La normalità è una strada asfaltata: è comoda per camminare, ma non vi crescono fiori.
Vincent van Gogh
La terapia non è altro che un continuo confronto tra:
– ciò che sembra normale e crediamo immutabile
– e punti di vista e azioni diverse / opposte / paradossali, che invece sono legittime e ci possono portare ad un benessere incredibile e a volte insperato.
Occorre sempre prendere una sana abitudine al confronto su temi vitali, che si vada in terapia o meno.
E’ proprio ciò che s’impara in un lavoro di qualsiasi tipo su se stessi.
Quindi, come cominciare?
Semplicemente, inizia a scrivere:
- Che cosa credo che NON sia così normale nella mia vita?
- Per stabilirlo, con chi mi sono confrontato?
- Sono stato sincero? Posso esserlo di più?
- Viceversa -se credo che tutto sia normale- c’è qualcuno a me vicino che mi bombarda con osservazioni su mie abitudini non propriamente nella norma?
- Quali? Ne ho parlato con altri, insieme a questa persona? Quello che lei mi attribuisce, sembra normale a terzi che ci ascoltano?
- C’è qualcosa di cui francamente mi vergogno e ho difficoltà ad ammettere (di ciò che mi dice questa persona, ma anche di altro, indipendemente)?
- Ho mai pensato di rivolgermi ad uno specialista, Terapeuta o Counselor per affrontare questi aspetti di cui mi vergogno o su cui mi sento in colpa?
- Perché sì, ci ho pensato, e vorrei andare/ Perché no, non ci ho pensato o non vorrei andare (scrivere e rileggere queste opposte motivazioni).
- Ho letto dei libri su ciò che mi riguarda?
- Ho cercato almeno su internet qualcosa che mi possa illuminare?
- Ho pensato di iscrivermi ad un corso che mi permetta di approfondire questi aspetti di normalità/anormalità (es. comunicazione se non so comunicare, arti marziali se credo di essere timido, scrittura creativa se sento di non esprimere emozioni o altro, specificare)? E sviluppare un interesse strutturato in questa direzione?
A volte basta poco per capire davvero come funzioniamo.
Io credevo di essere pauroso e che nessun altro al mondo provasse il livello di paura che provavo io.
Adesso so che questa paura l’avrebbe provata chiunque fosse stato a casa mia, insieme a me, perché c’era da aver paura, fin dalle condizioni della mia nascita oltre al clima di conflitto continuo e violenza imprevedibile che si respirava.
Io sono allora solo sensibile, ed è un pregio assoluto, mentre prima era per me fragilità e vulnerabilità da cui difendermi.
sono due Visioni opposte di me stesso.
Gennaro ha trovato la propria normalità sentendo che per lui la dimensione di coppia non può andare bene se non alle sue condizioni: “mi vuoi non sposare?”. La famiglia che ha avuto ha incistato tutte le esistenze a vincoli impossibili, leganti e pesantissimi.
E lui non si considerava affatto normale a sentire tutto quel peso. Invece l’avrebbe sentito chiunque.
Anna esordì nel mio studio dicendo: “ma davvero posso dire di no al mio capo, a mia madre, alla mia famiglia?”.
Vi è chiaro il livello di lavoro su se stessi necessario per vivere “lì fuori nel mondo”?
In terapia / negli incontri di gruppo settimanali / nei weekend di lavoro, dedichiamo del tempo a capire che cosa sia normale nella Ferita e nel Tema che ci accompagnano, e che caratterizzano la nostra personalissima vita.
In questi incontri si esplorano tutte le possibilità per uscire da false immagini di sé e normalità a cui adattarsi le quali non sono in realtà per niente normali. E la sensazione di chiarezza e di sollievo è enorme: quanta energia sprecata che di colpo viene risparmiata…
Le nostre presunte a-normalità sono solo sintomi che servono a ricordarci quali sono i nostri problemi irrisolti.
Fino a scoprire che –per risolverli- è necessario vedere ciò che ci è capitato come un dono: la nostra educazione ci ha messo alla prova e -pur grave che sia- è sempre e comunque un dono, che ci ha resi come siamo, meravigliosi cialtroni.
La vita distribuisce a pioggia difficoltà sparse, al solo scopo di selezionare la specie. Se le superiamo la specie è migliore. Tutto qui. Chi riceve la disgrazia, ha l’occasione per essere migliore, non peggiore. Per cui, perché passare la vita a lamentarsi? Uno spreco enorme.
Recentemente, il nostro amico Super se n’è uscito con un’affermazione così, in leggerezza:
“Ah, ci sono un paio di cose che non vi ho detto: io non ho mai fatto le vacanze insieme ai miei genitori. Loro andavano per fatti loro e io e mia sorella venivano portati in colonia o dai nonni. Ricordo la macchina carica e noi che scendevamo con le nostre valigette, salutando con la mano, con una sensazione indicibile di esclusione.
E poi, non abbiamo mai festeggiato i nostri compleanni né ricevuto regali. Forse solo un anno. O due. Fatto sta che ogni volta che arrivava il mio compleanno, sapevo che a differenza di tutti i miei amici, io non l’avrei festeggiato e non ci sarebbe stato niente per me”.
Ehi, è il nostro amico Super, ci siamo detti tutti nel silenzio generale. Quanto è limitata la mente di certi genitori, e quanto è depauperata l’esistenza di certe persone, di conseguenza… Eppure lui è così speciale… Chissà come avrà fatto…
Fatto sta che è così proprio per ciò che ha ricevuto.
Il risultato di tante mancanze allora può essere proprio Super.
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