Leggerezza Profonda: 41. Si Vedrà che Sono Indegno

La costruzione dei carattere comincia nella nostra infanzia e continua fino alla morte
Eleanor Roosevelt

Non dire: “Sono fatto così…, sono cose del mio carattere”. Sono cose della tua mancanza di carattere: sii uomo.
Josemaría Escrivá de Balaguer

 

Esempi dei 3 Livelli del Carattere

Vediamo 5 casi venuti fuori in una stessa seduta di gruppo. Pensate a quanto i partecipanti si siano portati a casa.

 

Queste 3 posizioni di vita sono venute fuori al termine del lavoro corporeo ed emotivo su sé stessi, come abbiamo visto nel punto precedente: La Banalità del Male.

Ci sono infatti tecniche ormai consolidate per far emergere questi 3 livelli a cui si esprime il carattere:

Fantasie guidate. Interrogazioni dell’inconscio. Esperienze corporee ed emozionali.

 

 

T.: 1. ho cambiato vita, rimesso a posto tante cose nella mia capacità di esprimermi, eppure non riesco ancora a godermi la vita, ad esprimermi appieno. Mi sento sempre in dubbio, agitata, insicura.

2. Se lo faccio, se mi esprimo, sento che sto male. Quindi trovo tutti i sintomi psicosomatici, i contrattempi e i problemi che non mi permettono di esprimermi. Devo impegnarmi di più. Superare gli alti e bassi, finalmente.

3. In realtà, non mi voglio davvero esprimere. Alla fine, ogni volta me ne rendo conto. Ed è un’illuminazione, per fortuna! Poiché se lo faccio davvero, si vedrà la verità su di me e non posso sopportarlo: io sono convinta in profondità di essere insignificante, indegna di alcuna considerazione. Solo così posso ritrovare la rabbia che guarisce, come dice Lowen, la determinazione per uscire dai miei blocchi e stare nell’espressione piena e nella padronanza di me.

 

 

J. 1. Adesso ha un lavoro che lo soddisfa ma non riesce a studiare come prima. Del titolo di studio ha necessità, altrimenti non potrà mantenere il posto di lavoro. E comunque è incongruente con la sua profondità. “C’è qualcosa che mi blocca dal mettermi lì a studiare”.

2. Se studio, sento che non sono capace, che sono a disagio, che non serve a niente, che nulla ha senso.

3. La verità è che se studio davvero, con agio e soddisfazione ed esprimo tutto il mio potenziale, si vede quel che NON voglio far vedere. Quello di cui mio padre mi ha convinto. Che non sono serio. Che non voglio far niente. Che posso stare solo fuori dagli schemi. Voglio solo giocare. Non essere maturo. Non prendermi degli impegni. Lo stesso mi succede con gli affetti. Mi prendo degli innamoramenti con donne che non mi stanno completamente bene. Per poi sbattermi terribilmente per continuare a stare nella relazione e -alla fine- dimostrarmi che non sono in grado di mantenerli. Quello che ottengo al termine è proprio ciò che voglio. Sentirmi per la millesima volta di non essere degno di stima, soddisfazione, affermazione.

 

 

M. 1. Io non posso fare quel che più mi piace e per cui sono portato.

2. Se lo faccio, mi viene fuori in modo etereo e mentale e non sentito e profondo. Da dilettante e mai da professionista.

3. In realtà, in famiglia e nel mondo esterno, se dovessi affermarmi per come grido, mi esprimo e godo fino in fondo, mi scatta un’impossibilità profonda, traumatica, paralizzante. Perché io sono convinto di ciò che mi diceva sempre mio padre: tu sei insignificante. Quindi o io mi esprimo comunque in questa atmosfera, solo apparentemente atroce dentro di me (!) -e mi faccio aiutare e passo dall’altra parte di questa sensazione di morte- che adesso vedo e sento per quello che è, oppure resterò sempre ai margini.

 

 

S. 1. Non riesco a non essere eterea. Anche fisicamente. Ma più in generale, posso stare solo ai margini, in un cantuccio, non considerarmi capace.

2. Se lo faccio, per esempio con gli uomini, dopo un pò non sopporto l’intimità fisica. E perdo interesse. Sul lavoro, non lo considero nemmeno possibile. Fuori dal lavoro, faccio sì molte attività che mi danno soddisfazione, ma mai potrei farlo come lavoro. Non mi considero capace.

3. Sì, lo vivo con profonda pena: la verità è che mi sento morire letteralmente se vado fuori di me e dichiaro al mondo che io esisto. Se io potessi esistere realmente, non mi sarei sentita morire, di fatto, quando sono stata abbandonata da mia madre. Anche se lei non lo ha mai fatto davvero, ma io l’ho sentito così… Mi ha abbandonata perché io non valevo la pena. Ero una bambina e questo ho sentito. Non sono importante e non riesco a sentirmici mai più. Perciò non reggo questa sensazione di essere al centro e in profondità della mia vita.
Ma posso solo ripassare per questa suggestione di morte, di delusione totale, di struggimento insopportabile per esprimermi, prendermi il mio posto, vivere finalmente archiviando la mia infanzia. Uff… fatica, ma diversa, perché vedo la luce. 

 

 

G.1. Non riesco a provare piacere, trasporto, leggerezza, rompere il rimuginare, sento sempre il dover essere perfetta, senza però mai raccogliere soddisfazione, riconoscimento vero, totale, di me.

2. Se lo faccio, fallisco, mi dico che non sono brava abbastanza, che non ho i numeri, che non posso ambire a tanto. Allora sono ai margini. Non sono dentro le cose del mio mestiere davvero e nemmeno nelle relazioni affettive come vorrei: mai alla pari, mai poter chiedere, mai scambio, reciprocità, parità.

3. La verità è che io sono convinta che posso essere solo esclusa e che non ci possa essere niente per me. Perché di questo mi sono convinta da bambina. E’ questo il vero problema. Per me non fa parte proprio delle esperienze del mondo possibile che io mi goda le cose della mia vita e del mio talento.
Solo se ripasso da questa sensazione, atmosfera, insopportabile, si scioglie un mondo di sensazioni.

 

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