, cioè verso l’interno, in 2 vitali contenitori:
1) il corpo e 2) la conoscenza di sé.
Questa è l’unica strada che conduce alla radice dell’Accettazione. Che è il contrario della rassegnazione.
E lo riscopri ogni volta, ogni santa volta.
Non è per nulla importante il livello di energia e benessere a cui ti alzi la mattina, di cui certo puoi essere lieto se è una buona energia, ma non puoi esserne rabbuiato se è bassa e confusa, perché è invece essenziale quanto sei sintonizzato su qualcosa che ti prende, ti piace, ti appassiona e ti motiva.
E se resti appena accennato e tendi a non coltivare questo livello con determinazione e trasformazione e intensità, il gesso non lo rompi mai.
E di nuovo: quando lo rompi una volta, non puoi pensare che adesso puoi ballare la tarantella per tutta la vita, ritornando pigro e poco partecipativo, appartato, sentendoti fallato e mediocre. Un sano “Scuotiti! Adesso!”, ti aiuta a ripartire.
Ma sei solo tu che ti puoi affrontare a brutto muso, fino a trascinarti a forza, gridando, se necessario.
Gli altri non possono fare ciò che puoi fare solo tu.
Per questo, solo per questo, mi spingo e vi spingo a non mollare mai di vedere leggerezza e sdrammatizzazione.
Nel corso degli anni, è allora capitato centinaia di volte di tornare su questa eterna ricerca di qualcosa all’esterno.
E l’esperienza dell’Uccisione del Buddha, si è rivelata preziosa per ridefinire la direzione di vita.
Il titolo si riferisce al libro “Se incontri il Buddha per la Strada Uccidilo”, in cui si tratta in modo approfondito come smettere la ricerca alienata, cioè fuori di sé, e iniziare a cercare all’interno, nella giusta direzione, ciò che possediamo già e possiamo solo conoscere meglio e autorizzare.
Ne abbiamo scritto al punto precedente nel dettaglio: L’Uccisione del Buddha. Potete quindi apprenderla, la giusta direzione, in ogni sfumatura, teorica, pratica, applicativa.
E come potete immaginare, è ri-fondante, necessaria, come una nuova leva per ribaltare la nostra condizione.
Ora però, la domanda è: come si fa e cosa si fa materialmente per non cercare più all’esterno di noi?
La risposta è: in modo facile e accessibile.
Come esempio, abbiamo condensato l’esperienza 1) corporea e 2) di conoscenza di sé, in questa meditazione.
Le 20 domande qui riportate sono la parte essenziale. Se effettuate insieme agli esercizi corporei, allora il risultato è profondo.
Può essere ripresa, in seguito, in terapia, o in meditazioni specifiche, ciascuna domanda, una per una, visto quanto questi interrogativi sono basilari per il nostro nuovo benessere.
Esiste anche una versione in
Video: Meditazione Bioenergetica dell’Uccisione del Buddha.
Potete seguirla direttamente, tenendo tuttavia questo testo come traccia esaustiva delle domande importanti da porsi durante il lavoro corporeo di scavo e consapevolezza.
Meditazione Bioenergetica dell’Uccisione del Buddha
Ci sgranchiamo nella parte alta, ci svegliamo come fossimo al mattino, ci sciogliamo in modo creativo, facendo movimenti con le braccia e le spalle asimmetrici, in direzioni diverse. E diventa come una strana danza irregolare e per questo espressiva e creativa.
Mentre effettuo questi scioglimenti, inizio a chiedermi:
1. In senso corporeo: la metafora più indispensabile della ricerca su di sé, la quale afferma che “io sono l’avamposto della ricerca su me stesso e che non c’è nessun altro che la possa fare al posto mio”, quanto fa parte della mia vita?
2. Sono già consapevole e porto avanti la coscienza che questa conoscenza è già insita in me?
3. Oppure ancora non ci credo fino in fondo, e spero, spero ancora, spero sempre, di essere diverso da ciò che sono in profondità, o che mi arrivi qualcuno, o qualcosa, o un permesso per vivere finalmente come potrei, ma grazie ad una energia esterna, migliore di me?
4. In sostanza, mi alieno da me, per cercare fuori da me? E quindi non tenendo conto abbastanza delle mie ricorse?
5. Mi ricorda qualcosa del mio passato, della mia infanzia, questa mancanza-ricerca?
6. Calandomi nel corpo, sento tutti i capillari? Avverto tutte le sensazioni di gioia, di aria, di esistenza di me stesso? Mi dico più volte: questa è l’unica conoscenza che tu puoi ottenere perché già ce l’hai.
7. Come sento questo mio corpo, oggi? Prostrato, stanco? Che “deve dare qualcosa per ottenere in cambio un risultato”? O percepisco fluidità e sintesi, scambio, reciprocità, parità? Arriva ciò che accetto che arrivi? E io dono nello stesso istante ciò che è naturale che io doni?
Continuo a ripetermi le domande precedenti, mentre ancora sciolgo soprattutto le giunture, che sono la sede dove si annidano le preoccupazioni.
(Posso registrare le domande in audio oppure, ripetiamo: seguire la Meditazione in Video: Meditazione Bioenergetica dell’Uccisione del Buddha).
Quindi mi dedico alla torsione di spalle, braccia, polsi.
I movimenti sono quelli che conosco, da qualsiasi prassi vengano, palestra, stretching, insomma, quelli a cui il mio corpo è abituato.
Poi, porto lo stesso scioglimento nei movimenti della parte bassa: caviglie, ginocchia, anche, bacino.
E di nuovo interrogo il mio corpo. Sono tutte domande che pongo al sistema-corpo-emozioni, con la mente solo sullo sfondo. E aspetto che arrivi una risposta appunto da questa saggezza emozionale, non da un ragionamento.
Mi chiedo quindi:
8. Questo corpo lo tratto come macchina, come motocicletta? E la manutenzione di questa motocicletta la metto in atto a che scopo? Per trovare che cosa? La faccio in modo fine a se stesso? Per sentire il rombo del motore, se capite ciò che voglio dire? Oppure di questa macchina che chiamo corpo semplicemente non me ne occupo?
9. Vale a dire: com’è il rapporto tra me e questa struttura corporea? Mi sostiene, mi deve sostenere, oppure “io sono” questo corpo? Mi assiste e basta solo per i miei scopi? E’ altro da me? Oppure io sono questa identità? La ricerca è dentro, quindi è sempre ricca di scoperte? Oppure è fuori con la speranza (vana) di un’illuminazione?
Continuo l’ascolto, senza alcun giudizio.
Se è necessario, posso interrompermi per annotare le risposte significative, se credo che poi tenderanno a nascondersi di nuovo alla coscienza.
E tendo su le braccia verso il cielo, rilasso la testa e il collo, e li butto indietro, il petto si apre un pò.
E con il baricentro molto in avanti, inizio a scendere e risalire nella posizione del grounding bioenergetico.
I piedi entrano nel terreno solo con l’avampiede. Il tallone è privo di peso, sfiorando il terreno. Lascio andare il diaframma. La mia voce, il suono, mi permettono di sentire la mia attuale apertura. Accetto in questo momento di sentire la mia disponibilità. Posso essere aperto a qualsiasi verità ci sia dentro di me, e io sono il più titolato a questa ricerca al mio interno. Non mi manca niente. Il Mio corpo conosce già tutto questo. Continuo in questa posizione, sapendo che le braccia tenute su tra un pò faranno male, ma resisto rilassandomi e aprendomi a questo dolore. E potrei, in teoria, starci delle ore in questo flusso. I talloni, non aderiscono al terreno, visto il baricentro spostato in avanti. E la parte anale, genitale, perinatale è completamente aperta. Il respiro arriva e parte dalla punta dei piedi in una totale circolarità dove non c’è spazio nè tempo.
Durante l’esercizio del grounding, mi ripeto ad libitum, più e più volte, le domande:
10. Quanto ancora io cerco qualcosa fuori di me? E quanto invece ho accettato davvero -fino in fondo e fino all’ultima goccia- che non arriverà niente perché non ne ho bisogno, NON perché mi devo rassegnare?
11. E quindi quanta accettazione come liberazione di energia e gioia pura, e quanta intensità ci sono in me, e quanta esattezza e diritto di occupazione di spazio mentre mi muovo? Poca? Molta?
12. E’ il mio campo legittimo? Sono nel mio terreno e territorio? Il Volume che io occupo, lo occupo con pieno diritto? Queste sono le domande cruciali: oppure aspetto un permesso? Una concessione, da qualcuno, appunto? Da chi, esattamente? Lo chiedo al mio corpo e attendo una risposta di sistema, non la pretendo come risposta.
Resto ancora in questa posizione di grounding, scendendo e risalendo sulle ginocchia, spinto dalle piante dei piedi a cui sono completamente affidato, totalmente, occupando spazio nel modo più completo, capillare, più a mio agio possibile.
Un suono mi può sempre aiutare, a lasciarmi andare. Lentamente butto giù le braccia, e inizio a camminare per lo spazio per verificare se cammino diversamente rispetto anche a soltanto pochi minuti fa.
Poi ritorno in posizione estesa all’indietro, cosiddetta ad arco, sempre in piedi. E’ un’evoluzione della posizione di grounding, ma con la schiena inarcata indietro. Quando sono in posizione, continuo a scendere e risalire sulle ginocchia ma solo per 1 cm, per ravvivare la connessione con il terreno.
Poi pongo i pugni sui reni, per arcuare ancora di più la posizione.
Infine, restando in arco, faccio crollare la tensione nelle ginocchia, come a lasciarle andare a terra, visto che in questa postura possono benissimo lasciarsi andare, non essendo necessarie all’equilibrio. Ciò può far scaturire vibrazioni nelle gambe e in tutto il corpo. Se accade, va benissimo, lasciamo fluire.
13. Di nuovo, mi pongo la domanda: è legittimo per me stare in questa posizione? E sentire la mia pienezza? Posso occupare lo spazio che mi è stato dato? Pienamente? Fino all’ultimo dei miei capillari? Oppure no, sento che questa completa, totale, legittimazione non me la sento possibile? E se anche non la sento possibile, posso cercare comunque di viverla, visto che so che è una mia sensazione-suggestione, non certo una verità?
14. E che cosa accade se ci provo con tutto me stesso, questa volta? C’è una trasformazione nel mio modo di essere, pulsare, vibrare, vivere intensamente?
Lentamente, al termine dell’esercizio, che come gli altri ha una durata secondo le esigenze di chi lo svolge, né troppo breve, ma nemmeno troppo sostenuta, andiamo nella posizione del piegamento in avanti (bend over).
E continuiamo a ri-proporci le stesse domande di nuovo, raccogliendo in questa fase finale, i frutti di tutto questo lavoro di oggi.
Lo facciamo come prima, senza attendere una risposta mentale, senza alcun ragionamento. Solo se la questione sarà posta al corpo, allo spirito che il corpo incarna, alle emozioni, allora -e solo se c’è- una risposta apparirà come intuizione che ci emozionerà.
15. Mi è concesso andare in profondità in questo esercizio di piegamento, in modo ancora più richiedente rispetto alle preceedenti posizioni? Perché sì? E fino anche punto? Perché no? Se non mi è concesso, perché? Emerge un’immagine? Un ricordo? Una parola?
Magari c’è una risposta secca che il nostro corpo ci dà. Magari è più sfumata. Ascoltiamola senza giudizio.
16. E allora forse ci possiamo rendere conto che è questo quello che cerchiamo magari alienandoci da noi stessi: sentendo la solitudine o la separazione. Chiediamo un’autorizzazione, un permesso? Allora stiamo solo andando a cercare che qualcuno sia d’accordo con la nostra assunzione di diritto alla profondità? Se sì, chi, originariamente, tanto tempo fa, ci ha abituato a questa autorizzazione?
17. E come possiamo affrancarci da questa continua, infruttuosa e dispendiosa richiesta impossibile di autorizzazione, se possiamo?
Nulla è triste o ci porta abbattimento. Tutto è invece verità.
Vuoi il benessere? Cerca la verità.
Questo è l’unico principio valido per star bene veramente.
Infine, ci allunghiamo schiena nel materassino, con le piante dei piedi a terra e le ginocchia alzate. Siamo in connessione con noi stessi e le nostre verità, scaturite da tutta questa meditazione:
18. Cosa stavo cercando fino ad oggi?
19. Cosa posso smettere di cercare, da oggi in poi?
20. Quanto posso interamente, totalmente, nel più intimo dettaglio, godermi l’esistenza senza più cercare niente di impossibile da trovare all’esterno?
Queste sono le domande di oggi.
Possiamo ripeterci le più significative per noi, in altre occasioni, meditazioni, sessioni di semplici esercizi che ci riconnettano alle nostre verità interiori. L’unica cosa che conti.
Lentamente, terminiamo tutta l’esperienza. Usciamo dalla posizione con i nostri tempi.
Potrebbe essere opportuno, al termine di tutta la sessione, annotare le immagini, le parole, le frasi, le intuizioni che il nostro inconscio, grazie al lavoro corporeo ed emotivo, ci ha permesso di sperimentare. Ciò poiché non è detto che tra qualche minuto siano ancora così pure, chiare e definite, da poter essere ricordate.
E andare così incontro alle attività di oggi, sentendo quanto questa esperienza ci abbia trasformato.
Per approfondire, vai all’articolo correlato: L’Uccisione del Buddha.
Oppure segui il Video: Meditazione Bioenergetica dell’Uccisione del Buddha).