L’anima libera è rara,
ma quando la vedi la riconosci,
soprattutto perché provi un senso
di benessere quando le sei vicino.
Charles Bukowski
Dicevo stamattina ad una persona cui voglio molto bene che si sta sempre bene relativamente a qualcosa, mai in assoluto.
Sto bene rispetto a questa mia caratteristica, a questa situazione, a tre mesi fa, a ieri…
Individuare una tendenza positiva per noi e piena di riferimenti:
L’importante è a che cosa si guarda.
Imparare a indirizzare il nostro paragone interno
secondo realtà, concretezza ed evidenza
è ciò che contraddistingue una crescita personale,
un confronto vero con se stessi attraverso la terapia
o esperienze che ci cambino il punto di vista.
Cosa facciamo altrimenti:
Ci riferiamo sempre agli stessi paragoni.
Se il messaggio ricevuto in famiglia è tu non vali, e assumo da una vita che io per definizione non valgo, andrò sempre a fare confronti con le altre volte in cui non valgo, anche se non c’entrano niente fra loro né negli episodi né nei contenuti delle situazioni.
E’ incredibilmente semplice e ripetitivo, ma so che succede a chiunque.
Ad esempio, Marta diceva:
Sì… sto incredibilmente meglio,
non mi drogo più con i miei pensieri malsani,
ma non sono ancora perfetta per i miei standard.
Allora mi sento -di nuovo!- che non valgo e non varrò mai.
Questo è il suo modo per continuare a tormentarsi.
Federica invece:
“Sono migliorata sui soldi, enormemente.
Ma non sono riuscita ancora ad essere come vorrei, ad avere quello che vorrei”.
– E cosa vorresti?
“Una vita senza mai più sbattimenti”.
– Ma non credo tu la posso avere”.
“Eh, lo so, ma mi deprime non arrivarci mai”.
Di mestiere aggiusto pensieri e comportamenti disfunzionali.
Che cos’è allora l’umore? E’ un ricordo a cui diamo potere.
Lo stesso potere che diamo ogni giorno a comportamenti e pensieri, rafforza una direzione verso il benessere o verso il malessere.
Una volta compreso questo, il resto è allenamento.
Pensiamo ad esempio ai due casi opposti: sono una giovane rockstar acclamata in tutto il mondo oppure sono una persona improvvisamente disabile.
Pensate che siano situazioni che non capitino in terapia?
Non avete idea di quanti clienti ricchi, con enormi possibilità, si sentono persi e senza una propria strada. Ne abbiamo già parlato altrove. Le affermazioni sono, più o meno:
se almeno fossi povero, non avrei più alibi.
Dovrei per forza sbattermi con tutto me stesso.
Invece, così, nessuno mi sta dietro, e allora,
semplicemente, mi perdo ogni giorno.
E viceversa, ritrovare un senso diverso, a chi si scopre improvvisamente disabile e privo di prospettive, diventa un percorso così necessario che travalica addirittura la condizione psico-fisica e trascende verso il reale senso della vita.
E così, immaginiamo a braccetto questi due ragazzi, la rockstar e il diversamente abile, che camminano verso i loro nuovi obiettivi: che cosa li accomuna? Un trauma. E ci sono solo 7-8 tipi di trauma. E si può solo aggredire il trauma, nel senso di ad-gredior, aprirsi e andare verso il messaggio e il nuovo senso che questa rivoluzione ha portato alla propria realtà.
Che cosa possono fare, or dunque? La stessa cosa, entrambi. Possono solo concentrarsi sullo star bene relativamente a qualcosa. Sui limiti, confini, sponda, difficoltà: da qui a lì. Secondo due essenziali cardini di qualsiasi porta della vita:
- Non conosco il mio limite se non provo a superarlo. Sono allora avrò colto il senso della vita.
- Non esiste la vita senza i suoi aspetti concreti, tangibili. Ogni progressione è benessere solo se considero unicamente questa versione della mia esistenza: da che cosa parto e su che cosa mi concentro come piccolo punto di soddisfazione concreta. Qui, ora.
Quindi:
A. Desidero star meglio? Certo, ma relativamente a che cosa, proprio oggi, e non domani?
B. E quali aspetti di totale concretezza questo assume?
Non c’è altro in assoluto.
E così Marta, di cui sopra, oggi non considera più i propri standard di perfezione:
Quanto mi sono divertita! Mi sono detta oggi. Sono settimane che considero solo quanto mi coinvolgo e mi appassiono, ogni giorno.
E lo stesso accade a Federica:
E’ vero. Pensavo solo agli sbattimenti. Ora sento solo come ho dormito, quanto sono più leggera e in che misura oggi sto bene con gli altri. Tutto qui. E va molto meglio.
Cessano i problemi laddove ci sentiamo appoggiati tra tali due sponde, sicure e salde e ripetute e solide figure della nostra esistenza.
A. Rispetto a che cosa desidero sentirmi meglio?
B. E come, concretamente, lo misuro?
E per chi soffre, vi garantisco che tornare a godersi il riposo è più del raggiungere il nirvana.
Mi posso misurare con una mela ma non con la ontogenesi esistenziale.
E allora lo scopro: è un crescendo come un’onda di bolero attraverso queste leggi della natura, in cui capisco, folgorato, che è anche la mia natura. Lo posso accettare. E’ la natura di tutti. È non ho altra scelta. Tra l’altro. Questa è l’unica verità.
Lo abbiamo visto in altri punti: il passo del Libro Rosso di C. G. Jung, in cui il Capitano spiega al Marinaio come, nella clausura, occorre per forza darsi altri limiti, per scoprire i “propri” confini da superare e gioire per la propria progressione. E in questo modo, di colpo, la clausura non pesa più. La genialità è banale, in fin dei conti.
Oppure il passo della Parabola della Fonte Nascosta, dove il giovane trova se stesso e ciò che gli piace sempre nella clausura forzata, metafora di tutte le condizioni imposte alla nostra esistenza. E ditemi se c’è qualcosa di più attuale di questa condizione.
E se dunque ti ritrovi gazzella o ti atteggi leone, se sei Nelson Mandela in prigione da 27 anni, oppure sei lo sfigato figlio di famiglia molto più che agiata, sempre la medesima condizione ti sorprendi ad affrontare: sì ma concretamente?
Da qui a lì posso andare. Solo gli esercizi per restare in forma e correre nella cella posso fare. Lascia stare che sono condannato a morte. O che vivo una villa di cui non si vede la fine. Ci sono cose più importanti per me da un lato e condizioni più concrete dall’altro.
Pertanto, se mi è stato concesso un posto in un’esistenza senza limiti e con un’infinità di scelte possibili, posso vivere benissimo soltanto se mi metto in condizioni dove il denaro non conti niente e io per primo mi dia un obiettivo concretissimo, che non è nemmeno importante in sé, ma che mi dimostri ogni giorno che abbia capito che il senso del cammino è nelle leggi dei passi che misuro, corporalmente, per muovermi interiormente da qui a lì. E poi, dopo, da un altro qui ad un altro lì. E questa infinita modestia mi commuove e mi travolge nel benessere, se capite quello che voglio dire. E mi sento adesso sì, uguale a qualsiasi altro essere umano, in una condizione comune di respiro vitale.
E se sono io quell’essere umano che gli sta accanto, qualsiasi sia la mia disabilità, vera o presunta, vissuta eclatante o malcelata, solo se trascendo, esattamente come il ricco con cui sono a braccetto in terapia di gruppo, posso sentirmi uguale agli altri e persino beneficiato rispetto a loro, perché so incredibilmente meglio che cosa vuol dire essere messi alla prova.
E avete presente che cosa significa per una persona fino a ieri con sensazione di essere miserabilmente impossibilitata, folgorarsi in una condizione di favore? Lo abbiamo già scritto nel racconto di una ragazza senza gambe, improvvisamente fiera di sé solo perché di colpo una sua amica le confessa che è invidiosa delle sue protesi che possono farle cambiare altezza.
Oppure nel punto in cui citiamo il video della donna cosiddetta più brutta del mondo che si sente finalmente felice e fortunata della sua condizione, o in quest’altro passo sull’importanza di prendere riferimenti preziosi per noi.
Ma è la condizione di Zanardi, di cui arriva la notizia dell’incidente proprio mentre correggo queste righe.
E Manuel Bertuzzo? E Bebe Vio? Se non sono esempi costoro del voler super-vivere anziché sopravvivere…
Ecco. Il limite, il confine, la sponda, l’interazione, l’emozione, il corpo. Non c’è altro per stare finalmente bene.
Chi mi circonda? Che cosa mi porta di stimolante per me?
Cosa posso fare concretamente qualsiasi oggi io viva, per vederci e sentirci “dentro” una piccola gioia? Un senso simbolico e prezioso da superare in questa difficoltà?
Chiediamocelo.
Qual è il tuo gesto simbolico misurabile e mai più miserabile, da cui vuoi partire oggi per sentirti meglio?
Non c’è un diavolo di nient’altro di così dannatamente importante nel nostro incedere altalenante.
Questo è il racconto di uno bravo, Gabriele Romagnoli, di stamattina, dell’essenza di Zanardi:
La prima cosa bella di lunedì 22 giugno 2020 è Alex Zanardi che spiega la misura della sfiga e il segreto del budino.
Aspettando che si risvegli ho ritrovato un’intervista di dieci anni fa. Comincia con lui che mi dice: “Poi devi renderti conto che le sfighe vere sono altre. Ti racconto questa. Ero a Budrio, dove c’è il laboratorio che mi fa le protesi. Alla fine vado in un bar, si parla come al solito di auto e tutti giù a offrirmi caffè. Vedo un uomo, alla finestra, con una bambina in braccio, che piange. Allora mi avvicino e mi accorgo che la bambina è senza gambe. L’uomo mi vede e fa: no guardi, non creda, sto piangendo di gioia, sa. Perché Alice è nata senza gambe e oggi, a tre anni, le hanno potuto mettere le prime protesi e quando sono arrivato mi han detto: beh, dove sono le scarpe? E io son corso a comprarle, non l’avevo mai fatto, e adesso piango perché Alice ha le prime scarpe. Allora sono andato nel bagno e mi sono detto: Sandro, tu hai avuto trentatre anni alla grande, Montecarlo, Indianapolis, la Formula Uno. Hai una moglie, un figlio, degli amici, i soldi, la casa e la barca. Se adesso dici che sei sfigato ti sputo addosso”.
E finisce con questo scambio: c’è qualcosa che non sai fare? “Non so, sono riuscito perfino col budino…Ero con un amico, andiamo in cucina e ci sono le nostre due mogli. Sono lì da venti minuti che cercano di togliere il budino dallo stampo: niente, sembra incollato. Io guardo, prendo una cannuccia, ci soffio dentro, quello fa plaaafff, rovescio et voilà. Come mi è venuto? Non lo so. Nella vita a un certo punto devi ben inventarti qualcosa”.
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