Leggerezza Profonda: 33. Tu che Arte Fai?!

Essere un artista significa lucidare una superficie in buona fede,
fino a quando questa rispecchia le profondità del mondo

Gheorghe Grigurcu

 

 

Siamo tutti musicisti, lo sapevate?

 

O pittori, attori, scrittori, danzatori e sognatori ad occhi aperti.

Questa clamorosa verità, ad un certo punto si ri-affaccia.

Sì, è una di quelle verità che si riaffacciano. Sempre. E’ un ritorno.

Che ci illumina quando siamo giovani e con infinite speranze, per poi essere bituminata dal mutuo e dalle certezze dello stipendio fisso per poi infine saltare col banco nell’immenso boom della Maturità, rigorosamente maiuscola, quando ci accorgiamo, ruttando sommessamente, che ci hanno tolto la birra, la benzina, l’entusiasmo e la motivazione.

 

Allora, si assiste a frotte, a mazzi di 35-55 anni che si azzannano pur di risentirsi artisti, performer, fosse solo nel coro settimanale del centro sociale sotto al bosco verticale.

Alcuni lustri orsono, sono rimasto basito dalla dichiarazione di Woody Allen il quale, quando pensava a sé, la miglior definizione che gli veniva in mente era: un clarinettista mediocre.
E in ogni città del mondo, dove va a girare, anche a Roma qualche anno fa, c’è sempre la sua band in tournè. Così lui, di solito al mercoledì sera, suona per santificare ciò che lo motiva, il suo vero piacere e che rimette tutto a posto.

Questo è il segreto dell’arte. Ciascuno di noi ha bisogno di esprimersi.

 

Perciò, prova a rispondere a queste basilari questioni del tuo benessere:

 

1. tu, proprio tu, che arte fai?

 

2. A che cosa hai rinunciato di espressivo e ti puoi riprendere?

 

3. Oppure addirittura non hai mai sviluppato ma ti attende da sempre, come una musa un po’ scocciata della sua mancata importanza nella tua vita? Noblesse oblige.

 

 

Irvin Yalom, mio illustrecollegachedipiùnonsipuò è uno scrittore, un romanziere.

Lascia stare che è titolare di cattedra a Stanford sulla Psicoterapia di Gruppo, e ha ridefinito le regole degli 11 obiettivi terapeutici dei gruppi di terapia, e che ha dedicato 12 ore al giorno per tutta la vita alla cura delle persone e al miglioramento ad ogni costo del loro benessere.

Ma ha anche scritto -credo di notte- romanzi superlativi: da Le Lacrime di Nietsche, al Problema Spinoza, solo per citarne alcuni.

Ma questi solo esempi illustri.

Non contano.

Conta Pasquale.

Oppure Elisa.

Insomma, conta, di Pasquale, la sua ritrovata voglia di fare il cantante. Per sé e basta.
Come Elisa ha ripreso il suo sport, il nuoto, ritrovando la leggerezza e la profondità insieme.

Ora perché ci accade di abbandonare la nostra musa ispiratrice? Che comunque sempre lì resta, col muso, a guardarci? (La Musa col Muso non è una bella Immagine?).

 

Eh sì, di solito per un trauma. O presunto tale. Sospiro.
Perché a volte i traumi non sono veri e propri. Sono traumini entro i quali ci rifugiamo per comodità, perché ci stanno bene addosso o ancora perché così gli altri fanno. E in famiglia ci hanno abituato a stare entro quel che si usa fare. Che altro? Chi ti credi di essere?

Me stesso mi credo di essere.

Per questo, in terapia, riprendere il filo rosso, spezzato, interrotto, ignorato, vituperato, della propria vita, è uno dei fattori di ri-accensione più importanti del motore che anima la nostra leggerezza profonda.

Dice Eduardo De Filippo: “Lo sforzo disperato che compie l’uomo nel tentativo di dare alla vita un qualsiasi significato è teatro”.

 

Fatto sta che qui abbiamo parlato più volte di testimonianze di fili rossi ritrovati.

Allora chiediti ancora per qualche minuto infinitamente prezioso:

 

4. Qual è l’arte a cui mi sento più vicino?

 

 

5. E se snobbo questa domanda, o non mi va proprio e mi sembra leziosa, mi chiedo: come mai non mi va di pormela?

 

 

6. L’ho abbandonata tanto tempo fa? Oppure non l’ho mai sviluppata?

 

 

7. Oppure non è un’arte? È uno sport? Una passione? Un hobby coinvolgente? Posso descrivere cos’è? 

 

 

8. Come mi fa stare questa attività? Quali stati d’animo mi suscita?

 

 

9. Se non c’è qualcosa per cui provo queste sensazioni, può essere che ci sia qualcosa che ho rimosso per “fare il grande” che invece possa tornare ad ispirarmi?

 

 

10. Mi è già successo in passato di ritrovare qualche passione sopita che mi ha risvegliato nel profondo?

 

 

11. Posso continuare su questa strada? Con quale altra attività che mi interessi senza alcun altro motivo che il piacere e il coinvolgimento, il lasciarsi appassionare? In Sostanza, posso estendere questo concetto ad altri ambiti della mia vita? Quali? Ad esempio, alcuni aspetti del lavoro? Oppure interessi sempre ripromessi ma mai sviluppati, quali natura, viaggi, arte? Cos’altro, se avessi tempo e spazio?

 

 

 

Ora: cosa si prova quando ritroviamo questa passione e il filo rosso con sé stessi si ricongiunge?

Quella che segue è proprio il racconto in prima persona della riscoperta di questo fil rouge -nel caso specifico è la musica- e della rivoluzione che può portare nella nostra vita:

Leggerezza Profonda: 34. Da Allegretto Moderato a Vivace Andante

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