Tutti tesi a far fronte?
Quanti saranno coloro che cercano una soluzione da trent’anni tirati per farcela a stento?
Su sette Miliardi, quanti? Uno, due miliardi?
Eppure, quando vedi che la strada è sbagliata, e non ci puoi trovare niente di niente, e l’unica è accettare e accettarsi davvero con le irrisoluzioni dentro, allora il cambio di stato è così enorme, rivoluzionario, che ci rinnova l’esistenza.
Personalmente, il giorno in cui vidi con chiarezza che la strada dell’accettazione era quella maestra, non ero per nulla consapevole della ricchezza da un lato e delle sfaccettature infinite che questa condizione naturale avrebbe portato nella mia vita e nel mio lavoro con i clienti in terapia.
Ero solo vagamente consapevole che era una condizione opposta alla rassegnazione e all’abbattimento. Mi accetto perché ciò che cerco da troppo tempo e con fatica, tutto teso a far fronte, scopro che alla fine è solo un film che mi proietto dentro. E così ne rido, e così sdrammatizzo. E mi tornano energie infinite che avevo legato a doppio nodo alle presunte realizzazioni di me, le quali a nulla avrebbero portato. Se non a far fronte. E poi a far la stessa fatica. E poi ancora a far bilanci disarmanti. Ad istanze caratteriali sempre uguali a se stesse. Sconnesse dalla realtà. Convinto che le carenze e le persone mi dovessero rimandare sempre le stesse mancanze. Le quali, c’era poco da fare, credevo andassero compensate.
(Ne parla l’ultimo film Disney, Soul, vedetelo, in questo senso è molto istruttivo).
E invece non dovevano più semplicemente essere raccolte. Tollerate come disfunzioni, sì certo, e tutti i giorni a cuore aperto, ma mai più considerate verità. Quindi non più agite. Basta. Fine. Stop.
E sentire, ogni volta che si ripresentavano -e si ripresentavano, oh come si ripresentavano…- la stessa canzone mentre le abbracciavamo, con il solito ritornello ormai svelato, e quindi lasciando andare la tensione esistenziale, finalmente staccata, e la truffa caratteriale disinnescata.
Devo far fronte. Smettila. Devo compensare la paura. La paura è sana. Devo trovare un modo per non avere più paura. Finiscila, è impossibile. Un giorno non avrò più paura. Sì, come no. Allora, che facciamo. Ce la viviamo, la esprimiamo e andiamo avanti. Ci concentriamo sul piacere, questo sì. E la paura, l’ossessione di non farcela mai. Lasciala lì. Ce l’hai sempre fatta. Sarà per sempre così. Uff. Smettila. Okay.
Concentriamoci sul corpo, respiro, coinvolgimento, piacere, relazione, vita. Semplicemente le paturnie saranno sempre sullo sfondo, ma le abbiamo staccate dall’ego, dal sistema di vita avvinghiato agli sforzi. Andiamo benissimo così. Ecco il dialogo interno dell’accettazione. Non raccogliere. E soprattutto non aspettare di vivere ad aver risolto l’irrisolvibile e cangiante fissazione di chissà che. Viviamo buttandoci a capofitto nell’intensità. Ecco. Così funziona. È vero. Funziona. Grazie. Grazie a te. Siamo la stessa persona. Ah, ecco. Comunque grazie. Ringraziamoci parlandoci, alleandoci, uniti per un mondo sicuro, e per la verità, e sentirci invece solo così, paradossalmente e apparentemente irrisolti, molto più naturali e per questo già saldi, solidi e sicuri. Augh.