Tornare insieme a chi ci giura di essere cambiato
è come aprire ogni 15 minuti il frigorifero vuoto
sperando che il cibo sia ricomparso.
(diegoilmaestro, Twitter)
Ritornano sempre.
Se ti occupi di aiutare gli altri, il classico “a volte ritornano” lascia il posto ad osservazioni più radicali. Ne parlo spesso con un’anima a me vicina che condivide con me le stesse sensazioni. E ieri mi dice di nuovo: Hai visto? Ritornano sempre.
Perché ritornano sempre? Chi ritorna sempre? Quali cose ritornano sempre?
Diversi tipi di persone e una serie di circostanze.
Il fenomeno dei ritorni riguarda molte situazioni di diverso tipo.
Sostanzialmente però, è utile individuare e riflettere, in terapia, su due grandi “flussi di ritorno”, due direzioni che comunemente gli umani intendono come Malessere e Benessere.
A volte ci si separa bruscamente, nella terapia come nella vita, non per lasciarsi sul serio, ma per rimanere in contatto nel dolore e nel disaccordo, visto che ci si lascia davvero solo quando ci si lascia bene.
Oppure si sospende un dialogo con qualcuno, come si mette da parte per i momenti buoni una verità su se stessi non così facile da digerire.
E’ come una danza. Anzi, è una danza. Una coreografia con noi stessi e con gli altri. Fatta di interpunzioni, di stili diversissimi di hip-hop anarchico e vitale, come un mulinello del vento che tiene insieme cose solo per quella folata e poi boh, chissà.
Ecco. Questi incontri si ripetono al momento opportuno. Perché prima magari non era il caso. O perché in quell’occasione abbiamo banalmente sbagliato a non stare nelle cose e allora ritorniamo come spinti da una verità.
Fatto sta.
Fatto sta che creano una trama.
Ta, ta, taa. La trama dei ritorni.
Refrein importanti. O ritornelli insignificanti. Appunto.
Comunque, dicevamo, per ciò che ci interessa qui, che una stessa persona può scegliere tra due grandi ritorni. Due esposizioni a venti diversi. Due Sintonizzazioni. Due Connessioni.
O segue le proprie ansie, istanze, compensazioni caratteriali…
Il ritorno dei più.
E allora prende la via di frequentazioni, persone, gruppi, interessi, che accenna, assaggia, mette in cascina, mantiene in superficie, dilunga, dilata, e poi perde e ritrova a valanghe successive. Nelle forme e metafore che ciascuno di noi è capace di inventarsi. E tra queste ci sono anche pratiche corporee e terapie.
Oppure scava, resta, milita, si aggiusta in un posto, non ne può più di girare. E allora Pum! inciampa in qualcosa che è LA COSA. Allora i ritorni accadono intorno a sé. Magicamente. Proprio quando non li cerchiamo più. E che diavolo!
E sono due qualità di ritorno davvero diverse.
Ecco. O ritorniamo noi in un moto perpetuo sempre alle stesse canzoni, con taaaanta fatica…
…oppure melodie diverse, che ci fanno bene, si ripetono intorno a noi senza che noi dobbiamo più necessariamente sforzarci di fare alcunché.
Eh, lo so. Bello sarebbe. Quando accade. Ma è un dono, una sintesi, direte voi.
Eppure no, invece no.
È una scelta. Semplice. È la banalità del bene. Se volete, è fare un figlio. Che fa tornare elementi implacabili per lo più, inchiodati all’esistenza, ma che, se li accettiamo davvero e altrettanto implacabilmente, allora fanno fiorire doni illuminanti.
Insomma, c’è il malessere implacabile e il benessere implacabile.
E ritornano sempre.
Entrambi in modo sempre uguale.
Uno in una danza che non ci piace, MA si ripete sempre.
E l’altro che ci piace E -per questo- si ripete. Ogni alba e ogni tramonto.
Che è ben diverso.
Sono il mal di vivere senza via d’uscita.
E il ben di vivere senza via d’uscita.
Ma nel bene, e dal bene, ci va di lusso non uscire.
Perché respiriamo sempre meglio. E l’uscita in questo caso è la varietà e la ricchezza.
Non c’è spazio angusto e asfittico nel benessere.
Nel malessere invece sì che c’è. E ritornare a sentirlo ogni giorno, fa tutto.
Allora qui, finalmente, i ritorni sono ripetuti e potenti, non obbligati e sfibranti.
Vedete? La forza degli aggettivi ci spinge verso due grandi agglomerati che chiamiamo bene essere e male essere. Esserci. Starci dentro.
A che cosa. Questo è il punto.
Mentre noi ci inventiamo terze possibilità placidamente campate per aria.
“Ma tu -chiedo allora io- vuoi stare bene o vuoi stare male?”.
“No io, sai, vorrei che .. ma poi anche che… ed infine… in modo che…”.
“Eeeh?”.
Quindi, davanti al panorama delle osservazioni di fenomeni interni alle persone, che poi è la terapia che aiuta davvero, di qualsiasi indirizzo essa sia, si vedono passare e ripassare persone e fenomeni sempre uguali in un senso… ovvero sempre uguali nell’altro senso.
Come se fossimo dei caronte verso il giorno del giudizio sereno o della resa dei conti da cui volevamo inutilmente scappare.
Ora, vi è chiaro a questo punto che sono due vere e proprie direzioni di vita? E che se io sono inserito in un fiume di abitudini-sensazioni-atmosfere trentennali ci vuole la Santa Casa -si diceva dalle mie parti- o come afferma Jannacci, tutto il pacco, anzi parecchio, per riuscire ad invertire lo schema, la direzione, la potenza, e la capacità di forza e portata della corrente?
Il caso di Eloise è solo uno, emblematico della moltitudine.
Mi scrive una mattina:
“Dopo il nostro incontro e il viaggio, la mia vita è cambiata totalmente. Oggettivamente è ancora tutto come prima. Ma sono io che sono cambiata! Ho capito, respiro meglio, affronto tutto con uno spirito diverso.
Per adesso non posso proseguire con la Bio, ma solo perché c’è così tanto fieno in cascina che quando tornerò la mia vita sarà in tutt’altra dimensione! Ti ringrazio come non mai e ti auguro tutto il bello che hai fatto vivere tu a me”.
Bello, no?
Sono questi i messaggi che ti fanno credere… se non sei avvezzo all’odor di bruciato… che… forse… stavolta… ci siamo.
Ci eravamo conosciuti in un’esperienza intensa di una settimana bioenergetica che noi organizziamo ogni anno in paesaggi tropicali, per vivere in paradiso fuori, scoprendo il paradiso dentro.
E aveva posato sul tavolo come si fa con un tovagliolo che lei era stata nella vita massacrata da questo… e che poi la sua esistenza grama le aveva riservato quest’altro… e infine anche l’ultima mazzata tremenda.
E aveva concluso con altre disgrazie variamente sparse, come si ordina il dolce prima di andare a pagare mentre io ancora deglutivo a vuoto.
Ora voi vi aspettereste che una persona che ci testimonia tutto questo ben di Dio dopo una vita goccia dopo goccia nel malessere, non perda più questo refrein, portatore di un tale zampillare di belle emozioni che non si può più ignorare.
Eppure.
Ecco il motivo per cui scrivo questa nota. Perché manco per sogno e nemmeno per idea.
Scompare e ricompare a tratti. Da allora la vedo molto poco.
Lo schema si ripete più o meno sempre uguale, in casi del genere.
Questo fa arrabbiare.
Una parte di persone molto entusiaste di aver scoperto la terapia, la Bioenergetica, il corpo, il benessere, non le vedi più per tanto tempo.
Proprio perché tutto troppo e tutto esatto.
E loro non reggono lo schema del benessere.
E non vogliono accettare che occorre impararlo ex novo.
E così tornano pian piano agli enormi sacrifici e sforzi e sofferenze che conoscono già. E che per loro paradossalmente sono meno pesanti (!).
A volte Eloise mi manda messaggi in cui si scusa ma non può esserci, ma solo e proprio perché va tutto bene. E molte cose si muovono. E allora. E ancora.
Poi altre scritte sono sul fatto che si trova di nuovo in periodi di stress.
E come in una parabola già scritta, le battute successive -di mese in mese-sono sul “non si può star sempre bene”.
E a quel punto “già so”.
Come in altri innumerevoli ritorni.
Fino all’ultima comunicazione in cui butta lì, stavolta come rovesciando un bicchiere sul tavolo senza scomporsi mentre vomita che la sua vita sta toccando di nuovo il fondo dei fondi.
Ma porca di una porca di una porca mona bastarda.
Eh sì, a volte i commenti intelligenti latitano proprio. Mannaggia a me, a te e a tutti noi. Ma è possibile?!?
E di questi casi potrei compilarne un calendario.
Il calendario dell’avvento dei ritorni.
Ci puoi giurare che ritornano.
Oh, vuoi vedere che… eppure, ecco.
Sui ritorni ci puoi rimettere gli orologi.
A volte mi perdo in fantasie di scritte su cartelloni immaginari in tutte le città del mondo: ma insomma lo vuoi capire o no che se non fai proprio quel passo che temi di più, prima o poi tutto torna?!?
Ma alla fine l’indignazione si tuffa nel traffico e anch’io ricomincio la danza dei ritorni.
Fatto sta, dicevamo.
Fatto sta che da tanto tempo mi aspetto, percepisco e sento montare ogni mattina questa tarantella che tutti balliamo, nelle giravolte che poi mi arrivano di sguincio, si diceva al mio paese una volta, di rinterzo, di sponda insomma.
E mi chiedo: ‘sto qui, oggi cosa mi porta? Che ritorno è?
Ha capito o ancora si agita fuori tempo?
Che ritmo crede di stare interpretando mentre si dimena a vuoto? Lo sente? E come posso aiutarlo?
E quest’altro? Ecco, sì, forse lui ha capito, no? Ma sì dai, mi sembra di sì. Sta tornando da dove? E va, dove? Avalliamo, incoraggiamo, tranquillizziamo, allora?
E respiriamo insieme. Ogni volta.
La danza dei ritorni, allora, come una poesia della Szymborska, ci accompagna sempre.
A volte lasciandoci un sorriso pieno di luce.
Ritorni
E’ ritornato. Non ha detto nulla.
Era chiaro però che aveva avuto un dispiacere.
Si è coricato col vestito.
Ha messo la testa sotto la coperta.
Ha ripiegato le gambe.
E’ sulla quarantina, ma non in questo momento.
Esiste – ma solo quanto nel ventre di sua madre,
al di là di sette pelli, al riparo del buio.
Domani terrà una conferenza sull’omeostasi
nella cosmonautica metagalattica.
Per il momento si è raggomitolato, dorme.
Wisława Szymborska
Amore a prima vista
Sono entrambi convinti
che un sentimento improvviso li unì.
E’ bella una tale certezza
ma l’incertezza è più bella.
Non conoscendosi prima, credono
che non sia mai successo nulla fra loro.
Ma che ne pensano le strade, le scale, i corridoi
dove da tempo potevano incrociarsi?
Vorrei chiedere loro
se non ricordano –
una volta un faccia a faccia
forse in una porta girevole?
uno “scusi” nella ressa?
un “ha sbagliato numero” nella cornetta?
– ma conosco la risposta.
No, non ricordano.
Li stupirebbe molto sapere
che già da parecchio
il caso stava giocando con loro.
Non ancora del tutto pronto
a mutarsi per loro in destino,
li avvicinava, li allontanava,
gli tagliava la strada
e soffocando un risolino
si scansava con un salto.
Vi furono segni, segnali,
che importa se indecifrabili.
Forse tre anni fa
o il martedì scorso
una fogliolina volò via
da una spalla all’altra?
Qualcosa fu perduto e qualcosa raccolto.
Chissà, era forse la palla
tra i cespugli dell’infanzia?
Vi furono maniglie e campanelli
in cui anzitempo
un tocco si posava sopra un tocco.
Valigie accostate nel deposito bagagli.
Una notte, forse, lo stesso sogno,
subito confuso al risveglio.
Ogni inizio infatti
è solo un seguito
e il libro degli eventi
è sempre aperto a metà.
Wisława Szymborska