Accettazione Incondizionata: 19. Scateniamo l’Inverno

 

 

Immagina che non ti piaccia il tuo lavoro.

Immagina che la tua vita non ti soddisfi da tanto.

Immagina che le tue relazioni affettive –e le relazioni tutte, in verità- siano sempre sugli stessi binari.

Ora, ti dicono di dover staccare.

Se vuoi cambiare davvero, ti dicono, devi vedere le cose molto diversamente e costringerti a farle secondo un modo nuovo, migliore per te.

Ti dicono di dover pensar bene, molto positivo dentro di te, fino ad emozionarti.
Se no, non cambia niente.

E va bene, l’hai capito. E ci hai provato e ci sei anche riuscito, a volte.

Ma ti senti che è tutto inutile.
Che vieni ogni volta travolto.
Ad ogni ritorno di ferie.
Ad ogni discussione nel rapporto.
Ad ogni piccola tempesta o urgenza o emergenza.

E non sai proprio come fare a consolidare il cambiamento.

E dici che si fa presto a parlare e a scrivere.
Ci riuscite? Bravi. Io non ci riesco. Ohhh.

E ti rassegni e ti accozzi a piccole evasioni, a tenui sintonizzazioni che ti fanno bene. E sopravvivi.

Continui a passare giornate, settimane, mesi che levati.

Sei stufo di vivere-fino-a-che.
Fino-a-che non c’è niente, non c’è. Non arriva niente.

Apri cinicamente i file di lavoro e le foto degli amici.

Ma da qualcosa ti devi far colpire, ti dici, visto che siamo umani.
Anche se colpire-sa-mort commenti, come si dice dalle tue parti.

Perché non funziona niente un giorno.

E non funziona niente un altro giorno.

E così.

Pausa.

Rimetti la vita in pausa.

Fino a che.

Una volta esci. Di notte. Per disperazione.

E lo rifai e lo rifai.

Prendi a fare qualsiasi cosa ti venga da fare. E soprattutto, da dire.
Certo andando ancora a lavorare, ci mancherebbe.

Solo che non ne puoi proprio più e allora inizi a esprimere proprio tutto quello che pensi, a fregartene delle reazioni di chiunque.

A non preoccuparti più delle forze che non hai, degli orari, della notte e del giorno.

Stai solo a contatto.

Dichiari una specie di stato d’emergenza.

Un’alba ti trova già al mare. Un’altra in aperta campagna. Almeno respiri.

E non aspetti più, mai più -ti dici- che qualcosa succeda.
A costo di morire di sonno. O di cadere svenuto.

Una mattina, mentre pedali nella luce dell’alba che ti sfiora, sorridi. Visto che posso vivere solo così, ti dici, almeno vivo pienamente.

E quando non aspetti più niente, se qualcosa inizia ad arrivare, a te non te ne frega più niente.

Ti godi solo il momento. Intensamente.

Fatto sta che alcuni video o esperienze narrati su facebook, alcune letture, piccoli incontri, ti portano a sussultare, a dire apperò-dai-forse-che-forse-qualcosa-forse…

No-no-no-no-no…. Attenzione: io non mi aspetto più niente.

Ma ti specchi nella Desolazione Ufficiale Garantita del lavoro e ti dici di nuovo -per la volta elevata alla enne: così non va, non va, non va.

E trovi una piccola onda buena: leggi un articolo che ti porta a riflettere.
Il giorno dopo ti senti più carico.

Allora cerchi il libro che l’articolo ti consiglia.
Lo leggi avidamente nelle pause dei soliti disastri e drammi lavorativi.

Tanto non t’aspetti più niente.

E il giorno dopo ti senti più carico ancora. Provi a fare gli esercizi di visualizzazione descritti nel libro. E ne trai giovamento. Non troppo. Però un pò sì.

E un barlume di umore diverso si affaccia.

Allora apri una nuova pagina, ti eserciti un pò di più e provi un paio di esperienze serali, poi notturne, poi nei weekend, di tipo completamente diverso.

Insomma, vivi meglio, solo un pò di più, dicendoti: tranquillo, non ci sei ricaduto di nuovo. Adesso lo sai che tanto tra poco arriverà un’altra mazzata.

Come va, ti chiedono.
Beh, è sempre la solita schifezza in verità, lavorativa e personale; ma diciamo che mi sto muovendo di nuovo.
E’ strano: ho accettato che niente cambierà mai e quindi mi muovo di più, senza alcuna speranza che non sia la cosa in sé.

Ed effettivamente, il lavoro stranamente non ti abbatte o non ti irrita o non ti dà sintomi come prima.
Ma sì certo, un pò sempre, però devi riconoscere che oggettivamente non stai messo male come un tempo.

E arriva anche l’attesa mazzata. Una mattina.
Arriva tramite una banale comunicazione.
Del tuo capo o del tuo partner o di tutt’e due.

Le dai il benvenuto e stai lì. Ma non succede il grande abbattimento solito.

Decisamente, lo accusi meno.

Perché? Vuoi che te lo dica sinceramente?- ti dici…: perché non te ne frega più una cippa di niente.

Hai cambiato atteggiamento, in effetti. Dentro.

Non t’illudere, non t’illudere, per favore non t’illudere, ti ripeti.

E così si succedono le settimane. Come tante esperienze uniche. In cui prendere i momenti utili e accettare quelli inutili in sé. Inevitabili.

 

Dopo qualche stagione ti fotografi: sei iscritto da mesi alla tua pratica settimanale, fai parte di un gruppo di canto o go kart o tiro con l’arco istintivo, durante i quali -ormai non osi pronunciare le parole ma in effetti sì: ti diverti e ti confronti. Sempre non troppo ma…

Vai di più a ballare, ti viene facile organizzare weekend diversi, viaggi e stacchi molto di più.

Prima ti dicevi che avresti dovuto sforzarti, uscire, iscriverti a qualsiasi cosa, ma lo sforzo era sempre troppo.

Oggi invece fai le cose senza pensarci. Sei rassegnato e allora ti nutri di una sorta di rabbia fredda.

E semplicemente ti smuove, ti attiva, senza più menate.

Leggi che un autore amava ripetere: la rabbia è l’emozione che guarisce. Vero, commenti.

Ti sei iscritto, in verità senza accorgertene, ad una marea di cose.

Rifletti: il fatto che non ti aspetti più la grande rivoluzione ti ha portato ad affrontare ogni cosa, ogni istante, con tutto te stesso.

E sono due pietre miliari che un tempo cercavi e non riuscivi a trovare.

Non aspettarmi più niente. E in ogni istante, tutto me stesso.

E oggi, udite, udite, è già il terzo giorno che ti si prospettano, nella tua testa, naturalmente, al caffé o nel tragitto in auto: idee nuove.
Maddai! Sorridi come fossi matto: eddoveemmesietestatetuttoquestotempobastarde?!

E poi rispondi quasi gridando: però adesso, un attimo: che volete?! Io non mi aspetto più niente, capito?!

Eppure, poter cambiare qualcosa di importante, magari lavoro, magari vita -che tanto non arriveranno mai, certo- eppure basta a provocarti improvvisi entusiasmi che da quand’è che non sentivi?

Allora accosti, ti fermi, chiami, inventi una scusa che prima ti saresti proibito ad libitum, e ti godi un pomeriggio a camminare nella natura, con elucubrazioni sul tuo nuovo possibile lavoro o viaggio o affetti improvvisi o chissà che.

E un attimo dopo, ti guardi intorno ed è già passato quasi tutto il tramonto. E tu sei ancora lì al parco che-se-mi-vedono…

Chiami il tuo amico, nuovo-ma-ormai-già-consolidato-che-non-pensavo-così-in-fretta, e gli dici: senti, sì. Pausa.
Ti devo parlare. Mi è venuto un progetto di vita che non so da dove sia uscito. Niente di che ma non mi succedeva da anni e anni. Eppure mi sembra ragionevole.
L’ho massacrato, ignorato, spezzettato. Eppure: quadra.

E se ne parlassimo?

E t’incammini fiero ed impavido come fossi il nord che non dimentica nella battaglia per i Sette Regni.

Dici a voce alta per strada: “North Remembers!”. E ti diverte e ti viene da ridere.

Qualcuno si gira e ti guarda e tu pensi: ridete, ridete.

Nemmeno vi vedo, qui da Grande Inverno.

 

 

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Riepilogo:

 

 

Approfondimenti:

Conferenza Gratuita 1 Dicembre, 20,30
5 Ricette per una Piccola Felicità

 

5 Ricette per una Piccola Felicità

1. Accettazione Incondizionata: Accetta di Stare Dove Sei e Apriti con Spirito Leggero

2. Leggerezza Profonda: Smetti per Sempre di Discutere e Dai Luce Emotiva

3. Evoluzione Sostenibile: Spingi per Te, con Tutto Te Stesso e Mai Più Contro Qualcuno

4. Visione Radicata: Togli l’Impossibile dai Tuoi Obiettivi e Sorridi alle Tue Preoccupazioni

5. Cerca il Piacere Corporeo ed Emotivo e Scopri il tuo Scopo Primario

 

 

 

 

 

 

 

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