Ci sono crepe in tutte le cose. Ed è da lì che entra la luce.
Leonard Cohen
Tutto nasce da un pensiero. Di solito difficile da intercettare, all’inizio.
“Ecco che mi ri-scatta! Di nuovo! La prima cosa che mi si blocca è il respiro!”.
Questi paesaggi narrati nascono da vissuti del terapeuta e dei clienti.
E di solito, vai a capire perché, ci sono delle frequenze che si ripetono in certi periodi. E in queste settimane dpcm, ci sono almeno 3 persone alle prese con le paure improvvise. Alcuni le chiamano Attacchi di Panico, altri Brutti Pensieri, Blocchi Ricorrenti, Ansie, Angosce o semplicemente Reflusso Gastrico.
E se fossero paure che passano, non sarebbe un grave problema, perché poi passano sempre. Sì, tranquillo, sto dicendo che alla fine passano sempre, mettiti l’anima in pace.
Il problema è che all’inizio della terapia le persone vengono a ‘lavorarci su’ poiché queste crisi durano un’infinità di tempo e lasciano i malcapitati come in trance, mezzi invalidati per stagioni, mesi, settimane, e poi via via sempre meno fino a durare solo pochi istanti. Finalmente.
Per poi essere rivalutate e rappresentare una pietra miliare della rinascita basata alla buon’ora su una consapevolezza di sé e non più un’esistenza automatica e superficiale, fuori dalla dimensione Lavoro-Calcetto-Arrosticino, per intenderci.
Allora la domanda è comprensibile:
“Non c’è qualcosa che posso leggere quando mi capita? Un metodo? Una sequenza di azioni che mi preservino o che mi tranquillizzino? Perché, in quei momenti, davvero, nulla più esiste, se non la mia paura”.
Ecco, se adesso ci vuoi lavorare è perché senti l’urgenza.
Questo è l’obiettivo di tale paura. Costringerti a lavorare sulla tua consapevolezza. La paura come tutte le cose della natura ha un intento sano e curativo. Se non fosse arrivata lei, la paura, saresti stato avvertito da una epifania oppure purtroppo in alcuni casi da una malattia o da un incidente. Ci sono solo 7-8 tipi di trauma possibili, e hanno sempre la funzione di ravvederci. Certo, usano il linguaggio simbolico della natura, non te la mandano a dire.
Però sanciscono che il primo impulso, quello di ricacciare la paura lì sotto da dove è venuta e cercare di dimenticarla, lo abbiamo già fatto tante volte e non funziona più.
Allora, vediamo che cosa poter fare di utile e immediato?
Numero 1. Rintracciare e scrivere i pensieri.
Per come sono arrivati e cosa hanno detto esattamente dentro di noi.
Mettersi lì a scrivere immediatamente perché se no sfuggono.
Poi col tempo si impara a farlo discretamente bene.
Questo semplice atto di registrare risulta fondamentale perché occorre guardare in faccia il nemico. Ciò che fuggo m’insegue, ciò che affronto si scioglie.
E la paura diventa invalidante proprio perché confusa, impantanata, di una sostanza impalpabile che non ricordiamo bene:
”dev’essere stato un pensiero di inadeguatezza, non so, non ricordo, ma mi ha lasciato inebetito”.
Esiste una specie di lista di domande, sempre personalizzabile, che occorre allora farsi a questo proposito, sulle atmosfere di casa nostra da piccoli. L’abbiamo riportata in uno dei punti successivi. Rispondi. Ascoltati. Impara. Repeat.
Queste istanze, dubbi esistenziali, franche paure, sono le voci reali di una volta, le quali hanno originato le palpitazioni che adesso sentiamo dentro e rilanciamo ogni volta.
Anche se magari oggi sentiamo solo paura della morte o della malattia o di cadere stecchiti o chissà cos’altro. Perché siamo stati bravi nel tempo a camuffare e personalizzare tanto queste agitazioni.
Numero 2: Da sapere. Se lo pensiamo e lo abbiamo pensato è perché ci è successo davvero.
Nel cento per cento dei casi. La voce è della mamma o di un’atmosfera, o di un trauma specifico. Poi, ovvio, si trasforma, ma lo stato d’animo impaurito, a ben vedere, quello è.
Nel mio caso sono stati diversi traumi intorno alla nascita e un’atmosfera a tratti violenta e imprevedibile, che io ricordo bene nella mia infanzia.
Invece, in quello di Nanni, un’educazione iper religiosa e martellante sulle preoccupazioni e su come le cose potrebbero sempre andar male.
In quello di Filomena un modello materno incredibilmente invalidante, con un’attenzione maniacale alla rinuncia al farsi strada nella vita, allo stare attenti agli altri e a inibire le relazioni perché sempre, in ogni occasione, potenzialmente pericolose. Con un’ansia incredibile diffusa in casa e messaggi espliciti e ripetuti all’infinito su come evitare le relazioni e alimentare la paura.
Rintracciare la genesi, cioè di che pasta è fatto il pensiero, di quale parrocchia è la paura, da dove deriva il disagio, risulta pertanto di primaria importanza.
Ad esempio, recentemente ho avuto la sensazione, già capitata negli anni, che le cose stessero andando troppo bene. E immediatamente ho dovuto andare a trovare qualcosa che non andasse bene per tormentarmi e bloccare tutto questo po’ po’ di benessere. Conosco bene questi pensieri squalificanti. E so perfettamente da dove vengono nella mia famiglia. Da quale mancanza di sostegno. Ed è bastato esprimersi, parlarsi, accudirsi, lenirsi e ripercorrere tutto il processo, per ripartire dopo mezz’ora. Ma vent’anni fa mi avrebbe bloccato un’infinità di tempo.
Numero 3. Da qui la domanda cruciale dei clienti in terapia: Perché accade a me? E perché in questo modo?
Perché l’esposizione a quel tipo di stimolo, paura, non è stata subito contrastata, sviscerata, tranquillizzata, come stiamo facendo adesso in terapia. Così avrebbe dovuto essere e così non è successo.
Pertanto, ri-analizzare con spirito investigativo cos’è accaduto probabilmente, a livello emotivo e corporeo, risulta importante anche per capire perché non ci siano stati i supporti che rendono tranquillo il bambino che poi diventa adulto.
Poco male, lo facciamo adesso. Questo è ciò che le persone devono sapere: questo si fa in terapia. In alcuni casi la madre era depressa, in altri non c’era, in altri ancora era al lavoro, oppure i genitori non si amavano, o erano squalificanti, esigenti, freddi, mai soddisfatti. O imperava una brutta atmosfera, o le paure stesse erano malcelate e mai ammesse al bambino e nemmeno ora all’ormai adulto, o il padre era minaccioso per la madre e quindi per il bambino, o l’essere allevati dai nonni, al buio e al freddo non era stata una grande idea. Come vedete, situazioni banali e quasi mai violenze e paure esplicite.
Ma c’è sempre sempre-sempre una spiegazione che emerge. Se non risulta all’inizio, non è perché non ci sia motivo, ma solo poiché le persone lo hanno giustamente rimosso e non sanno che segnali cercare… ma la terapia sì e il terapeuta pure.
Quindi la domanda: riuscirò a sapere perché proprio quel pensiero da paura e perché specificatamente a me e perché in quel modo preciso? Sì, di solito sì (vedi? Tranquillo ho detto. Come non sei mai stato. Ma adesso sì. Puoi. Rilassati).
E se anche a volte non si rintracciano precisamente le correlazioni esatte tra le voci e le atmosfere subite da bambini e le paure e i pensieri sviluppati nel tempo, si nota comunque la comunanza e la vicinanza del primo mondo vissuto col secondo mondo sviluppato nelle paure e incertezze dell’età adulta. E le persone di solito di questo risultato poi si rendono ben conto.
Addirittura, anche nel trattamento dei traumi neonatali, si può arrivare a trovare pace, perché la paura è senza nome, perché troppo precoce, quindi a maggior ragione, ogni volta che ci capita, sappiamo bene che cosa accade e che non occorre più cercare la soluzione a quella specifica paura, perché non ce l’ha. Si condivide, si esprime, ci si dà tanta accoglienza, si lascia andare e si ritorna ad appassionarsi alla vita.
E’ bene sottolineare quanto questo momento sia incredibile e sancisca una svolta da vera e propria catarsi freudiana. Le persone sono sia qui davanti a noi che lì nel momento passato e si fulminano a prendere consapevolezza che è la stessa paura, già provata e poi trasformata in mille altri rivoli. Cambia proprio la prospettiva di tutta la vita.
Numero 4. Sviluppare l’adulto che non c’è stato è il passo strutturante che le persone stanno cercando.
Si sentono, queste persone, univoche, vale a dire senza una parte adulta interiore che badi a sé, invalidate, paralizzate, invecchiate-in-un-nano-secondo, esattamente come sotto un treno o un incantesimo, abbattute, e non sanno più fare appello a loro stessi; nessuno lo ha insegnato loro, che occorre accudirsi, lenirsi, mettersi di fianco, fornire lo stesso supporto che sta fornendo loro il terapeuta.
Questa costruzione dell’adulto considera un professionista avveduto, avvertito e consapevole di questo processo di costruzione che comunque sta già attraversando con questa persona, perché è la parte più strutturante della nuova vita che sta edificando con il cliente.
Decisivo è l’approccio d’insegnare a chi ci sta di fronte ad occuparsi di sé con responsabilità, ruolo, capacità e funzione di logica, chiarezza, sostegno emotivo ultrapresente, stimolo e soprattutto protezione, esattamente come fa con noi il professionista che abbiamo di fronte.
Col tempo, ci si crea da soli il proprio adulto con un semplice processo:
Cosa direbbe il mio terapeuta? Direbbe così? Allora me lo dico da solo. Lo introietto ormai perché lo so. Quale stato d’animo mi trasmette? Che cosa secondo lui è più opportuno che io mi dica?
Questo è l’iter corretto di tutte le terapie. L’introiezione buona laddove prima c’era un’introiezione cattiva, ostile, insufficiente e così via.
Io personalmente sono stato incollato all’idea che il mio terapeuta fosse con me, proprio accanto a me, per almeno 3-4 anni. Oppure che io fossi sempre all’interno del mio gruppo di terapia. Questo mi tranquillizzava. Mi cambiava proprio la fisiologia. E tornavo a respirare tranquillo.
Se ci fosse lui, se ci fossero loro, qui come mi sentirei? E così me lo immagino, con la presenza, l’atmosfera, la fisiologia che mi provoca vivere la situazione come fosse qui e che mi posso appoggiare totalmente a questo sostegno umano. Come avrei dovuto poter fare da piccolo.
All’inizio quasi ogni giorno, poi una volta a settimana, infine quando serve.
Se infatti di suggestione e incantesimo negativi si tratta, allora solo per un altro incantesimo migliore, assai migliore, adeguato e più vero e naturale, possiamo ripassare.
E’ la scoperta dell’acqua calda, non è vero? Lo so, è semplice. E le persone rifioriscono letteralmente grazie a questa facilità. Evviva.
D’altra parte, io avevo rimosso nel tempo il fatto che ero orfano e almeno da parte di padre un genitore non l’ho proprio avuto, crescendo. Ma a me come a milioni di altri sembrava una cosa normale, connaturata alla mia famiglia, alla vita.
C’è poco da fare: a volte le nostre famiglie sono mancate proprio di questa struttura e di ciò che i genitori dovessero necessariamente trasmettere come costruzione di un adulto accudente “dentro” al figlio che cresce. Ma se non ce l’avevano loro? O non sapevano di doverlo fare? Come avrebbero potuto farlo? Ma il punto è che ormai è successo.
Ci siamo fino ad ora? E’ tutto chiaro? Sei più tranquillo?
Altrimenti fai una pausa. Rileggi. Ascoltati. Repeat.
Numero 5: Sviluppare poi il dialogo interno che ci sostenga, spalanca intuizioni e consapevolezza.
E’ anche la parte più divertente.
Le persone sono convinte, solo per una parte di loro per fortuna, che quella paura dica la verità. E’ qui che si gioca la partita.
Il punto invece è che quella voce non può dire tutto, non vale tutto, ci vuole un filtro, un interlocutore, un esame di realtà che è il nostro adulto interiore, che trova qui una delle sue principali ragion d’essere.
Come si fa a sviluppare questa funzione lo abbiamo riportato in queste note specifiche:
- Leggerezza Profonda: 35. Le 2 Funzioni dell’Adulto
- Leggerezza Profonda: 36. So Proteggere Me Stesso?
- Leggerezza Profonda: 37. Scoprire di Avere un Adulto
- Leggerezza Profonda: 38. Piccolo Questionario sulla Mia Nuova Esistenza Adulta
Le persone scoprono almeno due-tre fatti inediti:
A) ad esempio che non si parlano con alleanza ma con la stessa freddezza o assenza o fastidio malcelato della loro atmosfera di casa quando sono cresciuti. 1 a 1. Direttamente proporzionale. E ne sono sconvolti. Tutto qui? Solo così continuo a fare? Io che mi consideravo ormai anni luce lontano dalle atmosfere dei miei?
B) In questa fase del dialogo interno le persone incontrano una verità lapalissiana che non sospettavano minimamente: i pensieri, le paure, le frasi, le immagini, le palpitazioni improvvise, qualche parte di noi le produce dentro. Le ha lasciate entrare allora, poiché non aveva chance. Non le ostacola oggi perché non sa che può e deve farlo. Noi non metteremmo mai una mano sui fili della corrente. E perché invece permettiamo a pensieri malsani di rovinarci l’esistenza? Solo per abitudine? Ma andiamo…
C) E no, non arrivano, no, perché c’è una maledizione. O perché noi siamo sbagliati dentro e mezzi malati mentali. E finiamola con questa storia del sentirsi pazzi e spostati. Allora tutti lo siamo. Anche perché abbiamo appena visto che le nostre paturnie recano la stessa voce di nostra madre o padre o nonna. E allora, cos’è? Se noi le sentiamo è solo perché le abbiamo introiettate, fatte nostre. Per cui il processo di farle tornare fuori, uscire alla luce, identificarle e vederle per quello che erano e che ancora sono, è dirimente, aiuta tantissimo. Toglie tonnellate di ansia. Sono solo boicottaggi, voci sempre uguali, critiche insensate. Freud, eh sì, sempre lui, lo chiamava il Boicottatore Interno.
D) E chi lo interpreta questo ruolo? Lo fa la nostra parte adulta che finalmente si affaccia sulla scena. Toc toc, c’è qualcuno? Ecco, benarrivato, vieni avanti, cretino. Guarda che ci sono sempre stato. Ah sì? E dov’eri? Ero qui, cosa credi? Solo che non sapevo che potevo filtrare, accudire e non solo riportare le voci che credevo anch’io come te dovessero arrivare da chissà dove. Ora, d’accordo, mi prendo la responsabilità, come faccio del resto con gli amici e i parenti, di essere presente e accudente, soprattutto nei confronti di te, parte bambina, impaurita nei secula seculorum.
Ah.
Eh.
Uff.
Adesso mancano soltanto altri pochi punti rimanenti. Ma ciascuno di essi potrebbe esserti utile. Quando puoi, continua. Non rimuovere di farlo.
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Uscire dall’Incantesimo della Paura: Riepilogo