Non Mi Sopprimo Più

Stavolta non è recente. Questo aspetto importante di cui vi parlo oggi non è un’illuminazione ma una questione aperta e irrisolta che si trascina da decenni nelle persone che incontro. E’ conosciuta, lamentata e sofferta a piene mani. E se non si risolve, non si va davvero da nessuna parte.

E’ sancire l’insopprimibilità del nostro sé.

E’ il non piegarsi più. Il non ridursi. Il non doversi sempre accontentare dell’amaro in bocca che sentiamo (a volte letterale) in ogni situazione della vita.
E’ noto come stereotipo nella mancanza di autostima, ad esempio.
Ma riguarda invece tutte le ferite, ciascuna sofferenza, ogni cammino su di sé.
C’è sempre il non poter brillare di luce propria, il contorcere le prospettive, e spesso la schiena, nel sentirsi costretti ad andare, a stare, a sopportare, nella parabola della propria vita che si ricurva su se stessa ad ogni vera sollecitazione.
Concerne i meandri sempre uguali dei pensieri, le emozioni troppissimo ricorrenti, le sensazioni dei blocchi corporei che dire ricorrenti è davvero poco.

Scagli la prima pietra rovente chi non ha mai sentito ‘qualcosa’ che dalla notte dei tempi ‘non va’ e fa parte di noi tanto da non farci mai godere a piene mani.
Anzi, è proprio a testimoniare che ‘comunque anche questa ennesima volta, anche questo piacere così intenso e la soddisfazione insperata che ho raggiunto, comunque ha da essere accompagnata dal mio solito malessere’.
Può essere una paura che sentiamo ormai solo nel corpo, nello stomaco e nel diaframma ed è senza nome, ma presentissima. Ah, ciao, dov’eri finora? E’ un po’ che non ti sento, mi chiedevo infatti dove fossi finita.
Può essere un mal di testa ‘tutto nostro’, un dolore alla schiena invalidante, può essere una moltitudine di pensieri e paure sempre uguali, ricorrenti e ossessivi.
Può essere una sensazione di fallimento ogni santa volta che iniziamo qualcosa. Può essere anche tutte queste cose insieme.
Si direbbe che è la vita ad essere fatta così.
’ E invece no!- cantava Edoardo Bennato- invece sono solo come un cane in questa stanza!’.

Davvero però: invece non è detto per niente che non si cambi questa condizione invalidante vera e propria. Viceversa: questa è la situazione che ha da cambiare di più come risultato di un cammino su di sé. Nulla di meno.
Sto pensando ad una persona precisa, ad esempio, che può fare tutte le terapie del mondo e le ha fatte, può mettersi di massimo impegno per modificare un aspetto, ma resta convinto in modo imperterrito che lui in profondità no, non potrà mai cambiare. Che sempre nello stesso angolino verrà ricacciato, ogni volta al mittente rispedito.
Non pervenuto, mi dice ogni volta, parlando del cambiamento e sancendo una macabra battuta su di sé e i suoi mutamenti presunti e mai arrivati a destino.
Un altro esempio eclatante è la differenza percepibilissima tra la gentilezza e la generosità  sacrificata e quella piena della persona realizzata.
La generosità non auto legittimata quindi senza potenza né forza evidente e quindi con un io debole-debole, è evidentemente diversa  dall’atteggiamento della stessa persona, ancor più generosa, se possibile, quando ha un sé radicato e incisivo, consapevole e adulto.

Quando le persone rinsaviscono?
Quando qualcuno le guida a vedere il reale aspetto represso.
Come funziona che ad un certo punto tu recedi? E che lo fai sempre nello stesso modo? Vuoi saperlo? E vuoi saperlo fino a che punto estremo lo fai tu contro di te e basta ormai? E perché lo fai?
Magari.
Allora, il cambiamento reale è nella parabola dell’immagine di sé. ‘Mi sento che mi posso esprimere certo, ma poi alla fine tutto va nello stesso modo…’. Sempre, indissolubilmente.

Tutto ciò sancisce l’estremo paradosso della nostra cultura. Non si va dall’esperto dello star meglio. Si va dallo specialista. Dei capelli, se hai un problema di capelli, della schiena se hai problemi di schiena, ma se ti senti a disagio perché non sai comportarti con le ragazze, o non sai andare a fare i colloqui di lavoro, e senti sempre il tuo solito sintomo, o il pensiero tormentato e sempre uguale che tu comunque fallirai,  semplicemente ingoi questa necessità nei tuoi più reconditi meandri e vai avanti, perché se raccogli l’istanza, dovrai indossare la maschera dello sfigato, dello spostato, del pazzo e del malato di mente. Tutte aberrazioni solo culturali. E allora ti tieni l’amaro in bocca, il disagio cronico, la gastrite e la colite.
E negli esempi abbiamo volato bassi. Se infatti capita invece qualcosa di abbastanza terribile? Cosa succede se veniamo lasciati e tutto ci appare senza senso? E se non sappiamo minimamente cosa fare della nostra vita e il lavoro non solo ci fa letteralmente vagare (correttore a volte ti amo), bensì non abbiamo alcuna alternativa di vita che ci appassioni? Niente, cosa vuoi che faccia? Se non ho fatto niente prima, per paura di apparire malato, vuoi che mi metta adesso a confessare e a costituirmi? Continuo ad uccidere me stesso come un serial killer delle prospettive. Un cecchino dello star bene. Così, uno dopo l’altro, faccio fuori tutti i tentativi, gli aneliti, le belle immagini interiori, che pure una volta avevo, tanto ma tanto tempo fa.

Quindi vedete? Non è il malessere. È che cosa è diventato quel malessere dopo tanti anni di seppellimento sottovuoto e di re-ingoio incondizionato.
Ora, vogliamo uscirne una buona volta?- chiedo a ciascun cliente io mi trovi di fronte. E, come sopra, ‘magari’, mi rispondono di solito.
Guarda che occorre fare 2 sole cose: che vuoi che siano due azioni due, per risolvere se stessi? Sembra incredibile sia così facile, eppure la soluzione è tutta qui e i risultati sono esponenziali.
A. La prima è appunto scandagliare i vari dolori fisici e mentali e i piccoli impedimenti della vita quotidiana e meditarci su con il corpo.
B. la seconda azione è la consapevolezza della Quarta Accettazione, di cui parliamo meglio al punto relativo, ma qui comunque presentiamo.

Così come abbiamo detto infatti che il Lasciar Andare e il Cambiare Struttura della propria vita interiore siano i due passi fondamentali dell’evoluzione di sé e di qualsiasi benessere, allo stesso modo questi altri due cardini del cambiamento sono due conseguenze specifiche imprescindibili di quelle due fondamenta.

Lasciar Andare > La Quarta Accettazione

Cambiare Struttura > Non Mi Sopprimo Più

Allora, iniziamo ad affrontare 3 semplici quesiti per non sopprimerci più: 

1. Sintomi e Pensieri Bloccanti: Scriviti tutti sintomi fisici o psicosomatici che hai, che sono cronici e sempre uguali e ti accompagnano da decenni (e di cui abbiamo fatto esempi all’inizio dell’articolo). Poi aggiungi i pensieri che accompagnano questi sintomi o che fanno parte di te (ad es mi preoccupo sempre di… penso sempre a… faccio attenzione ogni volta a…).

2. Blocchi Emotivi e Temi Ripetitivi. Poi elenca tutti i blocchi emotivi che senti, le situazioni ripetitive, i temi irrisolti che continuano a ripetersi nella tua vita. Es. Non riuscire mai ad affermarmi, Paura delle relazioni profonde, insoddisfazione cronica, auto critica insopprimibile… ecc.

3. Ferite e Dolori Profondi. Infine passa in rassegna le Ferite che sai di avere, quelle più profonde che reggono i sintomi e i temi irrisolti di cui sopra. Ad es. condanna, umiliazione, sentirsi schiacciati, in secondo piano, rifiutati, mai se stessi, continue  ingiustizie, tradimento, ecc.

Alla fine, rileggi meditando mentre fai esercizio di bioenergetica in movimento: tutto ciò che adesso elenco dentro di me, deriva dalla soppressione di me che la ferita ha sancito tanto tempo fa e io e solo io mi somministro oggi tutti i giorni. E poi continua inspirando a pieni polmoni l’assunzione, il cambio di posizione di vita che rappresenta per te, ripentendoti ad libitum:
Non ho Più Bisogno di Punirmi, Non Mi Sopprimo Piu, Sono Libero per Definizione, Espanso, Spontaneo, Naturale, Non Mi Riduco Mai Più, Non Mi Metto Più in un Angolo e così via, con tutto ciò che ti viene in mente
.

Un esempio concreto è rappresentato da Lara, la cui storia è lampante e piena di trasformazione. Queste sono le sue risposte:

Tre punti:
1. Sintomi: diaframma teso, aria nella pancia, tensione trapezio, mal di testa, prurito estivo
2. Situazioni che si ripetono: utilizzo di tanta energia nel piacere agli altri, in cerca di amicizie, disillusione, solitudine.
3. Ferite e dolori che si ripetono: solitudine, non sentirmi all’altezza, adatta alla situazione

Questo poi il lavoro che abbiamo fatto insieme nelle settimane seguenti:

Adesso ripetiti per tante volte al giorno, tantissimo tempo, settimane:

Ognuno di questi elementi (rileggili ad uno ad uno) dipende SOLO dal fatto che mi voglio punire in realtà.
E mi voglio punire e fare del male perché ho osato ribellarmi alla mia ferita e questo è inconcepibile, inaccettabile.

1. Sento sempre il diaframma teso, aria nella pancia, tensione trapezio, mal di testa, prurito estivo, per punirmi in modo oscuro ma presente, inconscio e fastidioso, perché io voglio lottare nonostante io sia condannata, e sento dolore fin quasi a morirne, ad ostinarmi a voler uscire dalla ferita mortale che ho sempre sentito.
Io posso solo non uscire mai da questa prigione della ferita di non poter chiedere niente alla vita di ciò che hanno gli altri, posso solo stare nell’esclusione totale e per sempre dalla normalità, e vicina al dolore fisico e spirituale indicibile. E questi sintomi non fanno altro che ricordamelo, puntualmente, ogni giorno.

2. Mi condanno a ripetere situazioni che mi facciano ogni volta sentire disperata e con utilizzo di tanta energia nel piacere agli altri, in cerca di amicizie, e mi faccio in realtà alla fine rifiutare ogni santa volta per provocarmi disillusione drammatica, solitudine totale, per pagare il prezzo della esclusione a vita da tutto il benessere e la normalità degli altri.

3. Mi ritrovo sempre in queste situazioni, tipo sentirmi sola perché mi voglio punire per aver osato pensare che mi merito tutto come gli altri.
Il paradosso allora è che mi batto come un drago da sempre per avere ciò che merito per ottenere di punirmi perché oso meritare. Assurdo. Posso lasciare andare finalmente tutto questo.
Non mi sento all’altezza perché ho la pretesa di aver voluto lottare per sentirmi alla pari e quindi mi sento in colpa mortale per continuare a provarci e mi devo punire per questo; non mi sento mai adatta perché così soffro atrocemente il dolore che mi punisce per aver avuto l’ardire di volermi sentire a posto, normale e con pieno diritto di vivere.

Faccio finta di voler risolvere questi tre ambiti, ma in realtà li uso ogni volta per incolparmi, massacrarmi, addolorarmi e condannarmi con lo stessa durezza infinita e mortale e la stessa violenza inconcepibile che ho sentito da bambina contro di me. Perché io mi merito solo questo e anche di più.

Ora, rileggi meditando mentre fai esercizi di bioenergetica in movimento:

tutto ciò che adesso elenco dentro di me, deriva dalla soppressione di me che la ferita ha sancito tanto tempo fa e io e solo io mi somministro oggi tutti i giorni. E poi continua inspirando a pieni polmoni l’assunzione e il cambio di posizione di vita che rappresenta per te, ripentendoti ad libitum: Non Ho Più Bisogno di Punirmi, Non Mi Sopprimo Più, Sono Libera, Espansa, Spontanea, Naturale, Non Mi Riduco Mai Più, Non Mi Metto Più in un Angolo e così via, con tutto ciò che mi viene in mente.

Come potete immaginare, questo ripetersi verità così sconvolgenti, la sta liberando per sempre e sul serio di limiti così profondi e inconsci di cui solo adesso si rende conto.

Il principio è che più questa pratica ci fa piangere, commuovere, smuovere dentro e ci sorprende, e più ci fa bene e ci induce davvero a cambiare struttura.

Emerge anche evidente la punizione, l’aspetto auto inflitto di tutti i nostri processi che ci lascia a bocca aperta per quanto sia estremo e accanito contro noi stessi.

Questa è la Quarta Accettazione, che dimostra che siamo noi dentro di noi che ci boicottiamo e ci puniamo ogni giorno.
Vediamo come funziona e come possiamo illuminarci di questa nostra pratica assurda per smetterla definitivamente e non soffrire più senza senso alcuno.

Vai al prossimo articolo: La Quarta Accettazione 

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