Usciamo a Fare Due Pazzi?

C’è un tempo così di merda che per uscire non basta un motivo, serve un movente.

Azael, Twitter

Come per ogni cosa, ci sono due modi per uscire.
Per esempio, per andare a vivere all’estero. Da dentro e da fuori. Passando da qualcosa che mi permetta di stare molto bene dentro e soddisfatto e sia la mia passione vitale. E senza che mi faccia chiedere minimamente dove vivere, questa mia vera passione spontaneamente mi porti come un fiume in piena dove sono destinato a stare, quindi anche all’estero ovviamente, ma solo perché sento che tutto quadra e la scelta è naturale.
Il senso è depositarsi, lasciarsi depositare dove è naturale che il fine della mia vita fiorisca.
Oppure cercando da fuori una via d’ingresso nella vita, saltabeccando fino a che non la trovo, provando e riprovando per decenni, con un sottile fastidio malcelato per tutto ciò che si ripete sempre uguale.
Saltabeccare. Questo è il problema.
Sem semper lì.
Le persone che si muovono da fuori sono moltitudini.
E quando si arriva in terapia, spesso la dinamica che provoca malessere è proprio questa.
E’ una specie di corollario.
Siamo dalle parti del tema irrisolto che si ripropone sempre uguale.
Ciascuno ha il proprio.
E questo è uno dei più comuni.

O faccio di tutto-tutto per ascoltarmi, conoscermi, confrontarmi con me stesso, tirar fuori le mie vere emozioni, e lo faccio NON per una ricompensa che poi finalmente mi faccia fuggire da questa merda, ma solo perché va fatto e basta, e la vita e la natura funzionano così -e chi sono io per presumere di poter fare di testa mia?- oppure continuerò a materializzare le mie ansie in giri in giro, intorno a qualcosa di inafferrabile che riprende a sfuggirmi.
Andare in America senza andare in America pertanto significa soltanto che se vado in America dentro di me, allora c’è già, e se e quando ci vado, sento la fioritura della mia essenza.

Se invece vado in America “prima”, immaginandomi da fuori -è questo il grande sbaglio- per cercare e trovare me stesso, poi chissà se sto bene lì, o magari sto bene solo lì e dopo un po’ nemmeno lì.
Ecchecivuoifare… è così e basta. Nulla di più.
Ma tienilo presente, per la miseria. Potresti risparmiare milioni di chilometri e decenni di vitalità sprecata. Decenni sono tutta una vita. Puf.

Quindi mi stai dicendo di non andare?
Ancora? Io ti sto dicendo di andare dentro di te. Di cambiare vita sul serio e giorno dopo giorno, prima di andare da qualsiasi parte. E che non sia importante dove vai. Mai più. Ma sia fondamentale “come” ti ascolti, come ti rivolgi all’interno e ti fai domande, emotive, definitivamente, ovunque tu sia, senza alcuna ricompensa se non la verità, non come ti parli mentalmente e razionalmente e volontariamente ecc.
Perché la mente mente.
Cioè se la racconta e te la racconta. E poi non accetta che non ci sia logica nelle scelte.
Per questo sono molto d’accordo con la seguente citazione: La mente ha cinque porte d’entrata: i cinque sensi; e una sola d’uscita: l’immaginazione. Malcolm de Chazal. 
Ma se non apro la mentre dentro, all’ascolto del corpo e delle mie sensibilità, faccio una vita che non sa, per definizione. E che presume sempre di sapere.
E questa è una delle piaghe del nostro tempo.
Nessuno ce lo dice e tutti ci ritroviamo a che fare con questa unica possibilità.
Aprirsi al dentro e non desumere da fuori.

E’ una verità, un focus cruciale, a cui penso spesso in questo periodo.
Le cose fatte da fuori non esistono. Semplicemente non esistono, puf.

Non sono ciò che crediamo che siano. E quando le facciamo, quelle cose, crediamo di stare facendo qualcosa di importante, ma invece è un’illusione che ci disperde e poi ci delude. E ci fa fare un tonfo incredibile.
Spesso da ragazzi è così, ma a 30 anni sei ancora un ragazzo?
Avete presente gli occhi dei vostri genitori e la ricerca delle parole meno conflittuali nei loro sguardi, quando dite loro che volete andare da A a B e poi così ci sarà l’improbabile S e non il logico C? E ciò solo perché l’avete capito voi o qualcuno ve l’ha detto? Ecco.
Esempio? Lascio tutto perché ho da seguire questo business delle lumache. Fa niente che è il terzo affare che inseguo, cari genitori, e che -si, certo- anche negli altri casi ero molto entusiasta all’inizio e poi non più. Avete ragione. Ma questa volta è diverso. Questa è la volta buona.
Ecco l’inseguire un filo da fuori. E loro, i genitori, si stanno chiedendo: ma dovevo insegnarglielo io, prima? Sì, la risposta è sì, senza se e senza ma.
E così per gli affetti e gli incontri sconclusionati e i progetti senza capo né coda né logica. 

E quanti anni e soldi e sacrifici e illusioni investiamo da fuori in obiettivi che dovrebbero quadrare? L’elenco non sarebbe mai finito di quanti casi umani ho visto alle porte di Orione.

Prendiamo un libro e uno scrittore.
Se lo scrittore scrive un libro per diventare uno scrittore e lo scrive come bisognerebbe scriverlo, quindi vedendo da fuori come occorre fare e applicandosi totalmente per anni, all’unico scopo di diventare scrittore, realizzerebbe qualcosa che in realtà, pur sembrando reale, è un castello di carta, non è la verità. Manca l’urgenza, lo scopo primario per cui scrivere, l’emozione vera, la maturità e il distacco disinteressato. Perché arriva ciò che reggi naturalmente. Non altro. E vale anche per qualsiasi attività “immaginata” a tavolino o costruita intorno ad un’idea finale che deve andare in un certo modo prestabilito. E’ questo il grande, evidentissimo problema, che la persona sente, sentono tutti intorno a lei, e nessuno dice.
E se questo libro avesse successo per qualche meccanismo di marketing editoriale, sarebbe molto peggio, perché traccerebbe la strada obbligata, per quello scrittore, di una vita fuori da sé.
Per fortuna un libro così raramente ha successo, nel senso che resti, impressioni, e rimanga nei cuori. Perché nella scrittura ci sono due messaggi. E’ scritto come si deve, certo, ma c’è anche l’urlo, la preghiera, di leggerlo, quindi questo allontana e spinge a non leggerlo e non celebrarlo, perché falso in realtà (effetto ridondanza). Cioè fatto da fuori e non secondo l’urgenza di condividere qualcosa da dentro, in profondità.
Ma pensate ai meccanismi dell’apparire in televisione e di certo mondo dello spettacolo. O della politica-spettacolo di oggi. Il successo in questo caso, se non è legato a talento disinteressato e piacevole e coinvolto e fine a se stesso (da dentro) -e spesso non lo è- ci butta letteralmente fuori dalla nostra vita.

Molto più in piccolo, allora, dall’altro lato del cosmo, esiste qualsiasi cosa facciamo per il nostro piacere e il coinvolgimento e il significato che ci dà e ci ravviva ogni giorno. Detta in altre parole, chi ha successo nella scrittura davvero, o nella fotografia o nella vita d’azienda, o nelle relazioni o in qualsiasi santa manifestazione della vita vera, non stabilisce mai prima alcuna impalcatura volontaristica, narcisistica e stonata. Mai. Impara a non farlo. Questo si scopre in terapia.
Ciò che invece imitiamo da fuori, e ci illudiamo ci possa portare a quel “qualcosa che, dopo, mi darà proprio ciò che voglio…”, drammaticamente non esiste e basta.
Questo è il narcisismo dei nostri tempi, del quale tanto si parla, ma non in questi termini.

Ora alzate lo sguardo e chiedetevi. E questo qui? Cosa sta cercando e dove lo sta cercando?
Insegue mancanze, fuori? O esplora abbondanze, dentro?
E io?- chiedetevi. Dove ho imitato, scimmiottato e ancora oggi lo faccio? E dove invece ho espresso tutto ciò che di emotivo ho sentito? E dove lo posso fare di più e ancora e ancora e ancora di più?
Cosa vuol dire per me seguire il mio filo rosso da dentro?

Dove vai quando poi resti sola?- dice il poeta.
Quando mi dici: usciamo a fare due pazzi?- scherzando, va bene, facciamolo, ma solo perché è umano. Per rigenerarci. Per coglierne il bello. Ma non ci progettare una fuga dalla prigionia. Ogni mattina. Ecchediamine.

E’ che ci sono persone fuori che non sanno nemmeno che occorre stare dentro. E occorre starci sempre. Pensate un po’. E loro non sanno nemmeno che esiste il concetto. Vivere  rivolti all’ascolto interno o star fuori da sé. Dalle situazioni. Dal proprio corpo. Dalle intuizioni. Dagli affetti. E ciccia così.
Si sentono solo in prigione. Perennemente. E non sanno che occorre solo indagare i motivi della loro condizione e non agirla, altrimenti accadono disastri.
Ma davvero bisogna andare in terapia per guadagnare la rivelazione di concetti così importanti e imprescindibili, costitutivi della nostra vita?
Ma insomma. Non dovremmo scriverlo e divulgarlo ai quattro venti?
Adesso io appena vedo una persona la individuo. Tu sei fuori. Si sente. Tu sei dentro. Tu ti sforzi di star dentro. Si sente. Tu non ti sforzi manco per idea. Punto.
Ma ovviamente ciò accade solo per l’attitudine imparata di questi anni. Non ci vuole un genio. E le persone che iniziano, già dopo poche settimane individuano se stesse e gli altri nelle loro fughe. 

Queste alcune riflessioni intorno alla pratica bioenergetica che rendono bene la strada:

Da quando fai le classi di Bioenergetica costantemente ti rendi conto che le cose iniziano ad accadere, a spostarsi da dentro. I fatti si succedono non più in modo indifferente alla tua vita e sempre uguali.
Bensì con causa e conseguenza, legame, connessione, ragione e scopo.
E allora?- ti dici, in accordo con un respiro profondo e integrato. ‘Allora’, senti che sarai conseguente e qualcosa stavolta succederà davvero. E lo avverti nel corpo e nelle viscere. E di mese in mese stai tracciando una progressione che prima non arrivava mai.

Uscire di fretta dalle classi di Bioenergetica è come non esserci entrati. Quando senti davvero il legame tra le diverse sensazioni delle classi, capisci che non puoi tornare un attimo dopo alla vita frenetica. E questo accade perché non ci entri nemmeno più nella vita frenetica.

Quindi non hai bisogno di uscirne per tornare a… perché non hai più stress che ti tendono a cui tornare.
E non vuol dire che non affronti più stress. Vuol dire che li affronti meglio non tendendoti mai più fino a certi livelli che prima per te erano normali.
Il dentro non ha nulla a che vedere con il fuori.

Le suggestioni a sbatterti le puoi disinnescare anziché agirle e cercare di ‘risolverle’. E basta.
Quel che è successo stasera ad esempio in classe è stato che nelle ‘condivisioni prima’ le persone si sono dichiarate decisamente preoccupate dall’ennesimo riacutizzarsi delle varianti del virus e anche confuse dalle nuove disposizioni e dai colori strani, come l’arancione scuro. ‘Dove andremo a finire’ era lo stato d’animo comune.

Nelle ‘condivisioni dopo’, la concentrazione sul dentro e sul corpo e le emozioni e gli scioglimenti e il lasciar andare, era chiaro quanto avessero sancito invece che il dentro e lo star bene non hanno nulla a che fare con il fuori e lo star male. Se io mantengo questa sapienza del corpo e della pratica del benessere, nulla, ma proprio nulla può disarcionarmi, perché sono realmente da un’altra parte, al centro delle mie belle sensazioni che ancora adesso, a distanza di ore e poi di giorni, mi accompagneranno e mi stimoleranno a continuare.

Il dentro non ha nulla a che vedere con il fuori.

Il dentro determina il fuori, sempre.

Il fuori non determina mai il dentro.

Oppure inviaci un messaggio con la tua richiesta all’indirizzo:

marco.digiovanni@analisibioenergetica.com

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